venerdì 25 Luglio 2025

Traniello, torrefazione centenaria di Gaeta: “All’estero ci sono maggiori margini che in Italia, dove il mercato è saturo”

L'attuale titolare: "Se oggi siamo ancora in attivo, è per il grande lavoro di chi mi ha preceduto e ha posto le fondamenta di un’azienda come la nostra, ancora artigianale."

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GAETA (Latina) – Caffè Traniello, azienda di famiglia che compie 100 anni superando la prova del tempo e del cambio generazionale: ora capitanata da Attilio Traniello, si muove ancora su una dimensione artigianale e locale affrontando anche quest’ultimo periodo dolente per tutti nel settore della trasformazione del chicco.

Traniello, 100 anni di attività: come si fa a raggiungere questo traguardo in un mercato così competitivo come quello della torrefazione in Italia?

“In effetti ormai siamo tanti a fare questo mestiere: agli albori di Caffè Traniello non c’era lo stesso livello di competizione.

Se oggi siamo ancora in attivo, è per il grande lavoro di chi mi ha preceduto e ha posto le fondamenta di un’azienda come la nostra, ancora artigianale.

Padre e figlio, Traniello (foto concessa)

Non abbiamo dipendenti, io stesso mi occupo di tutti gli aspetti dell’impresa avvalendomi di personale esterno per le forniture nei bar, mentre per il lato tecnico delle attrezzature ci appoggiamo a dei terzi operatori, così come per la grafica.

Dentro la torrefazione invece ho il supporto informale di mio padre, ufficialmente pensionato ma che continua a darci una mano nelle tostate, operazioni che richiedono molta attenzione.

Con 40 anni alle spalle, poter contare sulla sua esperienza rappresenta un grande aiuto anche nella selezione e nel rispetto delle tempistiche. Per tutto il resto delle procedure, ci sono io soltanto.

In termine di fatturato, siamo abbastanza piccoli soprattutto rispetto ai numeri registrati in passato, quando negli anni ’70-‘80 avevamo più mercato. Oggi in effetti è più difficile affermarsi e dobbiamo confrontarci con una realtà diversa, composta da tanti competitor che giocano non più soltanto a livello locale. Adesso la distribuzione è più estesa e quindi la competizione si gioca su più fronti.

È pur vero che da qualche anno anche noi ci siamo rivolti in piccola percentuale all’estero, che attualmente si attesta attorno al 15% del totale di vendite ed è in crescita. Abbiamo per il momento un unico cliente francese che però è destinato ad ampliarsi. Questo fa ben sperare: il mercato del caffè in Italia non solo è ben nutrito di aziende, ma è anche saturo, mentre all’estero ci sono margini diversi soprattutto per il prodotto italiano. Un chilo di caffè oggi si vende sotto i 20 euro (miscele classiche) qui da noi, mentre all’estero riusciamo a venderlo anche a 40 euro al chilo.”

Come mai questa differenza secondo lei?

Traniello: “Oggi proporre un caffè a 40 euro al chilo in Italia è follia: qui a questo prezzo, si parla di una materia prima di nicchia. Gli stipendi sono più bassi rispetto a quelli della Francia e quindi il potere d’acquisto è diverso. Indubbiamente poi esiste anche un fattore culturale, per cui la tazzina è percepita come un prodotto popolare, che deve essere alla portata di tutti. All’estero è qualcosa per cui si è disposti, quando buono, a spendere di più.

Pare chiaro che alla lunga questo ragionamento rischia di creare effetti collaterali negativi sulla filiera. Oggi i margini sono davvero minimi.”

Come state affrontando la crisi attuale del mercato, con i prezzi alle stelle, la difficoltà di reperimento della materia prima?

“L’aumento del crudo sicuramente è stato trasferito sul consumatore finale e prima ancora sui gestori dei bar. Noi vendiamo sia nell’horeca, che ai privati e nei supermercati: abbiamo caricato su di noi in parte questi rincari e i margini sono diventati però molto bassi: in percentuale si sono ridotti della metà. Il verde è aumentato al chilo dal 2019 a oggi, di circa 6-7 euro.

Di questi, non tutti sono stati poi fatti pesare completamente sul consumatore finale: abbiamo aumentato di 4 euro soltanto rispetto al 2019. In attesa di ritornare a una marginalità pre-Covid.

Siamo comunque sereni, perché l’azienda è solida e gli investimenti sono stati fatti accuratamente negli anni passati. Non avendo personale a carico, diminuendo anche i volumi delle vendite, non ho particolari problemi a gestire spese e carico di lavoro.

Certo è difficile farcela da solo, ma è necessario stringere i denti in questo periodo che dura da parecchio tempo. Resto fiducioso, perché la nostra popolarità locale è riconosciuta e stiamo lavorando dall’assunzione da parte mia della carica di titolare nel 2019, a delle migliorie che oggi ci stanno premiando.

Con nuovi prodotti ad esempio. Ancora non forniamo specialty coffee, ma in verità ho acquistato già delle attrezzature e un’impiantistica dedicate a trattare questa materia prima. Abbiamo una macchina da 60 chili, una Balestra, casa madre costruttrice prossima a noi, che però non ha senso per gli specialty.

Un annetto fa abbiamo investito in una macchina da 10 chili, che è ancora da mettere in funzione con l’ottica di impiegarla per tostare piccole quantità di specialty. I progetti sono tanti, il tempo è limitato e io resto solo.

Mi spinge il fatto che la risposta da parte dei clienti si fa sentire e gli sforzi fatti in questi anni iniziano a dare i primi frutti.”

Traniello, come avete impostato la vostra relazione con i clienti?

“Siamo entrati nei supermercati locali che qui a Gaeta per l’80% riforniti da noi. Serviamo anche numerosi privati, e bar nella zona. Non tutti comprendono naturalmente cosa c’è dietro il bar e il rischio che si assume eventualmente il torrefattore che decide di supportarlo. Sino al 2019 mio padre si è sempre opposto nel contribuire con macchinari e assistenza. Dal mio arrivo questa politica è cambiata, andando contro tendenza anche con gli altri miei competitor.

Preciso però che la scelta di iniziare a fornire attrezzature, non funziona su tutti i bar. Bisogna innanzitutto analizzare l’attività con cui si ha a che fare, la zona, la location, l’esperienza dei gestori e la loro affidabilità: se tutti i criteri sono soddisfacenti, allora si decide di investire.

Non dovremmo essere noi torrefattori a caricarci di questo rischio. Consiglio sempre di considerarla come opzione e non come prima scelta: promuovo sempre una fornitura libera dalle attrezzature e solo quando viene richiesto dal locale, si fanno le dovute valutazioni.”

Cosa è cambiato e cosa no in 100 anni di Caffè Traniello?

“Sicuramente sono cambiate le persone e la loro visione. Da mio nonno e ancor prima nel 1925 quando siamo partiti come bar con tostatrice interna, ci sono state delle revisioni. È rimasta la stessa la miscela entry level, per espresso, con una base di Santos e circa il 30% di Robusta. Nonostante la vicinanza con la Campania, dove le tostature spinte vanno per la maggiore, qui a Gaeta cuociamo medio scuro. Il chicco non è bruciato per non fargli perdere le sue caratteristiche gradevoli. Questo da un lato ci permette di coprire una nicchia sul territorio e dall’altro però, riceviamo un po’ di critiche.

Abbiamo ora un blend 100% Arabica del Centro America che sta riscontrando buoni feedback. L’abbiamo da 7/8 anni e solo nell’ultimo anno c’è stata una crescita nelle richieste: questo è un buon indizio del cambio di abitudini di consumo e dell’attenzione maggiore verso la qualità.”

Come prevedete i prossimi anni anche in vista di nuove sfide, come ad esempio l’EUDR e il cambio nei consumi

Qua si naviga a vista. Dal 2019, tra la pandemia e l’aumento dei prezzi, abbiamo visto di tutto. Continuiamo però a svolgere il nostro lavoro giorno dopo giorno, introducendo novità nel tentativo di migliorare l’azienda e offrire una maggiore scelta ai clienti. ci aspettiamo soddisfazioni in futuro.

Concretamente, rimarremo piccoli, legati al territorio e alle persone. Che sono uno dei fattori che ci ha permesso di durare 100 anni: se un domani dovessimo assumere una persona in più, comunque mi occuperei io ancora delle consegne dato che il rapporto che si è venuto a creare, il contatto umano, andrebbe a perdersi altrimenti.”

Traniello è passata da bar a torrefazione: come mai?

La cottura del Caffè Traniello (foto concessa)

“Abbiamo chiuso la caffetteria, perché dopo la guerra ci siamo sentiti di affrontare una nuova avventura. L’apertura del bar richiedeva un rapporto diverso con il consumatore e uno sforzo 24 ore su 24 dietro al bancone. Sono due mestieri separati. Negli anni ’50 mio nonno si è specializzato come torrefattore per rifornire gli altri bar. Portare avanti entrambe le attività sarebbe stato complicato, allora come oggi. Se dovessimo avviare un locale, sarebbe una piccola rivendita magari con anche cioccolato, dolci, confetture, una piccola bottega. Il bar, lo sappiamo, è una delle realtà più impegnative che esistono.”

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