domenica 24 Marzo 2024
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Il dottor Franco Berrino sul Corriere della Sera: “Il caffè aiuta contro l’infarto, ma non in Italia: il possibile perché”

Spiega il dottore su il Corriere della Sera: "Il rischio aumenta del 18 per cento per una o due tazzine al giorno, del 37 per cento per 2-4 tazzine, del 52 per cento per cinque tazzine o più (S. Grioni 2015 Am J Clin Nutr. 102:14). Perché queste differenze? Si ipotizza che sia per il diverso modo di fare il caffè: filtrato su carta da filtro in Nord Europa, espresso o moka in Italia, bevande molto diluite in Europa e molto concentrate in Italia. "

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MILANO – La salute dell’organismo e il consumo di caffè sono sempre stati al centro dell’attenzione di molti coffeelovers e semplici utilizzatori, che si chiedono se la loro bevanda prediletta possa nuocere o giovare al corpo. La risposta spesso arriva dalla scienza e sono tanti gli studi che hanno non solo scagionato la tazzina da un suo possibile effetto deleterio, ma anzi ne hanno confermato la funzione benefica.

Su questo tema torna a parlare il dottor Franco Berrino sul Corriere della Sera, che ha fatto un compendio di varie ricerche per argomentare la tesi che il caffè, ebbene sì, fa bene. Anche se ci sono delle eccezioni: ad esempio in Italia chi ama l’espresso potrebbe dover fare i conti con un maggior rischio di infarto. Questa differenza, anticipiamo la conclusione a cui è arrivato Berrino, dipenderebbe proprio dal metodo di estrazione diffuso nel Bel Paese.

Ricordiamo che Franco Berrino, autore di tantissimi libri e pubblicazioni scientifiche, è medico, epidemiologo, già direttore di Medicina preventiva e predittiva dell’Istituto nazionale dei tumori di Milano. Nella sua attività quarantennale di ricerca e prevenzione ha promosso lo sviluppo dei registri tumori in Italia e coordinato i registri tumori europei per lo studio della sopravvivenza dei malati (progetto Eurocare). Ha coinvolto decine di migliaia di persone in studi sulle cause di malattie croniche (progetti Ordet e Epic).

I risultati di questi studi gli hanno consentito di promuovere sperimentazioni per modificare lo stile di vita allo scopo di prevenire l’incidenza e la progressione dei tumori (progetti Diana). È autore con Luigi Fontana del  bestseller La grande via, con altri di Ventuno giorni per rinascere entrambi editi da Mondadori.

Riportiamo questa sua analisi, riprendendola proprio dal Corriere della Sera.

Caffè e salute: ma la scienza cosa ne pensa?

Il dottor Berrino inizia così su il Corriere della Sera, sfatando il primo mito che vorrebbe legare la bevanda a un danno cardiaco, correlazione che per Berrino non sussiste, per quanto si possa pensarlo intuitivamente: “A giudicare dalla tachicardia di cui soffriamo quando beviamo troppi caffè si direbbe di sì, ma in realtà no, anzi ni. La tachicardia da caffè è dovuta al fatto che la caffeina aumenta la produzione degli ormoni surrenalici, quelli dello stress.”

Si fa poi riferimento ad una grande e recente ricerca epidemiologica che ha provato come bere caffè non causi aritmie cardiache pericolose.

Dallo studio è emerso che per ogni tazzina bevuta in più al giorno, c’è la possibilità di limitare il verificarsi di aritmie e fibrillazione atriale, riducendo il rischio del 3% (con intervallo di confidenza al 95 per cento fra 2 e 4 per cento; E. Kim et al. 2021 JAMA Int Med. 18: 1185).

E il dottor Berrini non si ferma qui e sul Corriere della sera cita anche un’altra meta analisi (L. Chan et al. 2021 BMC Neurol. 21:380) che ha dimostrato come chi consuma abitualmente caffè, abbia minori possibilità di sviluppare un ictus trombotico.

Un’altra evidenza a favore della bevanda era già emersa dai risultati raccolti nel progetto EPIC che ha seguito 500.000 persone collocate in dieci Paesi europei, registrando che chi beve caffè ha un tasso di mortalità più bassa. Si legge sul Corriere della Sera: “si riducono soprattutto le morti per malattie dell’apparato digerente e per le malattie cardiovascolari (3 per cento in meno per ogni tazza di caffè in più, ma non sembra che consumarne più di tre tazze protegga ulteriormente (MJ Gunter et al. 2012 Ann Intern Med. 167:236)”.

E rispetto ancora alla mortalità, Berrino su il Corriere della Sera riprende un’altra meta-analisi di “Quaranta studi con complessivamente oltre 400.000 decessi, suggerisce che la quantità ideale sia di 3 tazze al giorno, che ridurrebbero la mortalità totale del 15 per cento (Y. Kim et al. 2019 Eur J Epidemiol. 34:731). ”

Poi l’articolo su il Corriere della Sera sposta il focus sul diabete e la glicemia: nonostante infatti, dice Berrino, il caffè effettivamente provochi un aumento della glicemia, non dovrebbe arrecare danni a chi soffre di questa patologia: “Una meta-analisi di dieci studi prospettici su complessivamente oltre 80.000 diabetici ha mostrato che chi ne beve di più, circa quattro tazze al giorno, rispetto a chi non ne beve, riduce la mortalità del 21 per cento, e la mortalità cardiovascolare del 40 per cento (Shahinfar H, et al.2021 Nutr Metab Cardiovasc Dis. 31:25).

E tornando invece al cuore, dice Berrino su il Corriede della Sera, che anche chi ha subito un infarto, è libero di bere il caffè senza esporsi a rischi

Scrive su il Corriere della Sera: “Complessivamente, anzi, gli studi suggeriscono che migliori la prognosi (E M Ribeiro et al. 2020 Nutr Metab Cardiovasc Dis 30:2146). ”

Cosa succede allora in Italia?

Le cose, così ha spiegato Berrino su il Corriere della Sera, hanno un percorso differente: il campione italiano che è stato analizzato nel progetto EPIC ha visto aumentare il rischio di infarto o di danni coronarici che comporta l’uso di stent e bypass, in corrispondenza di un maggiore consumo di caffè. A quanto pare molto sarebbe determinato dal modo in cui viene preparato nel Paese dell’espresso.

Spiega il dottore: “Il rischio aumenta del 18 per cento per una o due tazzine al giorno, del 37 per cento per 2-4 tazzine, del 52 per cento per cinque tazzine o più (S. Grioni 2015 Am J Clin Nutr. 102:14). Perché queste differenze? Si ipotizza che sia per il diverso modo di fare il caffè: filtrato su carta da filtro in Nord Europa, espresso o moka in Italia, bevande molto diluite in Europa e molto concentrate in Italia. ”

E continua la sua argomentazione su il Corriere della Sera: “In generale il caffè fa aumentare il colesterolo e i trigliceridi, ma chi beve caffè filtrato ha più bassi livelli di colesterolo LDL nel sangue rispetto a chi beve espresso, anche se non tutti gli studi sono coerenti. La carta da filtro trattiene una sostanza del caffè — il cafestol — che ha effetti tossici, in particolare alterando i grassi nel sangue.”

Berrino afferma che quindi sarebbe ideale filtrare il caffè, peccato che, come ha fatto lui stesso notare nell’articolo, in Italia questo metodo alternativo non sia particolarmente diffuso. Eppure, fa notare il dottore su il Corriere della Sera, forse questo cambio di abitudini avverrà naturalmente con l’arrivo delle nuove generazioni, che si stanno sempre più aprendo alle influenze internazionali, lasciando indietro il caro vecchio espresso.

E per conciliare tradizione con la salute, Berrino dà un piccolo suggerimento per chi a casa ha una cuccuma: “Si tratta di ritagliare un tondino di carta da filtro e applicarlo sulla parte interna della capsula bucherellata della napoletana, in modo che il caffè percoli attraverso il filtro. Non c’è prova scientifica che riduca l’infarto, ma certamente aumenta la poesia della vita, perché il caffè, come insegna Eduardo De Filippo, è da gustare lentamente, non da ingollare rapidamente.”

L’articolo originale e completo, qui.

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