giovedì 11 Aprile 2024
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Il bar di fiducia è quello dietro casa: la prossimità rende il consumatore felice (ma la qualità?)

L'appartenenza ad un posto passa anche attraverso la prossimità di luoghi di socialità e divertimento come lo sono le caffetterie e i ristoranti, specialmente in città talmente grandi che ci si potrebbe sentire sperduti e isolati

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MILANO – Il bar come terzo luogo insieme alla casa e al posto di lavoro: questa è la cultura delle caffetterie in Italia. Ci si passa per abitudine spesso – alcuni anche quotidianamente – per staccare un attimo dalla routine fatta di impegni lavorativi e professionali. La prossimità quindi è un must: quante volte si è scelti un bar invece che un altro, proprio seguendo il criterio della vicinanza agli uffici o al proprio domicilio?

Non è semplicemente una questione di pigrizia, ma di benessere sociale: almeno così sembrerebbe dalla ricerca che abbiamo trovato su Business Insider. Sotto indagine il modo di vivere le città da chi le abita: da una parte si prediligono dei quartieri non ad alta densità – che potrebbe modificare le caratteristiche stesse di una zona – dall’altra si sente il bisogno di avere un numero minimo di vicini nei paraggi.

Tutto deve essere a portata di una passeggiata nel proprio coffee shop di riferimento: si salvano tempo, energia e, in particolare, si crea un senso di comunità più forte.

Questa è sicuramente un’idea che in Italia possiamo comprendere, essendo da sempre il bar un luogo di incontro, di scambio, dove i legami si creano con naturalezza attorno ad un momento di consumo.

Il bar che non deve mai mancare sotto casa

L’appartenenza ad un posto passa anche attraverso la prossimità di luoghi di socialità e divertimento come lo sono le caffetterie e i ristoranti, specialmente in città talmente grandi che ci si potrebbe sentire sperduti e isolati.

Avere invece il bar di fiducia – concetto molto italiano che ha conquistato non pochi stranieri, un esempio su tutti l’Howard Schultz creatore di Starbucks – può fare la differenza nell’equilibrio sociale.

Certo a questa riflessione si potrebbe aggiungere una nota a margine: se nella stessa caffetteria vicina a casa, si potesse contare su un caffè davvero buono, allora sarebbe il massimo dell’esperienza.

Forse all’estero è possibile trovare un espresso fatto bene più di frequente, mentre in molte città italiane non capita spesso di trovare il bar che serve una tazzina degna di nota. Altra considerazione non meno importante è dare un’occhiata al tipo di atmosfera che offre quello stesso locale così vicino a casa o all’ufficio: è una caffetteria in cui poter sostare, in cui poter conversare con amici o con lo stesso barista dietro al bancone, è un posto pulito, curato nel design, oppure è un’edicola-tabacchino-bar senz’anima?

Ed ecco che il principio della vicinanza passa un po’ in secondo piano o, viceversa, il locale del cuore diventa una destination verso cui spostarsi, magari a questo punto non ogni giorno, ma i fine settimana.

Quindi la vera domanda che ci si dovrebbe porre da italiani è: il bar sotto casa è davvero quello che ci rende più felici? O è soltanto quello più comodo?

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  • LF Repa
  • Dalla Corte

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