martedì 08 Ottobre 2024

ANDREJ GODINA A NAPOLI – Un viaggio, una giornata alla scoperta del presunto mito del caffè di Napoli

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di Andrej Godina

E’ dai tempi dell’Università, quando terminata la laurea ho vinto il concorso per un dottorato di ricerca all’Università degli Studi di Trieste in Scienza, Tecnologia ed Economia nell’Industria del Caffè, che sento dire dagli appassionati di caffè che il caffè a Napoli è più buono.

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So che anche la Illycaffè, quando la sede della sua scuola era a Napoli, ha effettuato delle ricerche per trovare un fondamento scientifico a questa tesi. Finalmente mi sono deciso di verificare questo mito.

Ho così acquistato un biglietto del treno con partenza da Firenze e, in giornata, assieme ad Andrea, trainer barista, ci siamo diretti a Napoli.

Per me la giornata è iniziata con un buon caffè a marchio Illy in piazza Santa Maria Novella dove c’è il bar Shake, aperto da poco dove è possibile prendere una centrifuga di verdura, uno yogurt con muesli, la più comune brioche anche in versione integrale e un caffè 100% arabica.

Il caffè è stato preparato bene, un doppio colpo al dosatore del macinacaffè per il portafiltro doppio, una pressatura con il pressino manuale nel filtro e l’erogazione in 27 secondi. La tazza servita aveva una crema nocciola, una sfumata tigratura, di tessitura fine, piacevole l’aroma, un buon equilibrio gustativo associato a sentori di pan tostato, biscotto, cioccolato e leggera nota di liquirizia.

La giornata di Andrea, che è salito sul treno a Roma Tiburtina, è iniziata con un espresso al bar Cantù, dove lavora, preparato con una miscela 100% arabica preparata e tostata esclusivamente per lui, secondo una sua ricetta, con note di cioccolato fondente, caramello e miele millefiori, una buona corposità e un buon bilanciamento di gusti.

Iniziamo bene!

Dopo due ore e mezzo di viaggio arriviamo alla stazione centrale di Napoli dove iniziamo da subito il nostro “espresso coffee tour in Naples” assaggiando l’espresso preparato nel bar antistante il binario: crema color marrone chiaro, tessitura medio/fine, aroma intenso di legno e biscotto, gusto amaro e retrogusto rancido.

Sinceramente la votazione di questo caffè è sotto la sufficienza.

Prendiamoci un caffè! E’ l’invito più frequente a Napoli pretesto mondano e occasione di socializzazione pe runa chiacchierata in leggerezza, piacevole occasione di distensione quotidiana, al lavoro come nel tempo libero. Nella città partenopea il caffè è un rito che è pure business, una tradizione talmente radicata da aver consacrato in Italia e nel mondo l’espresso napoletano, partendo da Settecento quando nell’antica città capitale si beveva almeno un tazzina di infuso nero”.

Tratto da Made in naples di Angelo Forgioni ed. Megenes.

Con questa lettura del primo paragrafo dedicato al caffè del libro Made in Naples, acquistato alla libreria Feltrinelli della stazione di Napoli Centrale, che inizia il nostro tour ricco di buone speranze e di voglia di degustare il famoso caffè napoletano.

Usciti dalla stazione, in piazza Giuseppe Garibaldi abbiamo subito approfittato per visitare le prime tre caffetterie antistanti la stazione tra le quali una è anche pasticceria: entrando nella prima ci ha da subito colpito la presenza di due macchine espresso, una a leva e una semi automatica, il macinacaffè con la miscela della “casa” e tre silos con tre diversi monorigine, Brasile, Guatemala e Kenya.

Incuriositi, subito abbiamo ordinato due espressi Kenya top quality che è descritto sulla vetrofania con “gusto selvatico aroma di spezie tropicali”. Il “barrista” correttamente sgancia il portafiltro doppio, elimina i fondi, pulisce il portafiltro sotto l’acqua calda, preleva dal dosatore del caffè già macinato, lo pressa ed estrae tirando la leva: estrazione a gocce in più di un minuto e mezzo di estrazione. All’assaggio il caffè è rancido, biscottato, al palato amaro e con un retrogusto prettamente bruciacchiato e rancido.

Credo sia stato un caso esemplare di come riuscire a rovinare da un punto di vista organolettico un buon caffè che nell’immaginario caffeicolo è una delle migliori e più apprezzate origini.

Piazza Garibaldi non ci riserva migliori assaggi negli altri due bar visitati che ci hanno serviti espressi con note legnose, di terra, gomma bruciata, caramello, al palato astringenti e con una notevole corposità. In uno dei due bar abbiamo approfittato della vendita al dettaglio dei chicchi tostati che vengono proposti in 4 declinazioni diverse: due miscele con robusta con prezzi che partono dai 17,5 euro al kg fino alle due di sole arabica che arrivano fino ai 27,5 euro al kg. I chicchi si presentavano bruciati, coler marrone scuro/nero, lucidi e ricoperti da abbondanti formazioni oleose, lasciati all’aria e alla luce.

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Pagato il sacchetto l’abbiamo aperto e annusato: smorfia di disgusto da parte di entrambi per i forti sentori di rancido, puzzo di medicinale e di cuoio, sentori di bruciato. Sul sacchetto di questo caffè la dicitura: “durante la lavorazione presso il nostro stabilimento degli apparati elettronici preordinano, controllano e comandano continuamente ogni fase della miscelazione e torrefazione per rimanere costanti nel tempo le caratteristiche inconfondibili di questa miscela di caffè”. Se il risultato dev’essere questo io e Andrea consigliamo il torrefattore di eliminare i suddetti controlli, forse la qualità del suo caffè avrebbe un incremento.

Ulteriore curiosità del locale: due macinacaffè da drogheria macinano i chicchi, la polvere viene trasferita in una zuccheriera dove il “barrista”, come si pronuncia a Napoli, preleva di volta in volta con un dosatore a cucchiaio le singole porzioni di macinato e le rovescia nel filtro. La pressatura manuale è minimale e garantisce comunque, visto che la polvere è macinata finissima, che il caffè nei primi 30 secondi di erogazione esce a “gocce”, quindi con un flusso che presagisce una sovra estrazione.

Il voto medio sulla qualità degli espressi di Piazza Garibaldi è stato, su una scala di 1 a 10 (dove il 6 è la sufficienza da un punto di vista qualitativo), quattro.

Definizione di espresso

La votazione data ai caffè assaggiati in questa giornata definisce la sufficienza con il voto di 6 a una tazza di caffè con una crema nocciola/nocciola scuro, di tessitura fine e persistente, un aroma di media intensità non difettato e caratterizzato da piacevoli note di pan tostato e biscotto, da un profilo gustativo dolce, poco amaro, da un corpo medio e assenza di astringenza, da un retrogusto mediamente intenso e persistente.

La tazzulella.

“Ma perché, nonostante l’infuso nero non abbia radici partenopee, chiunque mette piede a Napoli resta attratto dalla tazzulella più famosa al mondo? Il più classico dei luoghi comuni popolari vuole che il segreto sia l’acqua, storicamente buona nella città vesuviana; ma si tratta appunto, di un semplice luogo comune. Napoli è maestra di reinterpretazioni e anche il caffè lo dimostra. Il vero segreto è racchiuso nella miscela napoletana e nella sua particolare tostatura, che le conferisce una più scura colorazione rispetto a quella delle altre regioni italiane e straniere. Si dice che nella miscela napoletana che è “cotta al punto giusto”. Ciò significa che le è prestata una grande attenzione durante il processo di torrefazione, che se fosse solo di poco più lunga causerebbe la bruciatura della miscela stessa. Questa specifica tostatura, dopo qualche giorno di riposo, esalta gli olii essenziali e contribuisce a una migliore estrazione degli aromi, Tutta questa esclusiva lavorazione a monte, unita alla maestria nelle manovre alla macchina espresso, conferisce il caratteristico gusto al caffè napoletano”.

Tratto da Made in Naples di Angelo Forgioni ed. Megenes.

A questo paragrafo io ed Andrea preferiamo non commentare.

Dopo questi primi 4 assaggi il nostro palato è già contaminato da un retrogusto intenso e persistente prevalentemente difettato che ci farebbe già desistere da quest’impresa di arrivare fino a via Santa Lucia fermandoci nei bar che casualmente incontreremo. Il desiderio però di trovare un buon caffè ci spinge a continuare.

Corso Umberto I

Durante la passeggiata lungo il corso Umberto I sono state tre le tazze assaggiate con dei risultati in tazza, mediamente, sorprendenti:

crema: mediamente marrone chiaro/marrone, tessitura medio/fine, bassa consistenza

aroma: legno, straccio bagnato, rancido, bruciato, terroso, pan tostato, biscotto, cioccolato

gusti: prevalentemente molto amaro

al palato: astringenti

retrogusto: rancido intenso, legno bagnato, muschio e sottobosco, biscotto, cioccolato fondente, cacao amaro

 

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Uno dei bari visitati, sempre dotato di macchina a leva che è una dotazione ritrovata nella maggior parte dei locali, aveva le tazze sporche con un alone marroncino e a chiazze diffuse che nascondevano il colore candido della porcellana bianca, il macinacaffè sporco dei residui oleosi dei chicchi nella campana e della polvere di caffè nel dosatore, le tazzine immerse sottosopra in recipienti riscaldati da un flusso continuo di acqua bollente proveniente direttamente dalla caldaia della macchina espresso e che spesso ustionano il consumatore al tocco con le labbra.

Con riferimento a questo argomento in uno dei bar visitati Andrea chiede di poter fare la latte art e presa in mano la tazza di cappuccino per decorarlo quasi si ustiona perché la tazza è talmente calda che non riesce a tenerla in mano: risulta impossibile versare il latte con la schiuma e decorare il cappuccino.

Il voto medio di corso Umberto I è stato di tre.

Galleria e piazza del Plebiscito.

Finalmente arrivati nella zona “bene” di Napoli speriamo di poter degustare finalmente un buon caffè anche perché una delle tappe è il famoso caffè storico Gambrinus. La delusione è invece dominante, anche nel più famoso locale di Napoli la qualità organolettica della tazza è da una votazione media di quattro. La tazzina in piazza Plebiscito era con una crema marrone, tessitura grossolana e poco persistente, aromi di rancido, terroso, latte di mandorla, paglia, cacao amaro, nocciola tostata, astringente, corpo medio e restrogusto intenso. Con lo zucchero l’astringenza aumenta così anche come i sentori di terra.

Una curiosità che ruota attorno al rito del caffè napoletano è che ciascun consumatore desidera per il suo caffè diversi tipi di tazzine: la classica tazzina di porcellana, la tazzina di vetro, il bicchierino di vetro il bicchierino da “shot”. Il bicchiere d’acqua che accompagna il rito dell’espresso è un “must” in tutti i locali visitati.

Con o senza zucchero?

A Napoli il barrista autonomamente zucchera con un cucchiaino di zucchero bianco l’espresso aggiungendolo nella tazzina prima dell’erogazione. Una variante è l’addizione di due cucchiaini di zucchero per una bevanda che in media è di 15 ml. In quasi tutti i bar visitati abbiamo assaggiato la tazzina amara e poi zuccherata, come è da tradizione, con una bustina intera di zucchero (circa 6gr), confermando che nella maggior parte dei casi il profilo organolettico peggiora facendo affiorare sentori più intensi di muschio, terra e sottobosco, a volte leggermente ammuffiti ed esaltano la sensazione negativa dell’astringenza. Le note positive che a volte sono aumentate nell’intensità sono quelle del corpo e la fuoriuscita di sentori di gianduia e cioccolato al latte. Nel complesso l’aggiunta di zucchero non aiuta a migliorare la qualità della tazza che a volte risulta essere maggiormente rancida e persistente nel retrogusto.

I miti del “barrista”

Finiamo il nostro percorso in via Santa Lucia dove incontriamo un piccolo locale, curato, aperto da pochi mesi dove degustiamo il “solito” espresso con sentori aromatici di terra e sottobosco, legno e nocciola tostata, discreta corposità, astringenza lieve e una nota amara pronunciata. Ci intratteniamo con il “barrista” che entusiasta del suo lavoro ci racconta alcune chicche del suo mestiere:

–          la macchina a leva è l’unica che riesce, grazie anche a un’elevata temperatura dell’acqua, ad estrarre un caffè “forte e corposo”

–          la dose che viene usata per il caffè è dosata dal dosatore del macinacaffè con l’aggiunta manuale di un cucchiaino di polvere che viene prelevata da un contenitore all’aria dove periodicamente viene aggiunto del caffè macinato prelevato con il portafiltro e rovesciato nel contenitore. Il risultato? Ogni singola dose sarà sempre diversa.

–          Le tazzine lasciate a bagnomaria nell’acqua pressoché bollente permette di avere una tazzina così calda che esalta maggiormente le caratteristiche positive del caffè. Il vero barrista napoletano si vanta di avere un “callo” sulle dita che lo difende dalle continue bruciature dovute alla presa delle tazzine calde. Esiste una tecnica per la prese della tazzina calda dall’acqua calda che tramandata da barista a barista. Le tazzine sono a bagnomaria sottosopra e il barrista, con una spinta con l’indice del fondo della tazzina che fuoriesce dall’acqua muove la tazza obliquamente facendo fuoriuscire il manico che viene, con un’abile e veloce mossa della mano, afferrato e quindi sollevata per essere subito dopo posizionata sotto i beccucci del portafiltro. Alcuni clienti chiedono il caffè preparato in tazza fredda, quindi nella postazione del bar c’è una riserva di tazzine tenute a temperatura ambiente.

–          Dotazione del banco bar, affianco al macinadosatore, c’è spesso uno stuzzicadenti che viene inserito all’interno del beccuccio del portafiltro durante l’erogazione nel caso fuoriuscisse il caffè solamente da una parte a causa di una erogazione iniziale troppo lenta a gocce.

–          Affianco al bricco del latte un altro bricco è colmo di una crema color nocciola fatta da zucchero bianco mescolato ed agitato con caffè che viene aggiunta ai caffè per asporto per dargli quel qualcosa in più che dovrebbe compensare il fatto di averlo preparato in bicchiere di plastica e di degustarlo dopo qualche minuto a una temperatura più bassa.

Il caffè sospeso.

“Riti e storie ruotano attorno al caffè partenopeo. E’ di regola berlo con le quattro C, ossia le iniziali della frase “comme coce chistu cafè”. E scalda più il cuore che il palato un’usanza nata nel quartiere Sanità: il caffè sospeso. L’avventore paga due tazzine, di cui una a beneficio di un ignoto indigente che ne faccia richiesta.”

Tratto da Made in Naples di Angelo Forgioni ed. Megenes.

Che dire? Nobile usanza ormai caduta in disuso dalle ormai vecchie e vetuste tradizioni popolari.

Da via Santa Lucia decidiamo di prendere un taxi per ritornare alla stazione dei treni. Durante il tragitto approfittiamo del giovane tassista per scambiare due parole sulla tradizione partenopea del buon caffè e subito ci viene detto che la preparazione a casa con la storica napoletana è stata sostituita dalla moka, come di fatto nel resto d’Italia. Alla domanda quale sia il caffè più diffuso a Napoli, dopo un breve elenco di 4 torrefazioni locali, si sofferma sulla quarta affermando che è più diffusa delle altre in quanto è risaputo che viene scelta dai barristi non tanto per la qualità del prodotto ma per i finanziamenti resi ai locali che sembrano essere superiori ai suoi concorrenti.

Il percorso.

Piazza Giuseppe Garibaldi, corso Umberto I, via San Carlo, Piazza del Plebiscito, via Santa Lucia. Per gli appassionati del buon caffè un percorso da non farsi se lo scopo è quello di degustare un caffè espresso di qualità.

Conclusione.

I ricordi migliori di questo “espresso coffee tour in Naples”? La sfogliatella presa in piazza Garibaldi, al ritorno, prima di risalire sul treno Italo per Firenze e la meravigliosa vista del Vesuvio da piazza Plebiscito! 

CIMBALI M2

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