Condividi con noi le tue storie legate al caffè scrivendo a direzione@comunicaffe.it.
Andrej Godina, dottore di ricerca in scienza, tecnologia ed economia nell’industria del chicco, condivide le sue riflessioni dopo aver partecipato a un talk organizzato da Luigi Morello ad Host Milano 2025, incentrato su come comunicare oggi il caffè e sulla formazione di critici e operatori del settore.
Secondo Godina, è arrivato il momento di superare l’ormai obsoleta fase del “il caffè è tutto cattivo”: oggi l’obiettivo comune deve essere far conoscere al consumatore il caffè di qualità che già esiste, valorizzando competenze, conoscenze e passione lungo tutta la filiera.
Leggiamo di seguito il suo contributo.
Basta demolire il caffè italiano: impariamo a riconoscere e valorizzare quello buono
di Andrej Godina
MILANO- Alla fiera Host Milano 2025 il caffè è tornato protagonista con un talk dedicato alla comunicazione del caffè, organizzato da Luigi Morello. Il panel dei relatori, moderato da Mauro Illiano, curatore della Guida delle torrefazioni, ha riunito tre figure che rappresentano tre modi diversi di raccontare questa bevanda: il sottoscritto in veste di caffesperto e divulgatore scientifico, Valentina Palange, autrice e social creator, Alberto Polojac, coordinatore nazionale SCA, importatore caffè verde e formatore.
Il titolo dell’incontro, “Espresso sotto i riflettori: il ruolo dei media tra critica e valorizzazione” è stato un invito a riflettere sul modo in cui oggi raccontiamo il caffè al pubblico.
Un tema attuale, perché se da un lato la filiera ha compiuto passi avanti in termini di miglioramento della qualità e professionalità, dall’altro la percezione del consumatore medio è rimasta spesso ferma a schemi vecchi: l’espresso “forte”, il gusto amaro come sinonimo di qualità, la crema spessa sulla quale lo zucchero non scende, il prezzo della tazzina sempre uguale indipendentemente dalla qualità.
Nel corso del dibattito è emerso con chiarezza che la comunicazione è oggi la vera frontiera del cambiamento. Saper raccontare il caffè significa saper tradurre la complessità della filiera — dal chicco verde fino al flavore in tazza — in un linguaggio comprensibile e stimolante per il pubblico.
Il claim obsoleto “il caffè in Italia fa schifo”
Uno dei punti centrali del talk è stato proprio il superamento del vecchio slogan “il caffè in Italia fa schifo”. Una frase nata come provocazione — diventata celebre dopo la trasmissione Report di Rai3 del 2016 — che ha avuto il merito di scuotere le coscienze, ma che oggi appare superata e riduttiva.
In quella fase storica, il messaggio era necessario, serviva a rompere il mito dell’eccellenza del caffè italiano, senza un grande fondamento qualitativo, e a denunciare la scarsa qualità diffusa nei bar e la scarsissima formazione dei baristi e a stimolare una riflessione critica sul sistema. Da allora, molti operatori – torrefattori, baristi, formatori, e comunicatori – hanno raccolto la sfida, iniziando un lento ma costante processo di cambiamento.
Oggi il caffè italiano non è più “tutto uguale” né “tutto cattivo”: esiste una grande varietà di approcci, stili di tostatura, origini e modelli di servizio che meritano di essere valorizzati. Come ho ribadito nel mio intervento a Host, «dopo anni di critica al sistema, è il momento di iniziare tutti assieme a costruire qualcosa di positivo».
È giunto quindi il momento in cui bisogna passare dal “non è buono” al “questo è buono, e ti spiego perché”, accompagnando il consumatore nella scoperta di quelle torrefazioni virtuose, bar indipendenti che scelgono qualità, nuove generazioni di baristi più consapevoli.
La Guida dei caffè e delle Torrefazioni d’Italia
Il cambio di paradigma nella comunicazione del caffè è oggi evidente. Dopo anni in cui il dibattito pubblico si è concentrato sulla denuncia delle carenze qualitative, si avverte la necessità di passare a una fase costruttiva: far conoscere, raccontare, spiegare cosa rende un caffè buono. Non si tratta più di dividere il mondo tra “caffè italiano cattivo” e “Specialty coffee buono”, ma di restituire alla parola qualità il suo significato reale.
La qualità nel caffè è il risultato di una filiera coerente, dalla produzione alla preparazione in tazza e comunicare questo concetto al grande pubblico significa spiegare in modo semplice perché una tazza pulita, equilibrata e piacevole sia preferibile a una bruciata o difettata. È un racconto che deve basarsi sull’esperienza sensoriale più che sul giudizio morale.
In questo percorso, strumenti come la Guida dei caffè e delle torrefazioni d’Italia hanno un ruolo importante, ovvero quello di orientare il consumatore, aiutarlo a districarsi in un mercato in cui la differenza tra un buon caffè e uno mediocre non è sempre evidente.
La Guida invita i lettori a scoprire il valore della diversità attraverso i diversi stili di tostatura, diversi flavori, diversi metodi di estrazione.
Come ho sottolineato durante il talk, “non dobbiamo più ripetere che il caffè in Italia non è buono, dobbiamo invece mostrare e far assaggiare i tanti caffè che invece lo sono”.
Durante il talk di Milano Valentina Palange che, partendo dal titolo del suo libro Il caffè in Italia fa schifo, ha sottolineato: “Volevo colpire l’orgoglio italiano per far riflettere”, ha spiegato. “Dietro quella frase c’è un atto d’amore: volevo che le persone si interessassero al caffè, che capissero cosa bevono ogni giorno.”
Alberto Polojac ha portato invece la prospettiva della filiera e della formazione. “Il barista del futuro non sarà più solo un esecutore – ha detto – ma un narratore. La macchina estrarrà il caffè, ma sarà lui a raccontarlo, a spiegare cosa c’è dietro una tazzina.”
Nel mio intervento ho ribadito che serve una nuova narrazione positiva, del caffè, “il problema non è più lo Specialty contro la tradizionale, ma il caffè pulito contro il caffè difettato”. Il punto di partenza, oggi, è la necessità di eliminare i difetti sensoriali che ancora oggi affliggono gran parte del caffè servito nei bar.
Il moderatore Mauro Illiano ha guidato il dibattito mettendo in evidenza il ruolo chiave della comunicazione. “Il caffè è un prodotto complesso – ha ricordato – ma resta una delle bevande meno conosciute. Serve scegliere un linguaggio adatto al pubblico, capace di unire tecnica ed empatia.”
Le sfide ancora aperte
Il mondo del caffè italiano deve ancora affrontare ostacoli profondi che rallentano l’evoluzione culturale del settore. Il primo riguarda la struttura del mercato: molti bar sono ancora vincolati da contratti di esclusiva con le torrefazioni, un sistema che limita la possibilità di offrire varietà di prodotto al cliente finale.
Finché i bar non diventeranno luoghi di scelta – delle vere e proprie “caffeteche” capaci di proporre più marchi e stili di bevuta – il consumatore continuerà a credere che esista un solo tipo di caffè.
Un secondo problema è la mancanza di racconto e trasparenza. Le etichette del caffè, anche quelle di prodotti di fascia alta, spesso non riportano informazioni chiare su origine, varietà, data di tostatura o profilo sensoriale.
Il risultato è un consumatore disorientato, costretto a fidarsi più del marchio che della qualità reale. È necessario che le torrefazioni facciano uno sforzo di comunicazione, come già avviene in altri settori alimentari, per avvicinare il prodotto ai consumatori imitando ciò che il mondo del vino ha già fatto da molto tempo.
Un’altra sfida riguarda la formazione, in particolare dei giornalisti che scrivono di caffè che raramente conoscono davvero la materia; molti ristoratori considerano ancora il caffè come un semplice atto di fine pasto e troppi baristi restano concentrati solo sulla tecnica, trascurando l’importanza del racconto ai loro clienti.
Formare chi comunica e chi serve il caffè è fondamentale per migliorare la percezione di valore del caffè al pubblico e creare una narrazione coerente, basata su informazioni vere e qualità del flavore.
Il ruolo del consumatore sarà sempre più centrale, dobbiamo tutti assieme accompagnarlo a sviluppare la capacità di riconoscere le differenze, di pretendere trasparenza e professionalità.
La vera rivoluzione non sarà nelle macchine di estrazione e nelle nuove tecnologie o nei nuovi trend di bevanda, ma nella consapevolezza del consumatore che inizierà a riconoscere un buon caffè, a sceglierlo intenzionalmente e a chiedere di più ai locali che frequenta: solamente in questo caso potremo dire che la cultura del caffè in Italia è davvero cambiata.
E in quel giorno, finalmente, non ci sarà più bisogno di provocare per far riflettere il consumatore ma basterà servire una tazza di caffè erogata bene, raccontata con passione e dal buon flavore.
Andrej Godina































