venerdì 12 Aprile 2024
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Gambino porta all’Expo di New York e negli Usa cibo, ingredienti e il caffè italiano

A New York l’International Franchise Expo: cibo, moda e design le insegne più richieste. Alessio Gambino (Ibs North America): per cominciare sono preferibili le città minori. Soprattutto, bisogna riappropriarsi della forza del made in Italy, spesso lasciata ai retailer internazionali

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MILANO – Il cibo è di sicuro un prodotto molto apprezzato dagli americani. Quindi, un’ottima strategia per conquistare questo mercato, è puntare sulle città minori delle capitali e pensare come i consumatori statunitensi. Queste sono le regole per il successo di un franchising, secondo Alessio Gambino. Il ceo di Ibs North America. La società specializzata nell’internazionalizzazione delle imprese italiane oltreoceano.

Alessio Gambino: made in Italy rubato dai retailer internazionali

«A breve, partirà l’International Franchise Expo di New York (dal 31 maggio al 2 giugno) e occorre investire», dice. «Siamo noti in tutto il mondo per il food e gli ingredienti unici, dalla pizza all’espresso. Ma poi sono stati i retailer internazionali a costruire su nostre specialità catene di grande successo, da Pizza Hut o Starbucks».

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Per il secondo anno insieme a Ice, Confinprese e associazioni di settore (Assofranchising e Federfranchising)

Ibs allestirà nel Padiglione Italia una vetrina delle insegne pronte a mettere radici negli States. Intanto, incoraggia i brand a crescere in un mercato chiave.

«Per le aziende è necessario investire secondo gli standard Usa; dal marketing alla forza vendita. Oltre che cercare partner forti più che franchisee (i gestori dei negozi)».

I settori trainanti

Risponde Alessio Gambino «Il cibo attualmente detiene il 37% del totale delle attività operative in franchising. A seguire il fashion, il design e in generale il mondo dei servizi. Soprattutto quelli dedicati alla persona».

Nell’America di Amazon il saldo delle aperture, sia delle insegne con oltre 50 vetrine, sia di format di dimensioni più ridotte, è stato positivo. Rispettivamente per 4 mila e seimila unità, secondo una ricerca Ihl del 2017.

«Senza dubbio il mondo del retail sta vivendo un grande cambiamento», aggiunge il manager. «Il periodo del “costruisci e la gente entrerà” è finito.

I grandi nomi si stanno concentrando sulla customer experience; investono in training del personale, attuano una strategia multicanale. Ma non si può non esserci, gli Stati Uniti sono un banco di prova».

Rispetto alle potenzialità dei marchi italiani le insegne sono sottodimensionate

«I Barilla, i Rana, Illy (il marchio di caffè l’anno scorso era all’International Franchise Expo di New York) sono format che potrebbero crescere.

Sono brand icona della nostra tavola, portatori di valori immateriali da sempre riconosciuti alla cultura del made in Italy; eppure se pensiamo a pasta, pizza e gelato, non esistono concept globali, al di fuori del caso Eataly».

Alcuni esempi

Sul reatil organizzato scommettono «da Rosso Pomodoro a Amorino per i gelati», dice Alessio Gambino. «Per aprire un’attività servono dai 12 ai 18 mesi.

Il mio consiglio è non andare in città difficili, modello New York, Los Angeles o la stessa Miami. Qui i concept innovativi sono stressati al massimo, ma puntare su realtà minori per abbattere i rischi. Penso al romano Bonci che ha aperto la sua panetteria a Chicago, ad Alice per la pizza al taglio partito da Philadelphia».

Presenti allo Javits Center

Qui porteranno la loro storia 101Caffè, Bacio Nero, Dreamfood, Filicori Zecchini (caffetterie), Ju’sto (borse e accessori); Gruppo Europa (servizi), Natuzzi Italia, Phonup (riparazioni smartphone), Primadonna (moda) e Queen’s chips Amsterdam.

Le previsioni per il settore sono rosee

«È stimata una crescita di aperture dell’1,9%, le unità operative dovrebbero raggiungere quota 759 mila (14 mila in più rispetto al 2017);

le assunzioni cresceranno del 3,7% (per un totale di 8 milioni di dipendenti). Mentre, 757 miliardi di dollari saranno invece i ricavi (+6,2% rispetto al 2017). Il franchising contribuirà per il 3% alla formazione del Pil statunitense».

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