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Ima, parla Vacchi: “Importante scegliere di dare fondi a progetti meritevoli”

Il presidente: «Prepariamoci: la ripresa sottolineerà le differenze: da una parte chi ha continuato a lavorare durante la pandemia e sta agganciando la domanda dei mercati, dall’altra i dipendenti che perdono il lavoro e gli autonomi costretti a chiudere l’attività. Come Paese dobbiamo lavorare per ridurre questa forbice»

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MILANO – Ima Group è un’azienda che si è affermata molto nel settore del packaging, adattandosi a diversi prodotti, dal caffè ai vaccini. Il tratto comune resta lo spirito imprenditoriale, fatto di lavoro, sacrificio e visione di insieme. In un contesto ancora caratterizzato dal virus, la voce di un business man come Alberto Vacchi, presidente Ima, può esser presa come punto di riferimento. Leggiamo l’intervista di Rita Querzè su corriere.it.

Vacchi commenta la ripresa

«Mario Draghi è come un centravanti che da solo vale la metà della squadra. Averlo nel ruolo di presidente del Consiglio in questa fase così delicata è un’opportunità. Ma non basta. È importante che la politica sostenga con responsabilità l’impostazione di riforme complesse. Evitando quindi la rincorsa del consenso di breve respiro».

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Alberto Vacchi è un imprenditore della packaging valley emiliana. La sua Ima produce macchine per impacchettare di tutto: dal té ai farmaci. E anche i vaccini. In questi anni l’azienda è cresciuta fino a raggiungere il miliardo e mezzo di fatturato. Ma la sua routine quotidiana non è cambiata: la sveglia è rimasta fissa alle 6 del mattino.

Quanto è solida la ripresa? Il tasso di crescita del Pil può superare il 4,2% previsto dalla commissione Ue?

Vacchi: «Non mi sorprenderebbe. Una parte dell’industria sta agganciando una ripresa importante. Il tutto mentre anche i servizi e il turismo stanno ripartendo».

La disoccupazione però è salita al 10,7%.
«Prepariamoci: la ripresa sottolineerà le differenze: da una parte chi ha continuato a lavorare durante la pandemia e sta agganciando la domanda dei mercati, dall’altra i dipendenti che perdono il lavoro e gli autonomi costretti a chiudere l’attività. Come Paese dobbiamo lavorare per ridurre questa forbice».

D’altra parte le imprese non vivono solo di export…
«È probabile che in una prima fase l’export sostenuto della ripresa mondiale possa compensare un eventuale calo della domanda interna. Ma questo non risolve il problema. La coesione sociale sarà messa alla prova e abbiamo bisogno di strumenti adeguati per affrontare la situazione. A partire da una riforma che introduca stabilmente ammortizzatori sociali anche nei settori in cui non esistono. L’emergenza da cui stiamo cercando di uscire dovrebbe averci insegnato qualcosa».

Il blocco dei licenziamenti termina il 30 giugno ma la riforma degli ammortizzatori non c’è.
«Credo che le due cose debbano andare di pari passo».

Salvini ha aperto al prolungamento del blocco dei licenziamenti. La partita è chiusa?
«Credo che questo genere di partite non si possano chiudere senza la fatica del confronto tra le parti sociali. Difficile, duro se necessario, ma il confronto deve esserci».

Quale è la riforma più urgente tra quelle contenute nel Pnrr secondo Vacchi?
«Quella della pubblica amministrazione. È un’impresa molto complessa. Potrà essere realizzata solo se la politica dimostrerà la responsabilità di cui parlavo all’inizio».

Le aziende si stanno attrezzando per vaccinare i dipendenti. Era necessario?
«Sì. Le aziende possono svolgere un ruolo importante anche in prospettiva per i richiami e nel convincere i più riluttanti al vaccino».

Si sta facendo abbastanza per stimolare la crescita dei settori chiave per il futuro?

«Per la prima volta non abbiamo briciole ma fondi veri. Sono fiducioso. L’importante sarà scegliere, anche tra le imprese, dare fondi ai progetti che meritano. Anche perché l’allentamento dei vincoli di bilancio è solo temporaneo».

I morti sul lavoro in Italia in proporzione superano quelli degli altri Paesi Ue.

«Bisogna essere durissimi nel fare rispettare la legge e nello stesso tempo non imbrigliare le imprese oneste. Durante la pandemia un confronto molto aperto con i sindacati ha portato a identificare percorsi che rendono il lavoro più sicuro. La concertazione non è una bestemmia ma un’opportunità se gestita nel modo dovuto».

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