martedì 02 Dicembre 2025

Nella Finca La Senda, in Guatemala la specialty coffee farm: “Il nostro caffè non è caro, è giusto”

La produttrice: "Mio nonno avviò La Senda con dedizione, senza l’ausilio della tecnologia, seguendo l’istinto e l’amore. Oggi non vediamo più il caffè come una merce, ma come un alimento con una propria identità e una ricca storia alle spalle"

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MILANO – Dall’altra parte della filiera, dove il chicco di caffè ha origine, si trova Finca La Senda, una Specialty Coffee Farm con sede in Guatemala, fondata nel 1940 e ancora gestita a livello famigliare. Le modalità di lavoro, le condizioni dei coltivatori di questa materia prima, raccontati da Maria Eugenia Escobar, una donna del caffè.

Nella Finca La Senda, che cosa è cambiato e cosa è rimasto uguale nel mercato e nel vostro modo di lavorare?

“Le nostre radici sono rimaste le stesse: connessione con la terra, lavoro onesto e rispetto per la natura. Mio nonno avviò La Senda con dedizione, senza l’ausilio della tecnologia, seguendo l’istinto e l’amore. Oggi non vediamo più il caffè come una merce, ma come un alimento con una propria identità e una ricca storia alle spalle.

Puntiamo sulla qualità, con lotti piccoli, sulla tracciabilità completa e sui rapporti diretti con torrefattori nel mondo. L’essenza quindi, non è cambiata: la passione per fare le cose bene continua a caratterizzare La Senda.”

Quali varietà di caffè coltivate ne La Senda? Quanti ettari avete? È tutto caffè di specialità?

“Abbiamo 27 ettari con all’interno una grande diversità varietale: Bourbon, Caturra, Typica, Pacamara, Gesha, Java, Catimor, Anacafé 14, Marsellesa, Pache e Maragogipe. Coltiviamo solo specialty coffee e non questo perché cerchiamo l’eccellenza più che grandi volumi.

Ogni varietà segue il proprio protocollo di raccolta e lavorazione. Per noi, il caffè nasce dal seme, ma si completa nella tazza.”

Parliamo di fermentazione: come siete riusciti a controllare scientificamente questo processo?

I due farmers della Finca La Senda (foto concessa)

“La fermentazione è un pilastro degli specialty. Non lavoriamo più a occhio: misuriamo pH, temperatura, gradi Brix, tempi, ossigenazione. Usiamo fermentazioni aerobiche, anaerobiche, macerazione carbonica e lieviti selezionati. Ogni fermentazione ha un obiettivo sensoriale. Il nostro ormai è diventato un piccolo laboratorio dove scienza e natura dialogano.”

È stato un investimento che ha portato a un miglior posizionamento in termini di prezzo?

“Sì. Un caffè ben fermentato e documentato si distingue dagli altri. I nostri micro lotti raggiungono torrefattori negli USA, in Europa e in Asia, dove ci sono dei clienti disposti a pagare un prezzo giusto. Ma non è solo una questione di maggiore guadagno economico: con il nostro lavoro otteniamo riconoscimento, e riusciamo a costruire relazioni solide attraverso un approccio sostenibile.

Tutto questo a sua volta ci permette di reinvestire e innovare. Ricordiamo che la qualità ha un costo anche in fase di produzione e che i nostri margini si registrano attorno al 10%. Così, un cattivo raccolto ha un alto rischio di provocare una perdita economica”.

Le nuove generazioni sono interessate a continuare questo mestiere, portando innovazione?

“Sì, anche se non è semplice. In passato lavorare in campagna significava sacrificio. Ma oggi investiamo nella formazione, nell’accesso alla tecnologia e nell’incentivare lo spirito imprenditoriale. Rappresento questa generazione che vuole fare questo mestiere con passione e scienza, trasparenza e creatività. Essere produttori oggi di caffè non è solo lavorare la terra, ma anche educare e creare valore dall’origine. “

Cosa ne pensate delle certificazioni biologiche e del commercio equo?

Maria Eugenia Escobar (foto concessa)

“Ne riconosciamo il valore, ma non sempre sono sistemi e certificazioni accessibili ai piccoli produttori. Noi pratichiamo un’agricoltura rigenerativa, curiamo il suolo, proteggiamo il bosco e promuoviamo la biodiversità: non ci serve un’etichetta per fare la cosa giusta. Preferiamo la trasparenza diretta: condividiamo pratiche, coordinate e invitiamo a visitare La Senda. Il commercio equo per noi è innanzitutto una relazione umana, basata sul rispetto e sulla fiducia.”

Agli italiani piace il caffè guatemalteco? Potete entrare in quel mercato?

“L’Italia ha una cultura gastronomica ricchissima. Ma spesso il caffè è amaro, tostato eccessivamente, ricavato da chicchi difettosi. Per fortuna adesso si sta facendo sempre più sentire una nuova generazione di torrefattori e consumatori che cerca lo specialty come il nostro caffè, che ha una complessità, una dolcezza, un’acidità fruttata, note floreali e corpo succoso. Invitiamo i consumatori italiani a scoprirlo, perché, quando si assaggia un buon caffè, non si torna indietro.”

Ma come si beve il caffè in Guatemala?

“Tradizionalmente molto forte e dolce, ed è quasi un rituale familiare. Ma sta cambiando anche quest’abitudine di consumo: sempre più persone provano metodi come V60, Chemex o Aeropress e bevono caffè senza zucchero, cercando più aroma e texture. In città come Antigua o Città del Guatemala c’è una scena specialty vibrante. Anche nelle fincas incoraggiamo la nostra comunità a provare questo prodotto e a valorizzarlo.”

Come affrontate la normativa europea contro la deforestazione (EUDR)?

“Ormai lavoriamo da anni per implementare la tracciabilità geografica, la mappatura, e l’applicazione di pratiche rigenerative e conservazione, quindi siamo già pronti per rispettare i parametri stabiliti dalla normativa, ma serve maggiore supporto. È importante che l’EUDR venga applicata con sensibilità e ascoltando la voce del produttore.”

Cosa direste ai consumatori che si scandalizzano per il prezzo di un espresso?

“Faremmo questa domanda: quanto vale davvero quella tazzina? Ci sono mesi di lavoro, raccolta manuale, selezione, fermentazione, essiccazione, esportazione, tostatura… Lo specialty coffee non è caro, è giusto. Così come paghiamo volentieri per un buon vino, dovremmo fare lo stesso per il caffè, che è cultura, arte, vita. Scegliere una tazzina prodotta bene dalle origini, significa sostenere una filiera etica e trasparente. E una volta provato… non si torna indietro”.

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