mercoledì 10 Aprile 2024
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Michele Monzini, presidente Consorzio promozione caffè: “La formazione del barista e del consumatore è la chiave per fare aumentare la qualità”

Il presidente: "A volte alcune affermazioni vengono fatte solo per creare polemica, ma io condivido quanto detto a riguardo da un collega, vale a dire che la qualità può crescere all’interno dei bar, che oggi ancora non la offrono, solo se il consumatore è formato e ha il coraggio di dire a chi lo ha servito “quello che ho bevuto non è all’altezza delle mie aspettative”. Credo quindi che non ci si debba limitare a non tornare nel locale, ma si debba far notare il problema all’operatore, a prescindere dal prezzo che si è pagato. Solo così il barista che magari non è formato adeguatamente si sentirà più coinvolto e vorrà comprendere quali sono stati i passaggi scorretti dietro il risultato finale. L’estrazione può essere uno di questi: ricordiamo che i torrefattori offrono la materia prima, ma l’esperienza finale la offre proprio il barista che, se anche fosse dotato delle migliori miscele e attrezzature, potrebbe rovinare il risultato finale. Diversamente da quello che accade all’estero, per gli italiani il caffè al bar è un rito e fa parte di un contesto più articolato: si va a gustare una tazzina che piace ma allo stesso tempo si apprezzano altre cose: la compagnia, un locale accogliente, la posizione in cui il locale è situato”

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MILANO – La parola a Michele Monzini, presidente del Consorzio promozione caffè, per approfondire il legame tra caffè e l’italianità prendendo spunto dai dati emersi dallo studio “Gli italiani e il caffè” condotto insieme ad Astraricerche. L’obiettivo dell’organismo da oltre vent’anni: valorizzare il caffè dando stimoli per una crescita sempre in termini qualitativi.

Presidente Monzini, di recente sono sorte critiche, anche forti, sulla qualità del caffè italiano, lei come commenta?

“Chiaramente non sono d’accordo: il caffè italiano è sempre più amato nel mondo e i numeri lo dimostrano. Questa affermazione è sostenuta da fatti tangibili: pensate che l’Italia è il secondo paese esportatore all’interno della comunità Europea ed il primo nei paesi Extra UE.

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Il caffè italiano è apprezzato come rito, tradizione ed è uno dei prodotti agroalimentari del made in Italy più ricercati nel mondo. Certo, c’è la possibilità di bere caffè pessimi come eccellenti ovunque, in Italia e oltre oceano, ma questo vale per tutti i prodotti. È il consumatore che deve scegliere.

A volte alcune affermazioni vengono fatte solo per creare polemica, ma io condivido quanto detto a riguardo da un collega, vale a dire che la qualità può crescere all’interno dei bar, che oggi ancora non la offrono, solo se il consumatore è formato e ha il coraggio di dire a chi lo ha servito “quello che ho bevuto non è all’altezza delle mie aspettative”.

Credo quindi che non ci si debba limitare a non tornare nel locale. Piuttosto serve far notare il problema all’operatore, a prescindere dal prezzo che si è pagato.

Solo così il barista, che magari non è formato adeguatamente, si sentirà più coinvolto e vorrà comprendere quali sono stati i passaggi scorretti dietro il risultato finale. L’estrazione può essere uno di questi: ricordiamo che i torrefattori offrono la materia prima, ma l’esperienza finale la offre proprio il barista che, se anche fosse dotato delle migliori miscele e attrezzature, potrebbe rovinare il risultato finale.

Diversamente da quello che accade all’estero, per gli italiani il caffè al bar è un rito e fa parte di un contesto più articolato: si va a gustare una tazzina che piace ma allo stesso tempo si apprezzano altre cose: la compagnia, un locale accogliente, la posizione in cui il locale è situato”.

Presidente Monzini, dal vostro report è emerso che il 97,3% degli intervistati consuma abitualmente il caffè: ma quale bevono? Ancora la miscela in espresso-moka domina il mercato?

“E’ fuori discussione che la miscela sia il prodotto più consumato in Italia e forse anche nel mondo. Certamente è la tipologia più acquistata nel Bel Paese: si può notare dall’offerta negli scaffali dei punti vendita, che è profondamente orientata sui blend.

Il cambiamento maggiore si riscontra nel consumo casalingo: dove una volta c’era la moka, oggi si è imposto il consumo del monoporzionato.

Nel fuori casa invece vince ancora l’espresso estratto con la macchina professionale. La miscela tradizionale italiana per l’espresso prevede spesso una componente di Robusta che tende ad aumentare nel Sud Italia dove si consumano i caffè più corposi. Per la moka c’è più elasticità nelle miscele.

Michele Monzini Presidente del Consorzio Promozione Caffè presenta il convegno sul futuro del caffè in Italia
Michele Monzini, presidente del Consorzio promozione caffè presenta il convegno sul futuro del caffè in Italia

La miscela resta uno dei punti di forza del caffè tricolore. Anzi, è proprio una invenzione degli italiani, che hanno scoperto che mettendo insieme differenti origini specie e varietà, si restituisce un caffè con aromi diversi, più complesso ed è qui anche la bravura delle nostre aziende nel miscelare al meglio le varie provenienze e tipologie.

Oggi l’espresso si beve anche con i monoporzionati, sistemi che simulano il più possibile l’estrazione del bar, questa innovazione ha effettivamente cambiato il modo di bere il caffè dentro casa.

Da una recente indagine di Astraricerche, è emerso che il 70% del caffè infatti viene acquistato per il consumo domestico. Ma, dalla moka, si è passati al monoporzionato, che permette di avere un caffè molto simile a quello del fuori casa e dà la possibilità di scegliere tra tipologie differenti per accontentare tutti in famiglia.

Ma in tutte le occasioni di consumo del caffè, che sia a casa, al bar o al ristorante, è importantissimo un riscontro del consumatore e del cliente, che, o scegliendo un’altra miscela all’acquisto successivo nel caso del consumo a casa, o segnalando al gestore del bar o ristorante la propria soddisfazione o insoddisfazione, riesce a dare uno stimolo per un miglioramento continuo, che punti anche alla formazione.

E proprio la formazione può essere la chiave, su cui i torrefattori oggi stanno puntando molto: rispetto a 20 anni fa, tante aziende oggi hanno un’academy interna o un trainer che si occupa di formare i clienti che vogliono avere le giuste competenze per migliorare il proprio servizio e conoscere meglio la materia lavorata. Ma senza dubbio uno stimolo importantissimo può e deve venire dal consumatore finale e dal suo feedback”.

L’88% degli intervistati riconoscono il caffè come simbolo del made in Italy, ma quanti sanno cos’è un caffè di qualità?

“È difficile dare una risposta univoca. Gli italiani si considerano i maggiori esperti di caffè e proprio per questo riteniamo di dover insistere sul concetto che la formazione sia il modo di far crescere la qualità.

La sfida è quella di riuscire a coinvolgere il consumatore al fine che impari a riconoscere i difetti di una tazzina, che cosa significa qualità al di là del gusto personale ed imparare a prendersi così il tempo per degustarla, anche, perché no, rifiutando quello che non considera soddisfacente.”

Convivialità ed energia: questi sono sinonimi per gli italiani del caffè, entrambi elementi che fanno pensare al bar. Come deve cambiare questo spazio in cui avviene il rito italiano, per continuare ad essere il terzo luogo tra casa e lavoro?

“Sicuramente il bar ha mantenuto tanto della sua storia, del suo essere non solo una rivendita di un prodotto, ma un luogo di incontro e di permanenza del cliente. Molto dipende dalla sua posizione – se in città o in una località turistica e come tutti gli esercizi di somministrazione che hanno a che fare con il pubblico, devono diversificarsi a seconda del target di riferimento. Quindi in Piazza Duomo a Milano, per esempio, si pensa al turista di passaggio, con l’obiettivo di trattenerlo e fargli vivere la tradizione italiana.

In quel caso, l’espresso che è apprezzato in tutto il mondo, diventa un’esperienza particolare, che si fonde con la bellezza del luogo. Sarebbe bello che a questa corrispondesse anche un’offerta di prodotto all’altezza della location, che sia anch’essa un elemento da ricordare.

Discorso diverso si deve fare per un luogo tipo un’area di servizio autostradale: qui l’avventore ha fretta, è una sosta vincolata dalle tempistiche del viaggio. L’offerta per questo dev’essere rapida. E, non dovendosi confrontare con competitor nelle vicinanze, è ancora più importante dare un riscontro sulla qualità del caffè. Se si vuole far evolvere la bevanda qualitativamente, la spinta deve arrivare anche dal basso.

Definirei l’evoluzione del bar come un processo in corso, lento, che si sta diffondendo non soltanto attraverso lo specialty – una categoria un po’ a sé stante come può essere quella del ristorante gourmet – ma anche con il cambio di approccio del cliente finale. Molti locali si sono attrezzati con la macchina del caffè per far fronte alle richieste dei turisti.

Alcuni affiancano la miscela tradizionale a una monorigine, oppure nel caso del decaffeinato oggi molti bar hanno il macinacaffè dedicato, il che significa usare un macinato fresco. Tutto questo è indice di una volontà da parte degli esercenti di migliorare l’offerta e l’esperienza del prodotto servito”.

Il trend della salute che spesso viene collegato ad altre bevande, in particolare il tè, non ha coinvolto anche il caffè nella percezione degli italiani?

Uno dei nostri obiettivi è quello di far capire attraverso le evidenze scientifiche che il consumo moderato di caffè fa bene alla salute e non crea danni – salvo che ci siano determinate patologie per cui non è consigliata l’assunzione di questa bevanda -. Come Consorzio comunichiamo da sempre queste informazioni e continueremo a farlo.

Abbiamo un sito e due canali social Instagram e Facebook “Caffè e benessere” che hanno sempre avuto tra i propri obiettivi anche quello di valorizzare gli aspetti benefici del caffè; rispetto a 50 anni fa la percezione del caffè è cambiata ed è stato dimostrato che non solo il caffè non è nocivo ma anzi, ha molti effetti positivi, se assunto moderatamente.”

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