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Simonelli Group, il presidente Nando Ottavi: “L’azienda deve sempre crescere legata al suo territorio”

Ottavi: «In ogni momento della nostra storia, anche quando eravamo in difficoltà, abbiamo sempre fatto attenzione alla qualità e all’innovazione. Posso dire che questa tensione è stata un elemento distintivo della cultura aziendale»

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MILANO – Simonelli Group, noto al grande pubblico degli addetti ai lavori per i marchi Nuova Simonelli e Victoria Arduino, è un nome che intrinsecamente legato alla produzione di macchine per caffè dagli standard elevati, frutto di ricerca, lavoro, know-how sviluppato nel corso di anni di attività sempre alla ricerca di attrezzature che potessero esser all’altezza delle esigenze dei baristi dietro al bancone.

Questa realtà che eccelle nel made in Italy, richiama subito il nome di Nando Ottavi, che con questa azienda è riuscito a crescere dalla sua dimensione artigianale degli inizi, a impresa industriale affermata oltre i confini nazionali.

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In una lunghissima intervista di Claudio Caprara su ilpost.it. che noi riportiamo di seguito, il presidente del Simonelli Group ha ripercorso le varie tappe del gruppo, in un viaggio attraverso la tecnologia, i cambiamenti dei mercati, le prospettive future.

Consegnandoci allo stesso tempo la visione di ciò che ci ha preceduto e caratterizzato assieme all’immagine di quello che può esser il futuro di questo settore in cui l’Italia primeggia.

Simonelli Group: le origini

Comincia così l’articolo del Post: A Cessapalombo, in provincia di Macerata, un artigiano di nome Orlando Simonelli realizzò nel laboratorio sotto casa, nel 1936, la macchina per il caffè a pompa elettrica. Qui si dice che sia la prima nel suo genere. La storia non è mai lineare: le interpretazioni dei fatti riguardo alle invenzioni e le stesse date a volte sono incerte e tendono a generare infinite discussioni e dispute di campanile.

Dodici anni dopo, passata la guerra, Simonelli decise di investire tutto sulla sua invenzione, assunse personale e aprì una la sede a Tolentino, una metropoli rispetto al suo paese di origine. Le cose andavano abbastanza bene e nel 1960 la vecchia Simonelli dovette allargarsi ancora.

In quegli anni venne assunto Nando Ottavi

Che dichiara su il Post: «Sono stato assunto come apprendista nel 1963. La nostra era una piccola impresa artigiana nata da un’idea di Orlando Simonelli che voleva aggiungere ai piccoli locali, alle cantine, alle osterie della zona anche una macchina in grado di fare velocemente un buon caffè. Fin dall’inizio l’attenzione di Simonelli era rivolta all’innovazione: in quel periodo quasi tutte le macchine erano a leva, lui mise sul mercato una macchina a erogazione continua».

Ottavi, da neo diplomato delle scuole professionali, si impegnò come factotum al fianco del vecchio Simonelli. All’inizio degli anni ‘70, diventato troppo anziano e malandato, Orlando Simonelli dovette ritirarsi.

I lavoratori si trovarono ad un bivio: cercare un altro lavoro o provare a prendere in mano l’azienda

«Nel 1971 – un po’ per problemi di salute, un po’ perché non aveva nessuno che potesse sostituirlo alla guida dell’azienda – Orlando decise di cedere l’azienda. Io e un gruppo di altri dipendenti decidemmo di provare a fare da soli: decidemmo di passare da dipendenti a imprenditori di noi stessi».

Nacque così la Nuova Simonelli

Racconta il giornalista sul post: l’azienda non stava vivendo un periodo particolarmente felice. Era troppo piccola per concorrere con i giganti dell’epoca: si producevano un centinaio di macchine all’anno e il gruppo originario di lavoratori era di una decina di persone.

«In ogni momento della nostra storia, anche quando eravamo in difficoltà, abbiamo sempre fatto attenzione alla qualità e all’innovazione. Posso dire che questa tensione è stata un elemento distintivo della cultura aziendale».

Nel 1974: per la prima volta una macchina del caffè prodotta nelle Marche venne venduta negli Stati Uniti

«Guardare all’estero fu una scelta obbligata. Il mercato delle macchine del caffè in Italia era presidiato da marchi importanti e molto più forti di noi. Mettersi contro di loro in quel momento non aveva senso».

Continua Nando Ottavi per il Post: «Le comunità degli emigrati italiani sono state delle vere e proprie ambasciate dell’espresso italiano. All’inizio non è stato facile. Noi abbiamo sempre pensato che gli Stati Uniti potessero rappresentare una finestra sul mondo. Se l’espresso avesse conquistato un suo spazio commerciale lì, allora poteva diffondersi anche nel resto del mondo. Asia e Giappone sono molto influenzati dall’economia americana e questa interdipendenza poteva riguardare anche la cultura del consumo del caffè».

La scoperta dell’America

Un collaboratore della rivista dell’ICE (l’Istituto del Commercio Estero) propose di mettere la foto di una macchina della Simonelli sul giornale. La rivista finì nelle mani di Tommaso Bresciani, un operatore italoamericano che si mise in contatto con l’azienda. Voleva fare l’importatore di macchine del caffè.

«Ci venne a trovare, in una serata del 1974 e concludemmo l’affare: un ordine di 25 macchine».

Anni dopo aprì la prima filiale della Nuova Simonelli a Ferndale, una città degli Stati Uniti d’America, situata nello Stato di Washington, tra Seattle e Vancouver.

Procede la narrazione per il Post di Ottavi: «Negli anni ’90 fu lo stesso Bresciani che ci propose di fare una società insieme e così aprimmo una filiale della Nuova Simonelli. Realizzammo un capannone nella strada che porta a Seattle. Anche perché Seattle è la città del caffè in America. È lì che Starbucks aprì il suo primo negozio nel 1971».

L’azienda controllata dalla Nuova Simonelli ha raggiunto i 20 milioni di dollari di fatturato con una buona redditività, ma il più grande merito di quell’iniziativa è stata la conferma che si poteva investire nel mondo e trovare un mercato ricettivo

«La scelta si è rivelata molto felice, perché eravamo più vicini ai nostri clienti – che nel frattempo si erano moltiplicati – e ha rafforzato la capacità commerciale. Oggi ci sono più di venti addetti».

La qualità come mantra

La chiave del successo oltreoceano, riportato sul Post: «Abbiamo sempre pensato che per andare all’estero dovevamo portare qualcosa di nuovo. Per questo l’innovazione del prodotto è una nostra ossessione. Non si può esportare se non si fa qualità».

La Simonelli è leader nella vendita di macchine per il caffè espresso nel territorio americano. Oggi la Nuova Simonelli esporta in oltre 125 paesi.

«Io credo che il caffè abbia ancora un grande futuro – dice Ottavi – cresce in paesi enormi dell’Asia dove si sta affiancando al tradizionale consumo del tè».

Una delle principali attività delle filiali della Nuova Simonelli nel mondo è l’organizzazione di corsi di formazione per tecnici e baristi

Il punto di Nando Ottavi sulla formazione, continua sul Post: «Fin dagli anni ’80 abbiamo capito che era importante dare qualcosa in più ai nostri clienti – dice Ottavi – La semplice commercializzazione dei prodotti non bastava più. L’hardware lo potevano fornire in tanti. Offrire dei servizi in più non è scontato e su questo abbiamo investito».

Gli investimenti hanno portato all’apertura di una vera e propria scuola per operatori dell’estrazione del caffè.

Ed ecco quel quid per fare la differenza, Nando Ottavi lo svela al Post: «Gruppi come Starbucks e McDonald’s erano orientati ad entrare nel mercato dell’espresso all’italiana, ma non avevano un personale addestrato o tecnici in grado di fare manutenzione e assistenza alle macchine. Allora ci siamo organizzati per offrire loro servizi che potessero accompagnarne il percorso».

Il quartier generale del Simonelli Group col tempo si è spostato negli stabilimenti di Belforte del Chienti

Oggi il 93% delle macchine prodotte raggiunge il mercato straniero, che racconta ancora sul Post Ottavi: «E’ tanto ampio, è una sorta di assicurazione sul fatturato del futuro. Quando si ha un arco di clienti tanto vasto si compensano eventuali difficoltà di una zona, perché ce ne sarà certamente un’altra che andrà meglio».

Il principale competitor è il gruppo Cimbali (che comprende i marchi Cimbali e Faema). Quando la Nuova Simonelli è partita il suo fatturato era una frazione di ciascuna di queste aziende. Oggi le proporzioni sono assai diverse.

Le persone che lavorano nello stabilimento di Belforte sono 150, quasi tutte provenienti dalla zona.

Poi c’è un sistema di piccole aziende fornitrici che impiega altrettanti addetti. In alcuni casi è stata la stessa Simonelli che ha sostenuto i giovani imprenditori e li ha aiutati a far nascere piccole imprese funzionali alla produzione della “casa madre”.

«Noi teniamo ai nostri dipendenti come alla nostra famiglia. Le persone che lavorano con noi sono la nostra più grande risorsa», ripete spesso Ottavi.

Una domanda curiosa da il Post, a Nando Ottavi: è stato più coraggioso o fortunato?

«Sono stato fortunato. Lo dico sempre ai miei figli e ai nostri dipendenti. Però la fortuna non viene per caso. Ci siamo impegnati a lavorare soprattutto quando le cose non andavano bene. Negli anni ’70 e ’80 eravamo sconosciuti e avevamo molte difficoltà».

Simonelli Group è una realtà che fa gola. In giro per il mondo ci sono diversi investitori che vedrebbero bene un’acquisizione

«Io mi auguro che questa realtà possa dare serenità anche in futuro a tante famiglie del territorio. C’è tanta liquidità in giro per il mondo e naturalmente ci sono soggetti che vorrebbero investire su un’azienda come la nostra che è in grado di dare utili. Fino ad oggi non abbiamo ceduto a queste pressioni, anche se qualche volta ci sono state offerte che ci hanno fatto traballare. Noi siamo fortemente convinti che questa società debba crescere, il più possibile, in stretto rapporto con il territorio».

In media, negli ultimi vent’anni, il 30 per cento degli utili ha remunerato gli azionisti e il 70 per cento è stato reinvestito. Nei dieci anni precedenti quasi tutti gli utili furono reinvestiti.

E ancora Ottavi sul Post: «Ricerca e innovazione sono gli elementi distintivi della nostra attività. Lavoriamo con le università di Camerino e Macerata e con il Politecnico di Ancona. Da soli non possiamo migliorare».

Questa collaborazione è anche di un modo per selezionare il personale, tanto che una parte delle persone che lavorano ai progetti di ricerca poi viene assunta in azienda.

Il campionato del mondo baristi

Alla fine del 2001 la Nuova Simonelli acquisì il marchio storico Victoria Arduino: la prima macchina per caffè espresso fu progettata da Pier Teresio Arduino nel 1905, chiamata Victoria per indicare il raggiungimento del suo sogno. L’idea che ispirò quella macchina fu l’osservazione del funzionamento del treno a vapore e la necessità di preparare un caffè velocemente.

Alla domanda sul perché le macchine Simonelli sarebbero migliori delle altre Ottavi fa un esempio sul Post

«Dal 2009 c’è il campionato mondiale dei baristi – spiega Ottavi – ogni anno in un paese diverso, e vengono sempre utilizzate le nostre macchine. Anzi la nostra Victoria Arduino. Questo non è un dato acquisito una volta per tutte. Gli organizzatori per scegliere le attrezzature per questa gara fanno delle valutazioni tecniche sulla base di criteri precisi. Siamo arrivati a fornire macchine che tra un caffè e l’altro, anche a distanza di tempo, hanno ottime prestazioni con minimi cambiamenti di temperatura. Questo è molto importante per sfruttare al massimo le caratteristiche delle miscele di caffè».

Le macchine Simonelli vengono “personalizzate”. Ogni paese ha consumatori con gusti ed esigenze diverse

«Sì, anche se partiamo sempre da una macchina base – dice Ottavi sul Post – poi, anche per il rapporto che abbiamo con i nostri clienti, o con le società di torrefazione locale, possiamo regolare le macchine nel modo più adatto: possiamo regolare le temperature, le pressioni, i tempi. Con le catene il discorso è diverso perché vogliono uniformare il proprio prodotto in tutto il mondo, così una volta definiti gli standard dopo tutte le macchine possono lavorare nello stesso modo, producendo la stessa qualità di prodotto».

La legge delle 4 M

Il caffè buono dipende da come è rispettata la “Legge delle 4 M”: manualità, miscela, macchina e macinatura.

«Questi quattro elementi hanno un peso equivalente: il 25% ciascuno – spiega Ottavi sul Post – Il professionista del caffè deve conoscere alla perfezione queste cose».

Solo per dare un valore alle cose che qui descriviamo, diciamo che una buona macchina del caffè costa da seimila euro in su.

Simonelli Group detiene oggi il 10 per cento del mercato mondiale delle macchine del caffè

Oltre alla sede americana ha aperto in Francia, in Cina, a Singapore, in Indonesia.

Si sta strutturando con una holding e un sistema di aziende diffuse sia in Italia che all’estero, per essere in grado di resistere, anche finanziariamente, all’assalto dei gruppi che la vedono come un ottimo investimento.

Il fatturato del gruppo è attorno ai 130 milioni di euro l’anno.

L’articolo completo, con anche la parte dell’intervista dedicata a Marco Feliziani, il vice presidente di Simonelli Group, a questo link.

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