giovedì 11 Aprile 2024
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Moka e capsule: quando e come sono diventate rivali ma sempre compresenti nelle nostre cucine

La moka ancora è ben viva nei ricordi e nelle abitudini degli italiani, ma negli ultimi anni si è fatta strada la capsula: più smart, più veloce, con la cremina in tazza come nel bar. Ecco come questi due sistemi sono arrivate a coesistere nelle cucine dei consumatori

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MILANO – Sempre per restare in tema dei nuovi e vecchi trend del consumo domestico di caffè, facciamo un po’ il punto della situazione tra le due rivali presenti nelle case degli italiani: la moka e le capsule. Come si è arrivati all’attuale situazione, che vede le due soluzioni convivere quasi in parallelo tra le cucine delle famiglie?

Moka e capsule: una storia che inizia dal mito del bar

E sì, perché l’attrazione principale della tazzina servita al bancone dall’operatore, la cremina, è la stessa che ha spinto molti consumatori a farsi affascinare dal prodotto capsula. Un espresso proprio come quello preparato dal barista di fiducia: questa è la promessa che ha contrapposto moka e capsule in cucina.

Addio la classica caffettiera e il barattolo di macinato o ai grani da macinare all’istante, che sono anche meglio, e via libera alle macchinette del monoporzionato. Prepararsi il caffè in maniera più rapida e semplice, con un risultato estetico più accattivante, ha messo moka e capsule su un piano molto diverso. Dove, inizialmente, la prima è stata affiancata dalle seconde. E il loro costo più alto è sembrato comunque un buon compromesso per i coffeelover più di fretta e un po’ pigri.

L’origine della capsula

Quando parliamo della nascita di questo articolo un nome tra tutti spunta fuori: è Nespresso, del Gruppo Nestlé, che dal 1986 in poi ha lanciato il suo sistema proprietario. Dalla moka alle capsule di alluminio, provenienti dalla Svizzera, colorate e variegate nel contenuto.

L’Italia recentemente ha ceduto al fascino dell’offerta Nespresso. Infatti, le stesse storiche aziende nostrane hanno voluto seguire il trend crescente, adeguando la loro proposta con una propria versione di capsule compatibili, dato che nel frattempo il brevetto Nespresso era scaduto.

Moka e capsule: quanto caffè e quale materiale?

Dentro una singola capsula troverete tra i 5 e i 7 grammi di caffè a seconda delle scelte delle singole aziende. Insomma, la quantità appena sufficiente a preparare una tazzina d’espresso.

Per quanto riguarda invece il materiale impiegato, lo sanno ormai bene i consumatori più attenti al rispetto ambientale, è l’alluminio o la plastica. Una bella differenza in termini di impatto che riformula il discorso tra moka e capsule ma anche rispetto alle cialde, che invece sono prodotte con la carta filtro. Certo alluminio e plastica preservano meglio il caffè dall’ossigeno, dalla luce e dall’umidità. Ma a che prezzo? Lo smaltimento non è smart quanto la fruizione.

E a proposito di riciclo

Esistono attualmente dei punti di raccolta messi a disposizione da diverse aziende, per facilitare il compito ai consumatori rispetto allo smaltimento di questi rifiuti. Allo stesso modo sono in atto diverse iniziative di riciclo per gli articoli esausti e persino delle alternative compostabili che possono esser gettate nell’organico. Ma sono tutte soluzioni costose sia per i consumatori che per i produttori. E che sono nemiche della lunga conservazione del caffè contenuto al loro interno. La strada è ancora lunga: per ora ci si accontenta delle varianti in PLA. Ma il compromesso non è del tutto soddisfacente. Forse andrà meglio con il PLA cristallizato che qualche azienda sta cominciando a usare.

Moka e capsule: cosa significa per l’organismo

Sì perché il caffè contenuto nelle capsule, ma anche quello bruciato dalla moka, non è sempre un toccasana per il corpo. Spesso abbiamo parlato degli effetti sulla salute di questi prodotti. Per esempio, una ricerca del professor Carlo Foresta, ordinario di Endocrinologia all’Università degli Studi di Padova e presidente della Fondazione Foresta Onlus, ha indicato il contenuto delle capsule come veicolo di ftalati. Ovvero degli agenti chimici presenti nell’alluminio, nella plastica e persino nei materiali biodegradabili.

Questi elementi finirebbero direttamente nell’acqua ad alte temperature. E potrebbero compromettere la fertilità degli individui, se consumate quotidianamente secondo un effetto cumulativo.

Una questione che è ancora aperta al dibattito e che ciascuna azienda ha giustificato in un modo o nell’altro, tenendo sotto controllo questo aspetto. Come è il caso di Nespresso, ad esempio, che ha studiato delle capsule naturali e ha spiegato che tra il caffè e le capsule è posta una membrana alimentare che ne evita il diretto contatto.

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