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Le etichette nutrizionali su alimenti e bevande nel caos: ogni Paese ha le sue

L’obiettivo è frenare l’aumento dell’obesità. Secondo il ministro Speranza quella 'a semaforo' francese non tutela i cibi italiani. E in attesa di uno modello unico per la Ue, uno studio inglese ci ricorda quanto etichettare gli alimenti sia importante per la nostra salute

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MILANO – Questione di etichetta: non è una formalità nè un modo di rispettare il galateo quando si tratta di rendere trasparente il contenuto degli alimenti e delle bevande. Con i consumatori sempre più attenti a ciò che acquistano e includono nella propria dieta quotidiana, il rispetto di alcuni termini deve esser garantito in Italia come all’estero. Una regolamentazione che deve evolversi in base alle nuove evidenze scientifiche: leggiamo come il quadro sta cambiando dall’articolo di Giulia Masaoero Regis su repubblica.it.

Etichetta, un work in progress

Della necessità di inserire etichette nutrizionali chiare e semplici sui prodotti si discute da anni. L’obiettivo è rendere la spesa dei consumatori più sana e frenare l’aumento dell’obesità nel mondo (quasi triplicata dal 1975 a oggi, secondo i dati dell’Organizzazione mondiale della sanità). Su un sistema di etichettatura semplificato, però, il parere degli esperti si divide: c’è chi sostiene sia utile a migliorare l’alimentazione, chi lo accusa di demonizzare singoli alimenti o ingredienti.

E poi ogni paese sceglie un modello di etichetta diverso

Da mesi il dibattito è acceso sul Nutriscore francese, adottato da alcuni Paesi europei, ma a cui l’Italia è ostile. È stato bocciato dal ministro della Salute Roberto Speranza (“Esprime un giudizio nutrizionale sul singolo prodotto senza tenere conto del suo inserimento nel quadro complessivo di una dieta bilanciata”), da gran parte dell’industria alimentare italiana e persino dal segretario della Lega Matteo Salvini, che lo accusa di penalizzare il made in Italy.

Da qui la controproposta del governo italiano che, sposando la battaglia di associazioni di consumatori e produttori, tra cui Federalimentare, ha ideato l’etichetta a batteria, o Nutrinform Battery, validato dalla Commissione Europea a luglio e quindi adottabile dalle industrie alimentari su base volontaria in Italia. La vera attesa, però, è per il 2022, quando la Commissione europea presenterà, all’interno della strategia Farm to Fork, una proposta per un’etichettatura nutrizionale obbligatoria e armonizzata in tutti i Paesi Ue. La scelta dovrebbe dividersi proprio tra etichetta a batteria e Nutriscore, a meno che non venga ideato un ibrido fra le due opzioni.

Nutrienti sotto esame

Attraverso una grafica che riproduce una piccola batteria per ogni nutriente, il Nutrinform Battery indica la quantità di calorie, zuccheri, sale, grassi e grassi saturi contenuti in una porzione di prodotto e la loro percentuale rispetto al fabbisogno giornaliero previsto dalle linee guida. Esonerati dal sistema di etichettatura per non rischiare di distorcerne il valore, secondo l’intesa raggiunta dai ministri, i prodotti Dop e Igp. “I nutrienti indicati dall’etichetta a batteria sono quelli più connessi al rischio di patologie, come ipertensione, diabete, obesità – spiega Luca Piretta, gastroenterologo e nutrizionista all’Università Campus Biomedico di Roma. – Il consumatore riceve un’informazione, cioè quanto si sta rifornendo di un singolo nutriente, e non un giudizio sull’alimento. Ovviamente le percentuali non possono essere vere per tutti in maniera assoluta, perché ognuno ha il suo peso e il suo stile di vita, ma rappresentano una buona scheda informativa”.

Il semaforo non funziona?

Quella di fornire pochi dati al consumatore e di dividere gli alimenti in positivi e negativi è invece la principale accusa che viene rivolta al Nutriscore. Si tratta di un’etichetta a semaforo basata su un algoritmo, dove alla somma dei nutrienti negativi (grassi saturi, zuccheri, sale, calorie) viene sottratta quella dei positivi (fibre, proteine, frutta, verdura). Il risultato permette di assegnare un bollino: dal verde al rosso, dalla A alla E. Secondo il nutrizionista Piretta, “la complessità degli alimenti viene penalizzata perché non si tiene conto di vitamine, sali minerali, antiossidanti”.

È questo il motivo per cui prodotti considerati poco salutari, come le bibite light, si aggiudicano un bollino verde

Mentre è giallo quello sull’olio extravergine di oliva, ricco di polifenoli, e arancione quello sul parmigiano, fonte di calcio. “L’olio extravergine di oliva viene valutato al pari dell’olio di colza, che però non ha tutti gli antiossidanti dell’extravergine – continua l’esperto – Accade anche perché ci si basa su 100 grammi e non sulla singola porzione”. Tuttavia l’olio extravergine riceve un voto migliore rispetto ad altri oli (mais, soia, girasole, cocco, palma) e condimenti, come il burro.

Non tutela i cibi italiani

A causa dei bollini giallo-arancioni ricevuti da alcuni prodotti tipici italiani (non solo formaggi, ma anche alcuni affettati e salumi) si è parlato di demonizzazione del made in Italy. Ma a sentire Paolo Vineis, epidemiologo dell’Imperial College di Londra, c’è stato un malinteso: “Il Nutriscore è stato ideato da esperti di nutrizione francesi su base scientifica ed è perfettamente compatibile con la dieta mediterranea. Giallo e arancione non significano ‘non mangiateli’, ma ‘mangiatene con moderazione’. Inoltre, l’etichetta a semaforo nasce per confrontare alimenti della stessa categoria, dunque non olio di oliva e Coca-Cola, ma olio di oliva e burro”.

Nel Regno Unito

In Inghilterra la Food Standards Agency raccomanda alle aziende di utilizzare etichette fronte-pacco con informazioni nutrizionali per migliorare la dieta dei consumatori già dal 2006. Uno studio, pubblicato a luglio sul Journal of Health Economics, si è chiesto se sia effettivamente uno stratagemma utile a compiere scelte più razionali e sane al supermercato.

Nella ricerca inglese sono state considerate due tipologie di etichette

Una a semaforo e una ibrida, non solo a colori ma anche con le percentuali dei nutrienti rispetto alle dosi raccomandate. I risultati dello studio suggeriscono che i consumatori inglesi, rispetto a quando nessun prodotto presentava etichette fronte-pacco, hanno migliorato il profilo nutrizionale dei loro acquisti: in un mese acquisterebbero circa 588 calorie in meno e avrebbero ridotto di 14 grammi i grassi, di 7 grammi gli zuccheri e di 0,8 milligrammi il sodio. Tra i due sistemi, si aggiudica un giudizio di efficacia migliore l’etichetta ibrida.

Etichetta americana

Anche negli Stati Uniti le etichette nutrizionali non sono più quelle di una volta. La Food and Drug Administration ha varato nuove indicazioni nel 2016, ma se i produttori più grandi avevano tempo fino a gennaio di quest’anno per apportare le modifiche, per i più piccoli la scadenza è segnata per il 2021. Il cambiamento si basa non solo sulle raccomandazioni nutrizionali più aggiornate, ma anche sulle nuove necessità dei consumatori e sul loro mutato atteggiamento verso il cibo. Si inizia dalle porzioni: “Vent’anni fa le persone mangiavano minori quantità di cibo rispetto ad oggi – scrivono gli esperti dell’Fda americana – Le nuove porzioni riflettono ciò che si mangia e si beve attualmente”.

Ad esempio, la dose di gelato, che era indicata come “mezza tazza”, nelle nuove etichette è “due terzi di tazza”. E i prodotti che contengono più di una porzione e possono essere consumati tutti in una volta, come un pacchetto di patatine o ancora un barattolo di gelato, devono mostrare le informazioni nutrizionali sia per la singola porzione, che per l’intero prodotto.

Per quanto riguarda i lipidi, è stata eliminata l’indicazione delle calorie provenienti dai grassi totali, ma mantenuta la specifica su quanti acidi grassi saturi e trans contiene il prodotto.

Alla voce carboidrati, invece, è stata aggiunta la distinzione tra gli zuccheri totali e quelli addizionati durante la lavorazione:

“Aiuterà a scegliere prodotti che hanno le minori quantità di zuccheri aggiunti, da cui dovrebbe provenire meno del 10% delle calorie giornaliere”, ricordano gli esperti. Infine, modifiche anche nella sezione dedicata ai micronutrienti: l’apporto delle vitamine A e C lascia il posto a quello di potassio e vitamina D. Di cui i consumatori americani avrebbero un bisogno maggiore, mentre rimane invariato quello di ferro e di calcio. Di queste sostanze l’etichetta deve indicare, oltre alla percentuale basata sul fabbisogno giornaliero, anche l’importo effettivo (in milligrammi o microgrammi).

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