lunedì 25 Marzo 2024
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Parla Giuseppe Lavazza: “Nel mirino un fatturato di 2,5 miliardi per il 2021”

Giuseppe Lavazza «Il museo si rivolge a un pubblico di tutte le età, è eterogeneo, con moltissimi livelli di lettura: tecnologia per i più giovani, le icone della pubblicità per i più nostalgici, c’è una parte didattica e una di costume»

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TORINO – Il primo documento che spicca esposto nel museo inaugurato l’8 giugno nel museo Lavazza è una cambiale da 50 lire. La data riportata è il 1885, mentre la firma è di Luigi Lavazza. Al piano terra della Nuvola, la base Lavazza situata nel quartiere Aurora di Torino, la storia dell’azienda. In occasione dell’apertura del museo, Giuseppe Lavazza ha rilasciato un’intervista su La Stampa, a Giuseppe Bottero, che vi proponiamo.

Lavazza inizia da un piccolo prestito

Un investimento iniziale per aprire una drogheria in via San Tommaso 7, e da lì scalare il mercato. Superando i periodi drammatici delle Guerre e cavalcando quelli radiosi del boom. Fino a raggiungere le dimensioni di un colosso internazionale, con due miliardi di ricavi e oltre tremila dipendenti.

Giuseppe Lavazza, vice presidente del gruppo, nella Torino di oggi sarebbe ancora possibile un’impresa del genere?

«È difficile, ci sono tanti vincoli e una mentalità meno orientata ad affrontare il rischio. Si è più impauriti. La città di oggi ha molti vantaggi, ma spaventa.

All’inizio del secolo scorso questo senso di insicurezza non c’era: Torino stava cambiando pelle, trasformandosi da ex capitale a città industriale.

C’era poi un forte slancio verso l’investimento e l’industria di cui la città ha goduto fino alla metà degli anni novanta. Le condizioni però sono molto cambiate».

Questo discorso riguarda solo Torino?

«No, è più ampio. La città in sé non è un problema. È in crisi, sta cercando di uscire da un periodo non facile. Ma come sempre le crisi presentano grandi opportunità.

Questo è il momento giusto per rilanciarsi perché ci sono condizioni generali che consentono di fare investimenti anche a costi più contenuti. Però manca un po’ la mentalità».

Colpa della politica?

«Secondo me è la società civile che fa la differenza. In Italia si vive nell’idea che la politica sia il deus ex machina in grado di risolvere i problemi. Ma la supremazia della politica è un mito appannato».

Se però le amministrazioni non pongono le condizioni per crescere, lo sviluppo diventa complicato…

«Vero. Ma in questo momento le amministrazioni si trovano in una condizione di difficoltà molto forte che determina, anche da parte loro, l’esigenza di trovare delle forme di collaborazione. Quindi secondo me, è quasi automatico che alla fine qualcosa succederà».

Per la costruzione della Nuvola come è andata?

«Abbiamo trovato disponibilità al dialogo, per realizzare questo progetto non abbiamo avuto difficoltà».

Nel museo ci sono tutti i simboli della storia di Lavazza

In futuro potrà esserci anche la campanella che le società suonano al momento dell’ingresso in Borsa? 

«No. Però l’azienda sarà più grande, internazionale. L’obiettivo è raggiungere i 2,5 miliardi di euro di fatturato entro il 2021».

Il Primo Salone internazionale del caffè riunisce tutti i produttori torinesi: Lavazza, Vergnano e Costadoro più le piccole torrefazioni.

È possibile immaginare un unico polo anche a livello societario?

«Credo di no. Ma penso che questa città abbia tutte le carte in regola per affermarsi come capitale del caffè»

Per chi è pensato questo museo?

«Si rivolge a un pubblico di tutte le età, è eterogeneo, con moltissimi livelli di lettura: tecnologia per i più giovani, le icone della pubblicità per i più nostalgici, c’è una parte didattica e una di costume».

Entrerà nel circuito dell’abbonamento musei?  

«Abbiamo creato una società che si occuperà della gestione di questi temi. Penso che faranno degli accordi».

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