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TRIESTE – “Ogni tecnologia introduce una forma di potere. E oggi l’intelligenza artificiale decide già chi ha in mano i frutti del nostro lavoro”.
Con questa riflessione Padre Paolo Benanti, teologo francescano ed esperto di etica dell’innovazione, ha aperto l’edizione 2025 del Trieste Coffee Experts, il summit internazionale ideato dalla famiglia Bazzara che ha riunito a Trieste i principali protagonisti della filiera del caffè.
Benanti – consulente di ONU, Vaticano e Governo italiano, docente alla LUISS Guido Carli e alla Seattle University – ha portato al centro del dibattito un tema che va oltre la tecnologia: il controllo economico e industriale dei processi in un’epoca in cui anche settori tradizionali come il caffè stanno diventando “software-defined”.
“Oggi gli oggetti non sono più definiti solo dalla loro materia – ha spiegato – ma dal software che li governa. Noi compriamo l’hardware, ma il software resta in licenza. Questo significa che il valore, e spesso anche il potere decisionale, si sposta altrove”.
Un meccanismo già evidente negli smartphone e nel settore automotive, ma sempre più presente anche nella filiera del caffè: dalle macchine dotate di chip e sensori fino alle piattaforme che raccolgono e analizzano i dati di consumo.
Il rischio, secondo Benanti, è chiaro: nel breve periodo le soluzioni “chiavi in mano” possono sembrare convenienti, ma nel medio-lungo termine delegano a fornitori terzi l’esecuzione dei processi e quindi una parte crescente della marginalità. “Se non si governa questa trasformazione – ha aggiunto – si rischia di perdere non solo il controllo produttivo, ma anche i frutti economici del proprio lavoro”.
Accanto alle criticità, l’intelligenza artificiale apre però scenari di forte opportunità. Applicata alla produzione, può migliorare la qualità, ridurre gli scarti, ottimizzare i consumi energetici e preservare competenze che rischiano di andare perdute. “La datificazione dei processi – ha spiegato – consente di fare ricerca e sviluppo in modo nuovo, anche attraverso modelli cooperativi tra imprese, evitando di dipendere esclusivamente da grandi player tecnologici esterni”.
Un altro fronte riguarda il consumo e la somministrazione. L’IA può rendere accessibili esperienze qualitative elevate anche in assenza del barista, ampliando i contesti di consumo e creando nuovi mercati. “Le interfacce intelligenti – ha osservato Benanti – sono in grado di tradurre il linguaggio del consumatore in scelte di prodotto, personalizzando l’offerta e restituendo valore all’intera filiera”.
Non manca però un’ulteriore variabile economica: l’energia. “L’intelligenza artificiale non vive in astratto, ma nei data center – ha ricordato – e consuma enormi quantità di elettricità”. In alcune aree degli Stati Uniti, come l’Ohio, l’aumento dei data center ha portato a rincari delle bollette fino al 77% in un solo anno.
“In un contesto come quello europeo, dove l’energia è già cara, questo rischio può tradursi in un mark-up sui prodotti, mettendo fuori mercato filiere d’eccellenza come quella del caffè italiano”.
Il messaggio finale è un invito alla governance. “Non si tratta di fermare l’innovazione, ma di negoziarne lo sviluppo secondo un approccio etico, che tuteli i legittimi interessi di chi crea valore”. Un concetto che Benanti definisce “Algoretica”: un uso dell’intelligenza artificiale capace di sostenere il lavoro umano, anziché indebolirlo.



















