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IL PARADOSSO VENEZUELANO – Petrolio al Nicaragua in cambio del caffè

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MILANO – Svolta storica in Venezuela. Per la prima volta nella storia, l’import di caffè supererà la produzione interna. Il dato è leggibile tra le pieghe di un recente report di Usda.

Il ministero americano stima infatti in oltre 1,3 milioni di sacchi la domanda interna per l’anno in corso, a fronte di una produzione di appena 660.000 sacchi: il livello più basso dai primi anni sessanta a oggi. Ciò costringerà Caracas a importare almeno 685.000 sacchi per far tornare i conti.

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Triste destino, quello della caffeicoltura venezuelana: un tempo fiorente, oggi condannata a uno sconsolante declino. Ancora a fine anni novanta, il Venezuela esportava oltre mezzo milione di sacchi all’anno: un volume paragonabile all’export attuale de El Salvador.

A penalizzare oltremodo il comparto sono state le scelte populiste del governo bolivarista di Hugo Chávez, che ha imposto, a valle, prezzi calmierati al dettaglio rivelatisi insostenibili per la filiera. Il tutto accompagnato da nazionalizzazioni e altri provvedimenti, che hanno accresciuto le incertezze.

I ritardi strutturali, i costi sempre più proibitivi degli input e la carenza di pesticidi stanno mettendo in ginocchio i produttori, spesso costretti a riconvertirsi ad altre colture agricole o all’allevamento. Molti hanno abbandonato le campagne e si sono trasferiti in città.

La mazzata finale è arrivata lo scorso agosto, quando il nuovo presidente Nicolás Maduro Moros ha bandito l’export del caffè e di altri prodotti di base.

Dal 2010, le importazioni si sono intensificate. Lo sbilancio drammatico tra domanda e offerta si riflette – osserva Usda – nelle cifre del Cetrex, il Centro per il coordinamento dell’export del Nicaragua.

Negli ultimi 3 mesi del 2014, il Venezuela ha importato dal paese centro americano 70.000 sacchi di caffè. Gli acquisti sono stati effettuati nel quadro dell’Accordo Petrocaribe, in virtù del quale il Venezuela vende petrolio ai suoi alleati strategici – tra cui il Nicaragua – in cambio di derrate essenziali, sostengono fonti giornalistiche autorevoli.

In questo modo, il governo ha scongiurato un’impopolare penuria di caffè durante il periodo delle feste natalizie, afferma la stessa fonte.

Ma per assicurarsi questa fornitura, Caracas ha dovuto sborsare un prezzo ben superiore a quello pagato ai produttori sul mercato interno: in media, 2,21 dollari alla libbra, secondo le statistiche Cetrex.

Il tutto, per chicchi, a volte, di qualità inferiore agli standard commerciali. Secondo Vicente Perez, direttore esecutivo di Fedeagro, la confederazione nazionale dell’agricoltura del Venezuela, i volumi importati proverrebbero anche da partite respinte dagli importatori statunitensi.

La corsa all’import dal Nicaragua ha fatto lievitare, nel contempo, i premi pagati sulla borsa newyorchese per questa origine, che sono balzati ai massimi degli ultimi 8 mesi.

Il cerchio, a questo punto, tristemente si chiude. Per tenere bassi i prezzi sul mercato interno, il Venezuela ha compromesso la redditività e la sostenibilità della filiera nazionale, trovandosi costretto, alla fine, a importare caffè, anche più scadente, a prezzi maggiori.

Intanto – lamenta la gente – il popolare guayoyo (caffè nero lungo) è sempre più caro nei bar, per comprare un pacco di caffè a prezzo politico bisogna fare la fila anche per ore e la qualità è sempre più scadente.

“Esportavamo il caffè prima ancora che la Colombia cominciasse a coltivarlo” osserva sconsolato lo stesso Peres.

Oggi, c’è il rischio concreto che la coltura scompaia o divenga marginale, in un paese che fu, in passato, uno dei più grandi esportatori mondiali di caffè.

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