venerdì 14 Novembre 2025

Gianluigi Goi: quando una teiera da tè non è soltanto un oggetto, nel racconto fantastico di Loredana Lipperini dell’Osservatore Romano

Gianluigi Goi: "Martina, ormai donna più che matura, una figlia come tante alle prese con le incombenze ineludibili e a dir poco problematiche di quello che arriva a definire, in freddo ed urticante burocratese “, l’esercizio del distacco” avendo perso da poco l’anziana madre, è la protagonista del Racconto del Sabato “Il servizio buono” di Loredana Lipperini" (Osservatore Romano 12 luglio 2025)

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Gianluigi Goi è un nostro lettore nonché giornalista di fama riconosciuta; è affezionato a queste pagine alle quali, con la sua lunghissima esperienza e il suo punto di vista, ha contribuito diverse volte proponendo contenuti sempre intriganti. In questa occasione, Goi parla della teiera cinese comparsa sui Racconti del Sabato dell’Osservatore Romano.

La teiera cinese

di Gianluigi Goi

“Martina, ormai donna più che matura, una figlia come tante alle prese con le incombenze ineludibili e a dir poco problematiche di quello che arriva a definire, in freddo ed urticante burocratese “, l’esercizio del distacco” avendo perso da poco l’anziana madre, è la protagonista del Racconto del Sabato “Il servizio buono” di Loredana Lipperini (Osservatore Romano 12 luglio 2025).

L’autrice – la scrittrice, esperta di letteratura fantastica, giornalista e ben nota conduttrice radiofonica (fra l’altro voce storica dell’iconica trasmissione Fahrenheit di Radio 3) – Loredana Lipperini (1956) la descrive molto confusa, indeterminata sul da farsi ed anche un poco annoiata quando ”trova il Servizio Buono in cantina, in cima allo scaffale. E’ in una grande scatola di velluto azzurro .. incartato in un vecchio giornale: tazze da tè di porcellana cinese, delicate come un fiocco di neve, decorate con pallidi fiori di ciliegio”.

Martina ne rimase sorpresa e per il vero non del tutto contenta: “in effetti non l’aveva più visto negli ultimi tempi delle sue visite alla madre. Si rimprovera di non averci fatto caso” e si interroga, fra il serio e il dubbioso, se un qualche spiritello birichino, magari uno yokai giapponese, non ci abbia messo le sue zampine silenziosissime ed altrettanto morbide.

In ogni caso “scende dalla scala con la scatola fra le braccia, la posa in salone, la apre di nuovo. Ecco la teiera, le sei tazzine, i piattini, la zuccheriera. Sfiora – quasi avesse il timore di farle male – il bordo di una tazzina con l’indice”.

E qui scatta, quasi per magia, il ricordo di una leggenda crudele che aveva letto, bambina: .. “(ai tempi) l’Imperatore della Cina vuole mille piatti perfetti per la Festa del Cielo, ma dalla fornace, misteriosamente, escono solo porcellane macchiate e scheggiate. I saggi dicono che il fuoco ha bisogno di purezza per fare il suo lavoro: così, mentre tutti si disperano, una fanciulla di nome Li Hua decide di donare quel che ha, sé stessa, alle fiamme. I piatti per la Festa del Cielo furono fra i più belli mai creati, e Li Hua divenne la Dea che protegge la porcellana e le arti. Martina fa una smorfia, ricordando le lacrime che aveva versato per la sorte di Li Hua. Forse aveva detestato il Servizio Buono anche per quello, e una volta ragazza aveva preso in giro la madre perché lo teneva in una vetrinetta senza mai usarlo per evitare di romperlo”.

A questo punto, dall’indeterminabile come in sogno o forse dal subconscio della figlia, si fa sentire la Madre che racconta la “Storia Grande”: .. “era una ragazza di diciotto anni appena trasferita a Marino (non lontano da Roma-ndr) dalla colonia di Tripoli (in Libia-ndr) e lavoravo in in quella che allora si chiamava Statistica e lavoravo anche quando i bombardieri americani si abbassarono su Roma e sui quartieri che Martina conosce bene”.

In quella tragica occasione la madre “era su un tram, corse a piedi cercando di non morire .. e sognando cose belle perché aveva 20 anni .. e una casa .. e, dentro la casa, tazzine di porcellana dove bere il tè e il caffè, e piattini dove mangiare bignè alla crema invece delle bucce delle fave bollite. Il padre, 20 anni anche lui, durante la campagna di Grecia, mitragliato su un ponte aveva pensato che sarebbe morto e non avrebbe potuto più dipingere o scrivere scritti da dedicare alle sorelle e mentre le pallottole sollevavano schegge di legno attorno a lui aveva pensato che voleva un piatto di spaghetti, e una casa, e tazzine decorate dove bere il caffè”.

A guerra finita, salvata la pelle senza grandi problemi fisici, “avuta una casa, piccola ma con poltrone di velluto e soprammobili, e il Servizio Buono, che (i coniugi-ndr) avevano acquistato risparmiando dai loro stipendi, prima ancora di comprare un televisore. Ma erano talmente spaventati dall’idea di rovinarlo, o di far cadere il coperchio della zuccheriera, o infrangere il manico di una tazzina, che era sempre rimasto nella vetrinetta, accanto alla statuina di una ragazza vestita di rosa con un cesto di fiori fra le braccia. Capodimonte – un cult, a quei tempi – diceva orgogliosa la madre”.

Mentre Martina, con il cuore e la mente in subbuglio, rimugina su quanto le è capitato, da parte nostra allunghiamo gli occhi sulla grande immagine della teiera, firmata dall’ottima disegnatrice Giulia Culicchia, dove l’azzurro è il colore di fondo ravvivato da pennellate di giallo evidente richiamo alla luce, al sole, alla speranza che c’è, o dovrebbe esserci, anche quando è buio.

Nei quadretti, sorta di flashback visivo della storia, colpiscono il romantico abbraccio della coppia sotto la pioggia con l’ombrello che piange, l’intimo colloquio tra bambina e madre e, sullo sfondo, i dubbi le speranze e le paure della vita sintetizzati da un gatto nero che occhieggia da una finestra chiusa ma anche sprazzi di allegra socialità a tavola.

Dall’alto, la falce della prima luna ambisce a farsi ammirare mentre sulla sinistra una cascata di fogli manoscritti (lettere, sogni, speranze, lavoro) scivolano svolazzanti verso terra come solo i fogli carta sanno fare. A volte anche con eleganza.

Ripresasi dallo stupore, Martina: “forse, pensa accarezzando la teiera, c’è davvero uno yokai in questa casa, che mi ha fatto trovare il Servizio Buono dove non avrei mai pensato di cercarlo, perché capissi che gli oggetti ci sopravvivono e dunque bisogna renderli vivi finchè si è in tempo. Devo imparare a fare buon uso del tempo. Prende la scatola, la porta in cucina, lava con delicatezza le tazzine e la zuccheriera e la teiera. Nell’angolo, impronte di piccoli piedi, in una cenere che viene da un altro tempo. Martina le oltrepassa senza vederle, e prepara il tè”. Rasserenata. Merito anche della antichissima malia del tè che comincia ad esprimersi anche nel nostro Paese”.

                                                                                                             Gianluigi Goi

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