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TRIESTE – Durante l’ottava edizione del Trieste Coffee Experts, Franco Bazzara ha condiviso alcune riflessioni sull’importanza di raccontare e valorizzare il caffè italiano. Lo ha fatto sottolineando che, più che una semplice bevanda, l’espresso rappresenta “un qualcosa di radicato nel nostro modo di vivere e interpretare la vita”, e che la forza del settore passa oggi dall’unità e dalla capacità di parlare in Europa con una sola voce e ciò rappresenta ormai “non un’opzione, ma una responsabilità”.
Bazzara ha poi anticipato uno dei temi centrali del suo intervento: “Raccontare meglio il caffè significa permettere al consumatore di comprenderne il vero valore”.
Con queste parole ha aperto la riflessione su come associazioni, grandi aziende e singoli operatori possano collaborare per comunicare in maniera strategica la cultura e la qualità del caffè italiano.
Riportiamo il discorso integrale del Presidente di Bazzara, Franco Bazzara:
“Da oltre un decennio l’amico conte Giorgio Caballini di Sassoferrato si batte affinché il rito del caffè espresso venga riconosciuto come patrimonio dell’Unesco. Un impegno nobile, che però mette in luce una fragilità strutturale del nostro settore: la mancanza di unità del panorama italiano del caffè.
Una frammentazione che indebolisce tutti noi, riduce l’efficacia delle nostre azioni e, di conseguenza, la forza delle singole aziende, in Italia e all’estero.
Il primo punto è quindi strategico: riunire le associazioni italiane del caffè in una confederazione, nella quale gli attuali presidenti siedano insieme in un direttivo comune. È un modello già adottato con successo da grandi nazioni europee. Oggi forse non è più un’opzione: è una responsabilità.
Il secondo punto riguarda il ruolo delle grandi aziende. È arrivato il momento che assumano fino in fondo la responsabilità di una narrazione più equilibrata del nostro settore.
Trasmissioni come Report, così come alcuni articoli e libri usciti recentemente, raccontano solo il lato oscuro – che è comunque giusto analizzare e approfondire -, restituendo però anche la realtà quotidiana fatta di baristi, torrefattori, formatori, industrie, magazine, che ogni giorno lavorano con competenza, sacrificio e passione.
La possibilità di cambiare questa narrazione esiste, ed è nelle mani delle grandi aziende: supportare programmi culturali, come quelli di Alberto Angela, Bruno Vespa e di tanti altri grandi divulgatori, significa non solo sostenere le piccole realtà, ma costruire un futuro solido per tutto il comparto, restituendo dignità e verità al caffè italiano.
Il terzo punto riguarda tutti noi. È indispensabile cambiare il modo in cui comunichiamo. Dal torrefattore di Belluno a quello di Caltanissetta, dobbiamo imparare a raccontare il caffè, a spiegare cosa c’è davvero dietro una tazzina. Dobbiamo aprire le nostre porte ai quotidiani locali, alle televisioni del territorio, ai media che ci circondano.
Non serve solo un linguaggio tecnico: serve creare una relazione. Il vino, il cioccolato, l’olio hanno costruito valore unendo tecnica e cultura, creando un immaginario condiviso. Noi forse, su questo fronte, siamo in ritardo.
Dobbiamo recuperare terreno. Perché l’espresso non è una bevanda: è un gesto, una tradizione, un momento condiviso. Serve un linguaggio comune, una base formativa uniforme, perché educare non significa complicare, educare, ove possibile, significa semplificare.
Il caffè deve arrivare ai media giusti, quelli che fanno cultura, che orientano il pensiero. Il nostro racconto non può essere solo formativo: deve essere strategico, capace di parlare alla testa e all’anima del consumatore.
Al termine del summit, grazie al contributo di tutti i presenti, verrà redatto un Paper riassuntivo di quanto elaborato attraverso il confronto del Coffee Experts, che con l’aiuto delle associazioni ci auguriamo venga diffuso tra gli associati e presso i ministeri competenti. Sarà un importante e concreto passo verso una unità d’intenti.
Raccontare meglio il caffè significa permettere al consumatore di comprenderne il vero valore. Deve finire il concetto che la tazzina, a mio parere, “deve costare poco”. Se il cliente percepisce la cultura, la fatica, la qualità che ogni torrefattore e ogni professionista mettono ogni giorno nel proprio lavoro, sarà disposto a riconoscerne il giusto prezzo. Nel vino accade da decenni.
Un caffè può essere buono. Ma ciò che lo rende unico e indimenticabile è il racconto che sappiamo costruirgli attorno.”



















