lunedì 15 Aprile 2024
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Dal 2017 hanno chiuso 20.000 bar, Igor Nuzzi, Lavazza, nel talk Fipe: “Necessario trovare una soluzione valida per tutti”

Igor Nuzzi, regional director Italy & Iberia Lavazza Group: “Dobbiamo ricordarci che siamo usciti dalla pandemia e alcuni effetti sono strutturali nel mondo del fuori casa e, in particolar modo, nel diurno. Per esempio, ci sono all’incirca 4 milioni di persone a settimana che lavorano in modalità smart working e ciò non può non avere degli effetti negativi nel fuori casa: bisogna trovare delle soluzioni. Per quanto riguarda la questione della chiusura dei punti vendita, 1facciamo un rapido confronto con altri Paesi. La Germania ha più di 80 milioni di abitanti e 193.000 punti di consumo tra bar e ristoranti. In Francia ci sono, invece, più o meno 60 milioni di abitanti e 176.000 punti di consumo. In Italia siamo 60 milioni di abitanti e abbiamo 310.000 punti di consumo: già questo è un dato molto eloquente. Se andiamo in una direzione in cui aumenta lo smart working e abbiamo già una media di densità di bar per abitante più elevato rispetto agli altri Paesi, è evidente che qualcosa non quadra: non dobbiamo stupirci di fronte a questi numeri ma trovare una soluzione per tutti”

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MILANO – Host Milano ha ospitato, tra le altre, la tavola rotonda “Rilanciamo il bar” organizzata da Fipe-Confcommercio, la Federazione italiana dei pubblici esercizi. Cuore del dibattito la delicata situazione che la figura imprenditoriale e commerciale del barista in Italia sta affrontando dall’inizio della pandemia Covid.

Al talk, coordinato dal vicedirettore generale Fipe-Confcommercio, Luciano Sbraga, hanno partecipato Igor Nuzzi (regional director Italy & Iberia Lavazza Group), Barbara Mutti (project manager industry AFH TradeLab), Sergio Paolantoni (presidente Gruppo Palombini e presidente di Fipe Confcommercio Roma), Marina Porotto (owner Biggie cocktail & bistrot), Enrico Leandro (direttore commerciale Forno D’Asolo) e Josep Feixa (direttore vendite Italia Gruppo Cimbali).

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La situazione dei bar in Italia

Barbara Mutti, AFH TradeLab, prende la parola e analizza da un punto di vista prettamente statistico la precaria condizione dei bar in Italia con numeri tutt’altro che incoraggianti: “Il canale bar ricopre un ruolo di estrema importanza nel mercato del fuori casa. Comprende circa 146.000 punti di consumo: un numero enorme che ingloba il 43% delle reti di punti di consumo del fuori casa in Italia. L’altra rete che completa la percentuale è rappresentata dal mondo dei ristoranti. Il valore del mercato dei bar è di 23 miliardi di euro”.

“Un altro aspetto importante legato al bar è l’assortimento: si tratta forse del canale del fuori casa con l’assortimento più ampio che si possa trovare. Almeno in 7 bar su 10 sono trattate 20 categorie di prodotto se non di più. Ma il bar può ingrandirsi e specializzarsi arrivando a trattare ben 60 categorie di prodotto”.

“Molto importante perciò anche quel che riguarda la copertura dell’assortimento tuttavia,” prosegue Mutti, “c’è più di un elemento di criticità nei bar. Il primo si nota a livello di rete: 146.000 punti di consumo sembrano molti ma il settore ha subito un’importante razionalizzazione. Nel 2017 c’erano all’incirca 165.000 bar in Italia e ora siamo arrivati a 146.000. Sono usciti dal mercato circa 20.000 attività. È una delle reti che ha subito più perdite nel fuori casa”.

“I motivi sono due: come prima osservazione, lo scontrino medio del bar è di quattro euro. Ci vogliono molti clienti per generare un fatturato importante. Un altro punto di criticità viene riscontrato nel campo della professionalità: 3 gestori su 10 dichiarano di essere in difficoltà a trovare personale adeguato; gli aspetti più ostici sono legati al tipo di impiego duro e considerato come poco attraente e remunerativo rispetto alle ore di lavoro proposte”.

Continua perciò a rimanere basso il tasso di sopravvivenza dei bar in Italia: dopo cinque anni, solo uno su due riesce a restare sul mercato.

Si tratta di un trend che non accenna ad attenuarsi come dimostrano anche i numeri rilevati durante il primo semestre del 2023, quando le imprese che hanno avviato l’attività sono state 1.132 e quelle che l’hanno cessata 1.838, con un saldo negativo di 706 unità.

Tuttavia i dati dimostrano che c’è ancora spazio per la speranza:

Mutti aggiunge in tal proposito: “Il bar però ha anche punti di forza. Si tratta di un canale resiliente, il quale ha avuto modo di mantenere le sue visite dopo il Covid. C’è di più: il 73% degli italiani considera il fuori casa, soprattutto il bar, un momento di micro felicità che non richiede un costo esagerato ma che di sicuro può migliorare la giornata di tutti. Il 72% dei gestori dei bar si tiene fiducioso mentre la percentuale rimasta dichiara che avrà di sicuro qualche difficoltà. Questi dati vengono da una ricerca svolta recentemente in collaborazione con il Censis”.

Mutti continua: “I gestori elencano alcuni comportamenti da adottare per risollevare le sorti dei bar: il 76% di loro dichiara di volere presentare i prodotti in maniera più chiara; il 72% è decisa nello stabilire un buon rapporto qualità/prezzo”.

La figura del bar in Italia continua a rappresentare un tassello di fondamentale importanza dal punto di vista economico e sociale. E, parlando di bar, è difficile non citare il prodotto che rappresenta la sua essenza più profonda: il caffè.

E proprio su questo argomento, il caffè, è intervenuto Igor Nuzzi, regional director Italy & Iberia Lavazza Group: “Dobbiamo ricordarci che siamo usciti dalla pandemia e alcuni effetti sono strutturali nel mondo del fuori casa e, in particolar modo, nel diurno. Per esempio, ci sono all’incirca 4 milioni di persone a settimana che lavorano in modalità smart working e ciò non può non avere degli effetti negativi nel fuori casa: bisogna trovare delle soluzioni”.

Nuzzi aggiunge: “Per quanto riguarda la questione della chiusura dei punti vendita, facciamo un rapido confronto con altri Paesi: la Germania ha più di 80 milioni di abitanti e 193.000 punti di consumo tra bar e ristoranti; in Francia ci sono, invece, più o meno 60 milioni di abitanti e 176.000 punti di consumo; in Italia siamo 60 milioni di abitanti e abbiamo 310.000 punti di consumo: già questo è un dato molto eloquente”.

Nuzzi conclude: “Se andiamo in una direzione in cui aumenta lo smart working e abbiamo già una media di densità di bar per abitante più elevato rispetto agli altri Paesi, è evidente che qualcosa non quadra: non dobbiamo stupirci di fronte a questi numeri ma trovare una soluzione per tutti”.

Arriva il turno di Sergio Paolantoni, presidente Gruppo Palombini e presidente di Fipe Confcommercio Roma: “Oggi il classico bar non funziona più e bisogna sapersi rinnovare. Il bar deve essere un misto tra ristorante, caffetteria e aperitivo per offrire un’offerta più ampia. Gestire un bar oggi non è semplice. Lo studio e lo stare al passo con i tempi è fondamentale. Molte persone lavorano in smart working ma sono convinto che tutti noi possiamo ripartire reinventandoci continuamente”.

Josep Feixa, direttore vendite Italia Gruppo Cimbali, aggiunge: “Chi ha migliorato l’offerta del proprio prodotto e si è specializzato focalizzandosi sul lato umano ha resistito. Mi viene in mente Howard Schultz che, una volta arrivato in Italia, ha capito l’ingrediente che mancava al suo marchio: il sorriso delle persone e il senso di comunità, elementi che ha saputo mescolare con l’efficienza e l’eccellenza. Bisogna aumentare la qualità e alzare l’asticella. Ognuno nel nostro ruolo deve contribuire alla continua specializzazione del nostro settore”.

Enrico Leandro, direttore commerciale Forno D’Asolo, riflette: “Per vent’anni, dall’avvento dell’euro, i bar hanno mantenuto il prezzo del caffè e del cornetto a 1 euro. Non sono stupito dai numeri dei bar in decadenza. Un addetto che lavora 20 ore al giorno come al bar è necessario che venga pagata per lavorare così tanto tempo e per mantenere il sorriso. L’aspetto sociale dei bar in Italia fa la differenza. Le catene di caffetterie stanno registrando una grande crescita ma lenta: curare l’aspetto sociale diventa così un asso nella manica”.

Marina Porotto, owner Biggie cocktail & bistrot, afferma: “La formazione è la parola chiave: non solo per i dipendenti ma anche, e soprattutto, per gli imprenditori. Ormai non ci si può più improvvisare imprenditori. Non ci sono più margini di errori e bisogna formarsi a livello organizzativo e ottimizzare tempi e costi. Non è facile ma neanche impossibile”.

“Quello dei bar è un settore che ben si presta a una duplice chiave di lettura: è al tempo stesso dinamico, grazie alla sua vitalità imprenditoriale, ma anche fragile, per via della forte pressione competitiva a cui è esposto. Fare fatturato con uno scontrino medio di appena 4 euro è sempre più difficile mentre i costi continuano a correre.” ha commentato infine Sergio Paolantoni.

C’è di più: “L’iniziativa di oggi è stata l’occasione per discutere delle sfide che attendono il comparto tra mancanza di personale qualificato, orari di servizio, impennata dei costi e difficoltà di adeguamento dei listini come le cronache di questi ultimi mesi hanno ampiamente dimostrato. Oggi più che mai è urgente ripensare i modelli organizzativi per assicurarci da qui in avanti una maggiore sostenibilità del business e maggiori prospettive di sopravvivenza del format icona dello stile di vita italiano”.

di Federico Adacher

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