giovedì 18 Aprile 2024
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Parla Daniele Ricci, il neo campione italiano baristi: «Da soli, non si vince niente»

22 anni, di Brescia ma con un lavoro lontano da casa: da Amsterdam, il talento di Daniele Ricci si è espresso bene in pedana. Quando a Sigep 2020 ha conquistato il titolo di campione italiano baristi

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RIMINI – Daniele Ricci, il bresciano di 22 anni che è diventato campione italiano baristi a Sigep 2020. Vive ad Amsterdam da un anno e ora si è distinto sulla pedana della competizione nazionale, con l’occhio già rivolto al futuro del mondiale. Un giovane che ha iniziato con la formazione presso l’Istituto alberghiero Andrea Mantegna di Brescia. Quando si dice che gli istituti pubblici non servono a nulla…

Daniele Ricci, è vero che in questi istituti, si apprendono vagamente i rudimenti del bar?

“E’ vero da un certo punto di vista, perché la parte dedicata alla pratica dagli istituti è poca, purtroppo. Perché sono diventati quasi tutti professionali, quindi caratterizzati più dalla teoria e ciò va però a inficiare il risultato finale della preparazione dello studente. Io ho seguito un corso con Trismoka a Paratico (Brescia) da Paolo Uberti, nel 2014: mi è piaciuto e ho voluto provare le competizioni. Mi ha aperto un mondo completamente nuovo.

Mi sono allenato i primi due-tre anni con Trismoka per gareggiare ai campionati italiani. Ma tutto è partito dal corso base di caffetteria, che mi ha fatto scoprire che c’è tanto dietro la tazzina. Quando hanno proclamato il vincitore, sono andato subito da Paolo Uberti per ringraziarlo. ”

Non è la prima volta che Daniele Ricci arriva in finale

“No. E’ la quarta volta che arrivo in finale su 5 tentativi. Ho iniziato a provare da quando ho potuto, a18 anni. Credo ci sia ancora questo limite dell’esser maggiorenni.”

Lei è la conferma che per vincere, bisogna provarci tante volte, come è successo con Davide Cavaglieri

Daniele Ricci: “Bisogna fare esperienza, imparare dai campioni. Anche Davide Cavaglieri è bresciano, ha fatto il Mantegna e ha seguito il corso Trismoka. Perché è necessario apprendere i diversi trucchi del gioco.”

Perché un campionato non si vince soltanto con la preparazione base, ma con l’osservazione degli altri?

“Si vince innanzitutto con una squadra, mai da soli. Dietro di me come competitor c’era un team. Maurizio e Sonia Valli, proprietari di Bugan Coffee Lab di Bergamo, Andrea Villa che ha creato il drink per la finale. E poi tutto il gruppo che lavora al Bugan Coffee Lab: Maurizio Boi, Roberto Breno il tostatore, Ivan Fumagalli, un giudice tecnico internazionale che mi ha aiutato nella preparazione. Una neuroscienziata, Fabiana Carvaglio, che mi ha aiutato a strutturare la mia gara basata sui cinque sensi e come questi influiscono sulla percezione dei flavour.”

Che cosa ha fatto vincere Daniele Ricci

“Il caffè innanzitutto: buono, particolare, nuovo. Un Equador Katu Kaì, varietà molto basic, Carnbonic Master Action lavato. Con flavour molto distinti. Insieme al discorso legato ai sensi. La percezione multisensoriale ha aiutato. Avere una tazzina di espresso davanti accompagnati dall’ascolto di un determinato suono, toccando un materiale, guardando uno specifico colore: tutto questo influenza la degustazione. ”

Per la bevanda a base latte cosa ha portato?

“Io ho preparato un Cortado, un espresso con 70 ml di latte, montato leggermente più fresco, attorno ai 65 gradi. Durante l’assaggio ho fatto toccare ai giudici una seta per far sì che il mouthfeel sulla lingua fosse esaltato.”

Mentre per il signature drink?

“E’ stata la prova più difficile perché avevamo un caffè chiaro.”

Che cosa conta di più? Il caffè?

“Credo si vinca con il caffè in generale: quindi una volta che ne si ha uno buono, si può vincere tutto. Ritengo che però la preparazione dell’espresso sia la portata più importante, perché è lì che si delinea la carta d’identità del caffè e ci si presenta per la gara. Nel signature, si può giocare con più ingredienti, mascherando il caffè.

E adesso?

“Mi godo due giorni, realizzando la vittoria. Ho ricevuto tantissimi messaggi da molte persone contente. Che sapevano quanto ci tenevo. C’è qualcuno, Maurizio Valli, che però mi ha detto: “Complimenti, ma per il mondiale deve fare meglio.”

Ora cosa cambia?

“La carriera spero che migliori. Devo discutere con l’azienda se c’è la possibilità di collaborare per il mondiale.”

E il mondiale?

“Sarà dura. Non ci avevo mai pensato prima perché l’idea di andare a Melbourne in Australia mi spaventava. Abbiamo abbozzato giusto il discorso l’altra sera, ma c’è bisogno di parlarne in maniera puntuale. Mi piacerebbe formare un team con più persone italiane.”

Deve cambiare molto la sua gara?

“Sì. Me l’hanno detto anche i giudici nel de-briefing. Il mondiale significa prendere la gara nazionale e metterla da parte e cominciare da zero. Perché è su un altro livello: mi dovrò confrontare con concorrenti molto più preparati. E i giudici saranno molto più severi.”

Come si vede nei mondiali?

“Sarà dura. Io darò il mio meglio, perché ci sforzeremo anche a spostarci in Australia. Ci saremmo due mesi e mezzo. Ad Amsterdam studierò, osservando le gare passate su Youtube con carta e penna. Prendendo appunti su cosa si può apprendere dagli altri campioni.”

Lei ha l’asset giusto verso la giuria

“Ci provo. Quando sono in gara mi diverto, più che recitare un copione. Sono i 15 minuti su cui si è preparati nell’arco di mesi e anni. Il lavoro dietro deve esser bello, ma è giusto anche divertirsi in pedana.”

Cosa dice ai giovani che vorrebbero avvicinarsi a questa attività? Che cosa suggerisce?

Risponde Daniele Ricci: “Io dico sempre anche ai ragazzi con cui lavoro ad Amsterdam e non vogliono gareggiare: mettetevi in gioco. Perché tutto quello che ho imparato l’ho appreso durante le gare. Diventa un sistema, una macchina e uno memorizza le cose più in fretta. E poi si hanno le possibilità di conoscere nuove persone e entrare in contatto con nuovi ambienti lavorativi. Anche se va male quindi, riprovateci. E’ il quinto anno che io tento. Cadete e rialzatevi perché è giusto. Ne vale la pena.”

Cosa vuole dire alle aziende che volessero portare un concorrente in gara?

“Sarebbe bello. Perché noi come team Bugan abbiamo creato un bel clima durante i giorni di fiera. Anche perché fa bene all’azienda, ai dipendenti, all’atmosfera e fa pubblicità. Ci vuole la voglia dei ragazzi di mettersi in gioco e le risorse.”

Lei è espressione di un movimento ancora piccolo: la selezione dei campionati è molto ristretta. Perché? Cosa ne pensa?

“Il motivo penso stia nel fatto che l’Italia in generale considera il caffè un’abitudine e quindi non gli dà il giusto valore. Oggi le gare sono un impegno e vanno vissute come tale. Bisogna sforzarsi di far bene, portando avanti questo obiettivo nella migliore maniera possibile. La scarsità di concorrenti alle selezioni deriva anche da questo: non c’è la voglia di trascurare famiglia, amici, e di investire tempo nello studio e nel lavoro dietro a una gara. Credo però che sia una cosa che vale la pena fare.”

Studiare cosa vuole dire?

“Quando lavoro e mi chiedono ad Amsterdam: cosa fai? Io rispondo: studio il caffè? E loro ribattono: c’è l’Università di caffè? E io rispondo: no, non seguo nessuna Università. Studio tutti i giorni sui libri, sulle ricerche. Anche da solo, senza necessariamente frequentare un’Università: basta la passione per mettersi a studiare.

Sul mio posto di lavoro sono contenti, perché conoscono il mondo delle competizioni. Mi hanno aiutato dandomi il caffè per le selezioni. E poi mi hanno dato carta bianca per le finali. Mi hanno detto: prenditi i giorni che vuoi, ma torna con un premio.

Per chi volesse venire a bere un caffè da noi ad Amsterdam, mi può trovare da Bocca Coffee Roasters in Kerkstraat 96HS, in pieno centro, dietro il Casinò.

Per concludere vorrei ringraziare tutti quelli che mi hanno supportato: la mia ragazza, gli amici, il team Bugan, i ragazzi di Bocca, in particolare Sasha. Sono tante le persone che mi hanno aiutato: non si vince niente da soli.”

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