venerdì 12 Aprile 2024
  • CIMBALI M2
  • Triestespresso

L’azienda Bosco crea la macchina indistruttibile a leva di Napoli: “Portata in Nepal dagli sherpa”

Roberta racconta: “Il sogno era di esportare la macchina a leva Bosco in tutto il mondo e ci siamo riusciti, dall’Alaska all’India, in Australia, nel deserto dell’Arizona. La nostra macchina è stata persino trasportata in Nepal dagli sherpa. Sono macchine indistruttibili.”

Da leggere

Water and more
Demus Lab - Analisi, R&S, consulenza e formazione sul caffè

MILANO – Tutto parte con il sogno di Attilio Bosco, responsabile dell’area del sud Italia per Cimbali, con alcune idee per migliorare le macchine in modo da adattarsi all’acqua di Napoli che spesso rovinava le componenti interne dell’attrezzatura. Spinto da questa sua intuizione si è messo in proprio per realizzare modelli pensati per la sua città.

Ora a guidare l’azienda ci sono sua figlia, Roberta Bosco e Giorgio De Crescenzo prima allievo e poi braccio destro di Attilio da 40 anni.

Triestespresso

Roberta Bosco racconta: “Il sogno era di esportare la macchina a leva Bosco in tutto il mondo e ci siamo riusciti, dall’Alaska all’India, in Australia, nel deserto dell’Arizona. La nostra macchina è stata persino trasportata in Nepal dagli sherpa.

Sono macchine indistruttibili.”

E continua Roberta Bosco: “Ci piacerebbe rafforzarci ulteriormente in America Latina: per ora ne abbiamo posizionata qualcuna in Brasile, in Perù e in Bolivia. Possiamo dire di aver conosciuto il mondo con la nostra macchina a leva. Ogni volta che arriva un ordine, ci divertiamo a cercare su Google per capire com’è il paese in cui arriverà il nostro modello.”

Oggi Bosco è formato da un team di tre persone: Roberta, Giorgio e Danilo. Insieme ad una rete di artigiani napoletani che rendono una Bosco, made in in Italy e in Naples al 100%. “A chilometro zero” la definisce Roberta Bosco.

Bosco, dal 1960 a oggi: la macchina a leva che cosa ha rappresentato per l’Italia del caffè?

“E’ la linea della tecnologia che si è dimostrata più duratura nel tempo e da un punto di vista tecnico, la più semplice. Non ha componenti elettronici, eppure, ha rappresentato un modo per estrarre il caffè con solo elementi meccanici.

Per noi è la migliore nella sua semplicità ed è diventata eterna. Noi di Bosco siamo nati con la macchina a leva e moriremo con la macchina a leva. Si può imitare, noi stessi ci siamo sforzati a produrre macchine elettroniche che mimassero la sua manualità, ma non sarà mai la stessa cosa.

Rispetta meglio la materia prima e l’ambiente: una macchina a leva, tenuta bene, può durare anche 30 anni. Ci sono ancora dei modelli restaurati degli anni ’30. Abbiamo clienti fissi da 25 anni fa.

I pezzi in rame, acciaio, ottone, sono tutti materiali nobili che seppur soggetti all’usura, restano duraturi. Una Bosco non è una macchina usa e getta. Persino la vaschetta di scarico è in rame, non in plastica.”

E adesso, di fronte ai modelli iper tecnologici, la macchina a leva ancora ha il suo perché: qual è il segreto per restare ancora attuali?

“Il suo perché sta proprio nel fatto che per fare un buon caffè ci vuole la persona. Come sappiamo a Napoli, ci vogliono le tre M: il manico (il barista), la miscela e la macchina.
La leva permette di tornare all’umanità e alla possibilità di prepararsi il proprio caffè.

È il barista che decide come gestire la macchina e come partecipare all’estrazione. L’artigianalità e il coinvolgimento dell’operatore, che resta la chiave dietro la tazzina, rendono questa macchina sempre attuale.

È lui che con la stessa competenza riesce a governare l’estrazione. Il suo altro quid sta nella sua presenza scenica unica, che la rende diversa da un elettrodomestico, ha una sua anima ben riconoscibile: si assiste alla pressione che piano piano estrae il caffè, si vede come funziona. Infine, è costruita in modo da durare nel tempo e ha bisogno di una minore assistenza tecnica. La nostra filosofia è sempre stata quella di realizzare strumenti eterni.”

La macchina a leva è più difficile da maneggiare per il barista, ma per il costruttore quali sono le difficoltà di costruirla?

“Da un punto di vista produttivo, realizziamo dei pezzi su misura per noi e il resto lo creiamo noi. Sarebbe forse più semplice inserire dei circuiti. Ma nella costruzione la componente meccanica può avere dei suoi vantaggi dal punto di visto tecnico, perché hanno meno componenti. Hanno la loro complessità entrambe le macchine.”

Quanti modelli producevate quando siete partiti all’anno e quanti oggi?

“Siamo sempre artigiani, facciamo una sessantina di macchine all’anno. Quando tutto è iniziato i numeri probabilmente si equivalevano ma con una difficoltà diversa. Lavorando sostanzialmente con l’estero oggi, prima agivamo con Napoli e c’era un’assistenza fortissima. Queste macchine sono state ideate, montate e man mano usate dai baristi napoletani e in base ai loro suggerimenti, pian piano abbiamo adattato i nostri modelli.

L’estero sta conoscendo rispetto all’Italia, che spesso dà per scontato tutto ciò che ruota attorno al caffè, una scoperta del caffè. È un fascino che si sta sviluppando nell’ultimo ventennio e negli ultimi dieci sta diventando sempre più preponderando.

Soprattutto in Germania, anche grazie alla forte presenza di immigrati e negli Stati Uniti, esiste la forte passione dell’espresso italiano e napoletano. Questo grande interesse porta a voler acquistare una macchina a leva artigianale come il nostro.”

Al nord riuscite comunque a penetrare un settore meno legata alla tradizione della leva (più consolidata al sud)?

“In Alto Adige hanno una marcia in più su tutto. Ma non è un caso isolato: ne abbiamo anche a Milano.

Ma se devo dire, è una piccola percentuale rispetto all’estero. A Napoli c’è la leva ma il predominio è de La San Marco. 15 anni fa, abbiamo deciso di lasciare il mercato napoletano, a nostro malincuore, per rivolgerci all’estero in cui si acquista la macchina. 95% del nostro fatturato all’estero.

Abbiamo dovuto fare una scelta di questo genere, perché nel mercato napoletano è difficile sopravvivere oggi.”

Avete modificato qualcosa dei vostri modelli storici, magari per rispondere alle nuove esigenze del mercato, come ad esempio la sostenibilità?

“Tante cose: prima le nostre macchine erano in acciaio inox e qualche dettaglio in oro. Ora le personalizziamo: colorate, in rame martellato, in policarbonato industriale trasparente, in legno. La nostra arma è quella: siamo un mercato di nicchia e realizziamo il disegno proposto dal cliente. Le Bosco sono un abito su misura.

Sono macchine tutte professionali ma ora per soddisfare anche chi è all’estero e sta in casa senza il bar italiano a disposizione fuori, abbiamo pensato anche dei modelli per l’uso domestico, un po’ più piccole.

La macchina anche la più piccola è uguale alla 5 gruppi che sta nei caffè. Un prezzo base sui 3500 euro. La macchina due gruppi è di 4900. Poi si aggiungono i costi di personalizzazione.”

Nel futuro la macchina a leva, continuerà a rappresentare un cult dell’espresso made in Italy?

“Ne sono certa. Non possiamo continuare a vivere in un modo che sfrutta così tanto l’energia. Il prodotto della macchina a leva, destinato a durare tanto nel tempo, rappresenta la tecnologia che consente di estrarre il caffè al meglio senza nuocere troppo all’ambiente. L’automatizzazione spinta si fermerà e a quel punto la macchina a leva sarà sempre protagonista.”

CIMBALI M2
  • LF Repa
  • Dalla Corte

Ultime Notizie

  • TME Cialdy Evo
Carte Dozio
Mumac