mercoledì 10 Aprile 2024
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Lo storico Bar Umberto I di Novara, non solo serve specialty, ma li tosta: “Così il rito del caffè è completo”

Il titolare: “Ho voluto portare avanti un discorso di qualità che ha diversi vantaggi: prendere direttamente il caffè crudo permette di risparmiare qualcosa. Ovviamente poi devo considerare il tempo, l’energia per la lavorazione necessari al processo, ma questo mi permette di selezionare origini e qualità migliori per creare qualcosa di diverso, che per questo poteva avere un prezzo più elevato."

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MILANO – Il Bar Umberto I è uno dei pochi bar storici rimasti a Novara, attivo dal 1901, che Mattia Devecchi ha preso in gestione nel 2017: da quel momento in poi, la vita del locale ha preso una svolta innovativa: qui non solo si beve buon caffè – anche specialty – ma lo si tosta (un caso simile lo abbiamo condiviso qui).

Dal verde alla tazzina, tutto sotto gli occhi affascinati dei clienti. Ecco la storia della trasformazione.

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Bar Umberto I: la torrefazione a braccetto con l’estrazione

“Quando ho deciso, sin da subito, di inserire la tostatura del mio caffè nel Bar Umberto I, durante le mie ricerche mi sono presto imbattuto nell’azienda produttrice della Tosta bar e così tutto è partito.

Volevo inaugurare questa mia esperienza dando un’immagine diversa al vecchio Bar Umberto I, che potesse differenziarlo dagli altri locali e completare l’esperienza del rito del caffè.

Per farlo, mi sono rivolto all’azienda ING. Napoli & C. Industrie Riunite – torrefazione, produttrice di macchine tostatrici e d’espresso e importatore – con la quale da subito si è instaurato un buon feeling: abbiamo iniziato un percorso di formazione a contatto diretto con la macchina.

Inizialmente per il Bar Umberto I abbiamo adottato una tostatrice da un chilo per volta finché l’anno scorso, abbiamo voluto investire sul modello da 4 chili: il quantitativo per ciclo di tostatura troppo ridotto non ci bastava più.

Dentro il Bar Umberto I, con la vetrata che mette a vista la tostatrice (foto concessa)
Dentro il Bar Umberto I, con la vetrata che mette a vista la tostatrice (foto concessa)

Ora tostiamo due volte a settimana e me ne occupo in parallelo al servizio dei clienti.

Quando siamo passati al macchinario più grande l’abbiamo dovuto spostare nella sala al primo piano, con una cancellata che divide i tavoli dall’angolo tostatura: cuocere i chicchi davanti al cliente è qualcosa di pazzesco. Le persone ne rimangono colpite. “

E quali numeri avete raggiunto e che altre attrezzature avete scelto per il Bar Umberto I?

“Come tostatura, tra la vendita per consumo domestico e espressi, registriamo un centinaio di chili al mese venduti.

Abbiamo saputo comunicare bene al cliente e così siamo cresciuti. Per quanto riguarda la macchina per l’espresso, la stessa ING. Napoli & C. Industrie Riunite ci ha consigliato la macchina per espresso artigianale a Leva che, se da una parte richiede qualche tempo in più di estrazione e questo a volte è un problema per i clienti abituati ai ritmi veloci, nel momento in cui si sa gestire, dà un risultato sbalorditivo.

Osservarla in azione, incanta i consumatori.

L’operatore che prepara l’espresso (foto concessa)

Per il resto delle attrezzature, abbiamo un macinacaffè on demand per ogni miscela: Mazzer, uno a macine coniche per la miscela principale e gli altri a macine piane.”

Al Bar Umberto I, che caffè troviamo?

“Ho voluto portare avanti un discorso di qualità che ha diversi vantaggi: prendere direttamente il caffè crudo permette di risparmiare qualcosa.

Ovviamente poi devo considerare il tempo, l’energia per la lavorazione necessari al processo, ma questo mi permette di selezionare origini e qualità migliori per creare qualcosa di diverso, che per questo poteva avere un prezzo più elevato.

L’anno scorso, quando è arrivata la nuova macchina, tutto il mondo del caffè parlava dell’aumento dei prezzi: prima noi vendevamo a 1 euro e 10 e invece di limitarmi ad aumentare il costo per la stessa materia prima, ho deciso di azzardare e scegliere delle miscele gourmet, di altura, molto più aromatiche e per questo ho potuto dare un motivo più valido al rincaro.

Così, ho sviluppato delle miscele premium e sono passato ad 1 euro e 30 (uno tra i più cari a Novara). Però, abbiamo deciso di mantenere gli stessi prezzi al tavolo e al banco.

Questo passaggio non nego sia stato delicato: abbiamo dovuto spenderci per spiegare, raccontare, ciò che stavamo servendo. Poi il resto l’ha fatto il caffè: puntare su qualità superiori, giustifica ogni cosa.

Chi dice che non si può chiedere di più per un espresso, sbaglia a priori. A distanza di più di un anno di questa scelta, che è stata premiante ed è stata riconosciuta dai 3 chicchi dal Gambero Rosso, il discorso del bar Umberto I si è ulteriormente focalizzato sulla divulgazione culturale del caffè.

Al banco serviamo miscele di montagna, di cui una a tostatura tradizionale (70% Arabica, 30% Robusta) Nabucco, un 100% Arabica (Etiopia, Tanzania e Colombia) di montagna gourmet tostato in due modi differenti: medio chiaro Turandot e poi scuro alla napoletana Principe del Piemonte (è un gusto che qua piace ancora molto).

Abbiamo però introdotto gli specialty coffee, tostati chiari e li serviamo sia con AeroPress che in V60, un sistema di estrazione che ha caratteristiche formidabili, permette una pulizia incredibile in tazza e ha dei parametri ferrei che rendono la procedura di estrazione molto semplice.

Abbiamo anche pensato ad organizzare dei corsi per insegnare questo tipo di estrazione.

Durante le lezioni usiamo due origini: una con un’acidità più spiccata e una più dolce.

Quando teniamo le lezioni, della durata di un’ora e un quarto, c’è un coffeelover specialist dedicato che prepara il filtro passando dalla soluzione dolce a quella acida in un percorso sensoriale.

“Al Bar Umberto I raccontiamo gli specialty e il mondo che c’è dietro.”

“Abbiamo strutturato il filtro su tre livelli: miscele tradizionali – i caffè di cui abbiamo parlato all’inizio – miscele gourmet e poi gli specialty.

Siamo riusciti a incrementarne le vendite: i miei colleghi mi avevano detto di crederci e in effetti, durante l’inverno sono aumentate molto le richieste.

Per l’estate invece, facciamo un’estrazione a freddo con il V60 e l’intramontabile shackerato. Abbiamo però su questo una proposta interessante: la nostra miscela 100% Arabica tostata medio chiara sprigiona un sentore fruttato che emerge particolarmente nella ricetta fredda.”

Il brunch è una proposta interessante per gli specialty e i filtri?

“Ancora non ho sperimentato il brunch, ma vorrei introdurlo, perché sono convinto che sia un buon modo per far passare gli specialty. Abbiamo sperimentato dei pairing con il dolce (bacio di dama, biscotti secchi, cestino alla marmellata).

Ci sono delle barriere anche in questo senso e non si può osare sul salato. Novara è una città di provincia con una mentalità un po’ chiusa e quindi ci vuole tempo.

Rispetto a una metropoli, con un afflusso turistico che permette di portare avanti questi discorsi più sperimentali, qui si è ancora molto legati alle tradizioni.

In ogni caso, per quanto sia difficile, resto convinto del fatto che il discorso di sostenibilità e tracciabilità legata allo specialty coffee, sia una battaglia che va vinta proprio nelle città di provincia. È qui che bisogna crederci maggiormente.

E io ci credo. Come far passare lo specialty? Partendo dal presupposto che un buon caffè, coltivato bene, anche tostato non troppo chiaro, resta ottimo.

Abbiamo provato a sperimentare: la miscela di 100% Arabica tostata medio chiara, permette di servire una soluzione intermedia per avvicinarsi a qualcosa di più spinto.

Ma ancora questo non bastava come primo approccio: ho creato quindi una miscela di due monorigini specialty (un Kenya e un Colombia) tostate all’italiana. I sentori fruttati si perdono, ma resta un’ottima aromaticità.

Questo potrebbe esser il giusto espediente, un mezzo per passare dai commerciali agli specialty. “

E come l’ha presentato?

“Si chiama Tosca, venduto al banco a 2 euro e 50 a tazzina in double shot – che abbiamo spiegato non avere una dose di caffeina eccessiva – e abbiamo lanciato la sfida: se non piace, offriamo noi.

Bene: fin qui, non ne abbiamo pagato neppure una tazzina. La soddisfazione si leggeva negli sguardi di chi lo assaggiava.”

Il consumo domestico è migliorato dopo il passaggio del Covid?

“In effetti, la vendita del caffè per casa sta andando molto bene: molti si sono dotati di macchine superautomatiche che macinano automaticamente i grani.

Questo è stato un grande passaggio: molti clienti acquistano ancora per la moka, ma sono in parecchi che adesso hanno cambiato sistema, dalle capsule ai grani.

Un dato su tutti: solo a dicembre sotto le feste, abbiamo venduto 50 chili di caffè per casa, che abbiamo stimato che sia come esser entrati all’incirca sulle tavole di 400 famiglie con il caffè del Bar Umberto I.”

Ma anche il Bar Umberto I ha sofferto la ricerca del personale?

Attualmente, siamo tre persone al banco più uno in cucina. Il problema ancora non mi ha toccato: ho trovato persone fantastiche che si sono dedicate al servizio.

Ma resta un problema: sono lavori basati spesso su trattamenti salariali non adeguati, a volte addirittura senza regolare contratto.

Non è vero che non si trovano persone che non vogliono lavorare: basta pagarle il giusto e applicare contratti senza sfruttamento. Molti improntano il lavoro nel locale come se si fosse in famiglia, ma non è così: siamo una squadra.

Dobbiamo coprire 8 tavoli da due posti in una sala di sotto e di sopra 5 tavoli da 2 posti e quindi ci sarebbe bisogno di altro personale, ma potrebbe esser un problema trovarne. Bisognerebbe combattere a monte per ottenere una diversificazione a seconda del settore di provenienza il costo del lavoro.”

Umberto I nel futuro: quali sono i sogni nel cassetto?

“Ho in testa due grandi progetti: trasformare la struttura in una scuola del caffè. Dalle nostre parti non c’è molta offerta didattica e sarebbe una cosa grandiosa poter erogare anche dei corsi certificati.

E come secondo passo, introdurre una pasticceria che sia nostra, inserendo magari un pastry chef dedicato.

Ora cuciniamo tutto, dalla A alla Z, con una rotazione di piatti tradizionali: nobilitiamo la semplicità. Ma, un investimento alla volta, sarà possibile puntare più in alto.”

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