lunedì 17 Novembre 2025

Schiavitù: barista costretta a turni di 17 ore e senza stipendio, choc a Chieti, indagata la titolare del locale

Una donna impiegata come barista a Chieti sarebbe stata costretta a lavorare fino a 17 ore al giorno, senza paga, contratto né possibilità di lasciare il locale. Dormiva su un divano nella cucina e veniva controllata 24 ore su 24. La Procura distrettuale dell’Aquila ha aperto un’inchiesta per riduzione in schiavitù e sta analizzando i telefoni della titolare per ricostruire il meccanismo di sfruttamento

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Una barista teatina sarebbe stata ridotta in uno stato di vera e propria schiavitù dalla titolare del locale, che la costringeva a turni massacranti e a vivere sul divano della cucina. La Procura distrettuale dell’Aquila ha aperto un’inchiesta per riduzione o mantenimento in schiavitù. Riportiamo in seguito alcune parti dell’articolo pubblicato sul Corriere Adriatico.

Chieti, barista segregata nel bar e costretta a lavorare gratis: la Procura apre un’inchiesta

CHIETI – Costretta a lavorare tra le 15 e 17 ore al giorno, senza retribuzione e la possibilità di uscire dal bar. È la storia di una barista di Chieti ridotta in stato di schiavitù dalla proprietaria del locale. La procura distrettuale dell’Aquila ha deciso di aprire un’inchiesta ipotizzando il reato di riduzione o mantenimento in schiavitù.

La donna lavorava senza contratto e senza essere retribuita. Il suo telefono, fornitogli dalla gestrice del bar dove era assunta, era abilitato a ricevere le chiamate e non a farle. La donna, descritta dagli inquirenti «in profondo stato di inferiorità psichica», non poteva uscire dal locale dato che era costretta a dormire in un divano nella cucina del locale, sorvegliata 24 ore su 24 dalle telecamere interne.

L’inganno

La titolare dell’attività, avrebbe ideato uno sistema ben preciso per sfruttare la vittima, approfittando della debolezza, fisica e mentale, della donna. La barista attaccava alle 7 di mattina e smontava ufficialmente il turno alle 22, spesso sforando fino alla mezzanotte e senza possibilità di riposo settimanale.

Il tutto senza essere retribuita, dato che nelle carteri risultava come l’amministratrice della ditta.

Le indagini sulla titolare

La procura ha disposto un accertamento sui tre telefoni cellulari intestati alla titolare del bar e individuare, nel materiale rinvenuto sui dispositivi, delle tracce che dimostrino come l’indagata  sia riuscita a ingannare la barista, tenendola bloccata in una situazione di totale sfruttamento.

Il segretario provinciale del sindacato di Chieti, Michele Marino ha commentato così la vicenda: «Chi ha sfruttato non si è posto alcun limite morale. Ma colpisce, anche, che lo sfruttamento avvenisse sotto gli occhi dei clienti. Se la sfruttata non si è ribellata vuole dire che si trovava in una condizione di particolare debolezza.

Oltre allo sfruttamento, va condannata la volontà di approfittarsi della debolezza altrui. E i frequentatori del bar? Chi ha creduto di poter agire in maniera così crudele ha respirato intorno a sé un clima di impunità».

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Perizia sulla barista ridotta in schiavitù, la difesa: «Accuse infondate»

Intanto è stata fissata al 10 dicembre, nel tribunale dell’Aquila, la perizia psichiatrica sulla giovane barista dell’eden Caffè di Fara Filiorum Petri. Da un parte l’accusa (l’inchiesta è coordinata dalla pm Roberta D’Avolio) proverà a dimostrare la vulnerabilità della ragazza, che sarebbe stata ridotta a una sorta di prigioniera da parte della titolare del locale, la 43enne Carmela Tedesco.

Dall’altra la difesa della Tedesco, affidata all’avvocato Florenzo Coletti, che cerca di dimostrare l’esatto opposto. Ovvero che la giovane barista sia pienamente consapevole della situazione e degli accordi presi con la Tedesco.

«Riduzione e mantenimento in schiavitù», però, è l’accusa che la procura distrettuale antimafia dell’Aquila muove alla titolare del bar, da due giorni in carcere a Chieti dopo la revoca dei benefici connessi ad un’altra condanna precedente.

Proseguono intanto le indagini dei carabinieri del Nucleo ispettorato del lavoro di Chieti. La giovane barista sarebbe stata tenuta a lavoro per 18 ore al giorno e segregata in casa, addirittura spiata da una webcam puntata sul divano in cui la giovane passava le notti, nel retro dello stesso bar. Ma per la difesa non è così: quella telecamera sul retro serviva per monitorare le slot machine del bar che prima erano posizionate proprio in quella stanza.

«L’accusa di riduzione in schiavitù è infondata», dice il legale della donna, Florenzo Coletti, «Vivere lì è stata una libera scelta della ragazza perché non aveva altre strade o soluzioni e per questo la titolare del bar si è offerta di aiutarla, ospitandola. Non è vero che lavorava 18 ore al giorno in quel bar. E aveva uno stipendio. Non era tracciato? La barista era stata nominata amministratrice del locale e per questo aveva accordi con la titolare anche per ricevere denaro», ha proseguito l’avvocato Coletti, che commenta così la decisione della procura di sottoporre a perizia psichiatrica la giovane barista.

«Una decisione presa dalla procura che deve valutare le condizioni psicofisiche della ragazza visto che il reato di schiavitù sarebbe proprio legato all’approfittamento di una condizione di debolezza», chiude l’avvocato.

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