lunedì 25 Marzo 2024
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Starbucks, alla Bocconi un caffè con Schultz. Oltre la Roastery c’è una visione speciale del mondo

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Dalla Corte
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MILANO – Howard Schultz, fondatore e presidente di Starbucks ha tenuto una lezione all’Università Bocconi di Milano alla vigilia dell’apertura della Roastery in Piazza Cordusio 2 nel capoluogo meneghino. Ecco il testo completo dell’intervento. Intitolato Un caffè con Howard Schultz. Per scoprire assieme al manager che cosa c’è dietro e oltre il frappuccino: una visione speciale del mondo.

Ho diviso il mio discorso in tre parti. La storia di Starbucks, il mondo in cui stiamo vivendo oggi e in che modo la nostra responsabilità individuale e collettiva si sta evolvendo, date le sfide che stiamo affrontando in termini dei cambiamenti sociali.

Cominciamo da Starbucks

Nel 1987, Starbucks aveva 11 store e 100 persone che lavoravano per la compagnia. Avevamo questo sogno, di creare un brand nazionale di caffè americano.

Qui il video originale dell’intervento in inglese di Howard Shultz all’Università Bocconi di Milano

Come Mister Barone ha detto: questo sogno è iniziato per certi versi, col mio primo viaggio da giovane, quando sono arrivato a Milano nel 1983.

Ho camminato per le strade di Milano e Verona, Sono stato catturato emotivamente dai bar, del senso della comunità, da quel terzo posto tra casa e lavoro.

Ho pensato: questo è quello che vorrei cercare di costruire. Trasportare l’esperienza del caffè italiano, nella società americana. Quindi, nell”87, abbiamo iniziato a pensare come poterlo fare.

Avevamo due grandi idee. Una riguardava l’esperienza del consumatore: in termini dell’atmosfera e di come potevano percepirla. La seconda, ancora più importante: quali sarebbero stati i valori, i principi della compagnia stessa.

Abbiamo cercato di creare un modello di business che fosse differente. Uno che potesse funzionare comunque bene. A come avremmo potuto ricrearne uno che potesse raggiungere l’equilibrio fragile tra il profitto e la benevolenza. A come poter creare valore e allo stesso tempo avere un impatto sociale.

Questo business model è stato il fondamento di ciò che siamo riusciti a costruire: 25mila store nel mondo, 300 mila partner. 21Milioni di clienti nei nostri negozi. Siamo presenti in 75 Paesi, anche in Cina.

L’origine della filosofia Starbucks, è molto personale. Sono cresciuto in una famiglia che aveva veramente poco, ero un ragazzo povero. Sono rimasto segnato da certe esperienze che mi hanno fatto sentire in imbarazzo.

Quando avevo 7 anni, c’è stato un momento di svolta: mio padre era un camionista e aveva un brutto incarico, ovvero consegnare e ritirare dei panni assorbenti, prima dell’invenzione dei Pampers.

Nel 1960, un giorno molto freddo, si è rotto la gamba e l’anca. In quel periodo, se eri un lavoratore senza istruzione e ti facevi male durante il lavoro, venivi semplicemente licenziato. Questo è ciò che è successo a mio padre. Quando sono tornato a casa a 7 anni, mio padre stava sdraiato senza lavoro, senza assicurazione, senza futuro.

Io sono stato testimone della frattura della mia famiglia. Ne sono rimasto colpito. Non avrei mai immaginato che un giorno, quello stesso ragazzino, sarebbe stato nella mia posizione. Ho sempre però avuto questa sensibilità verso le persone che stanno dall’altra parte. Quando ho fatto partire la compagnia, è diventata la prima a garantire l’assicurazione ad ogni singolo partner.

Abbiamo preceduto di 25 anni l’idea di Obama. Siamo stati i primi. L’abbiamo fatto non per una logica di marketing. L’abbiamo fatto perché era la giusta cosa da fare dal punto di vista umano.

Due anni dopo, Starbucks aveva preso piede. Nel 1992 siamo diventati una compagnia pubblica. Poco prima abbiamo avuto un’altra idea: come possiamo creare un’opportunità grazie alla quale chiunque nella compagnia, potesse diventare un azionista.

Qualsiasi fosse il ruolo all’interno della compagnia, potevi esser un azionista. Siamo stati la prima compagnia che ha concretizzato questa iniziativa. Quindi, la sicurezza di un’assicurazione sanitaria e la possibilità distribuita equamente, di esser azionisti, sono state le nostre basi.

Le fondamenta di ciò che è davvero necessario per creare una grande compagnia: la fiducia tra te e le persone che lavorano con te. Se i manager e i leader vogliono raggiungere le aspettative dei clienti, devi prima soddisfare quelle dei tuoi dipendenti.

Avevamo grandi sogni per una piccola compagnia. Se mi avessero detto che oggi sarei stato di fronte a voi a parlare della grandezza di Starbucks e dell’apertura in Italia, avrei risposto: no, non è possibile.

Ma quando mi chiedono come ho fatto io rispondo che è successo, perché nel nucleo di quello che facciamo, c’è la ricerca e la tostatura della migliore arabica nel mondo. Probabilmente abbiamo il miglior real estate portfolio nel mondo. E il design dei nostri store è sicuramente unico.

Ma tutto questo, è subordinato al segreto del successo: cultura, valori, principi guida. E la comprensione del lato umano.

Riconoscere poi che l’equilibrio tra profitto e impatto sociale è legato alla fiducia e all’esecuzione di strategie nelle quali il successo è condiviso.

Io credo, che il ruolo di responsabilità delle aziende private sia lo stesso di quelle pubbliche. In America, e in tutto il mondo, le regole di responsabilità ormai sono cambiate.

Non possiamo delegare al governo. Dobbiamo capire qual è la nostra responsabilità nella collettività. Quindi negli ultimi 4 5 anni, Starbucks si è preso carica di alcuni tabù in America. Degli aspetti quasi intoccabili.

Durante l’ amministrazione Obama, avevamo un alto tasso di disoccupati. La crisi economica aveva bloccato l’arrivo di finanziamenti alle piccole imprese. Quindi, qual era la nostra responsabilità di fronte a tutto questo?

Certo, siamo una compagnia di caffè. Quindi il nostro ruolo è nulla paragonato a quello del governo e delle banche. Ma noi abbiamo detto: no, abbiamo negozi in ogni comunità in America. Abbiamo iniziato una campagna per raccogliere soldi con i nostri clienti, per provvedere a piccoli presti da donare alle piccole imprese, che non avrebbero potuto prendere dalle piccole banche locali.

Potete capire che ci sono stati degli azionisti che hanno detto: cosa stai facendo? Sei nel mercato del caffè, pensa a vendere caffè! Fai soldi. Ma ecco il segreto: non penso che tu possa costruire un grande impero dove il profitto è il tuo solo fine.

Credo anche che tante persone come voi, voglia una compagnia in cui credere, che dia valore alle persone. Quando siedo nella stanza dei manager, voglio due sedie vuote: una per i clienti di Starbucks e una per gli impiegati.

In questa metafora io mi chiedo sempre: la decisione che stiamo per prendere, renderebbe orgogliosi queste due figure? E se la risposta è sì, siamo sulla strada giusta. Se è invece sul grigio, allora non dovremmo farlo.

Vi faccio un esempio. Negli ultimi anni abbiamo assisto a qualcosa di incredibile: la crescita del razzismo contro gli Afro-americani. Abbiamo assistito senza dire niente. Noi però vogliamo avere una compagnia aperta. Senza discorsi.

Vogliamo dare l’opportunità alle persone di parlare. Ma mi hanno detto che non potevo parlare di razza a lavoro. Perché no? Allora abbiamo organizzato un incontro sul razzismo.

Ho sentito cose alle quali non potevo credere, dagli Afro-americani che lavoravano a Starbucks. Storie di razzismo. Un giovane uomo si è alzato. Ha detto una sola frase: ho 18 anni e non penso che arriverò ai 19. si è poi seduto. Abbiamo sentito storie solo come questa.

Cosa potremmo fare? Dobbiamo discuterne. Abbiamo quindi iniziato questa incredibile campagna “Raised together in America”. Siamo stati insultati dai media. Quando in realtà abbiamo solo tentato di sollevare la coscienza della nazione.

Perché? Nel 1968 Martin Luther king fu assassinato. All’epoca, il fratello di Kennedy stava conducendo la campagna per la sua presidenza. Quando è avvenuto l’omicidio, avrebbe potuto scegliere di ritirarsi al sicuro. Invece decise in base al suo coraggio, ai suoi valori, al suo carattere: scelse di scendere dal palco e di farsi portare nel luogo della rivolta.

Gli dissero di non andare, perché i neri stavano rivoltando le strade. Ma lui ci andò e rimase lì. Senza microfoni. Rimase in piedi e tenne uno dei più grandi discorsi della storia.

Il suo messaggio era fatto di tre parole, che io riprendo per la situazione attuale.

Ha chiesto compassione, empatia, ha parlato di amore. Una sola città in America quella notte, non ebbe rivolte e fu proprio Indianapolis. Perché lui parlò della condizione umana.

E così siamo arrivati oggi. C’è un grande bisogno, che tu sia americano, russo, italiano, ebreo, cattolico, cristiano, bianco, nero, maschio, femmine, gay, etero: l’amore, l’umanità e compassione.

La domanda per tutti, dagli studenti in Italia, ai professori oppure ai baristi di Starbucks è: qual è la nostra responsabilità. La storia ha dimostrato tante volte che uno dei mali del mondo è nell’indifferenza.

Questo però non è il momento di esser indifferenti. È invece quello del coraggio, per stare fermi sui propri valori. Di prendere posizione per ciò che è giusto e contro ciò che è sbagliato. È anche il momento in cui non possiamo permetterci di aumentare gli elementi che ci dividono.

C’è invece bisogno di costruire ponti. Di abbracciare le nostre differenze. Solo qualche mese fa abbiamo avuto un’opportunità di aprire uno store in Sud Africa. Non ci sono mai stato. Ho letto molto a riguardo con tanto rispetto, su Nelson Mandela.

Prima dell’apertura ho potuto sedere con quasi 50 persone che attendevano l’inaugurazione a Johannesburg. Tutti quanti non avevano mai avuto un lavoro. Era la loro prima esperienza ed erano eccitati. Volevano servire i clienti.

Mentre parlavamo, mi hanno raccontato di dove vivessero. Io non avevo mai visto una township. Allora ho chiesto a uno di loro, Victor: sarebbe ok se io venissi a visitare la vostra township? Io sono cresciuto in una casa popolare, ma non avevo mai visto una township, una così totale povertà.

Senza elettricità, senza acqua, senza cucina. Ho incontrato la madre e le sorelle di Victor che erano così felici. Ho conosciuto così tanti uomini ricchi che erano veramente infelici. Ed ecco qui questa famiglia che non aveva niente tranne che loro stessi.

Ho sentito una parola africana che continuavano a ripetere: unbutu. Cosa significava? Stavano tutti sorridendo: significa “Io sono grazie a te”. Noi dobbiamo esserci per gli altri. Abbiamo bisogno di ricordare bene qual è la società in cui viviamo, per fare la differenza. Per riconoscere che stiamo vivendo proprio ora, in una società globale dove i nostri figli, i nostri nipoti, ci chiederanno: per che cosa hai lottato?

Quindi io chiedo a voi: fate tutto ciò che potete per rendere felici quei genitori che hanno permesso la vostra presenza in questa università.

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