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Starbucks e il caffè che non piace in Europa. La catena di caffetterie rielabora le proprie strategie dopo aver scelto location prestigiose e investito milioni di dollari per i suoi store

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di Stefania Medetti* Michelle Gass è il direttore generale nominato lo scorso febbraio da Starbucks per rivitalizzare le attività nell’area Europa, Medio Oriente e Africa (Emea). Il quale ha dovuto prenderne atto: non esiste una sola ricetta per conquistare il Vecchio Continente.

Michelle Gass: Starbucks, infatti, ha tirato le somme e i numeri parlano chiaro

L’Europa ha bisogno di un’iniezione di energia. La regione, secondo i dati pubblicati da The Wall Street Journal, ha chiuso il trimestre al 30 settembre a -1%, contro il +7% a perimetro costante messo a segno dalle Americhe, dove il profitto operativo è cresciuto del 21%, raggiungendo 536 milioni di dollari.

La catena di caffetterie più famosa del mondo non fornisce dati disaggregati, ma l’Europa, che rappresenta il mercato più ampio su questo lato dell’Atlantico, è gravato da una perdita da 6,5 milioni di dollari.

Nel trimestre corrispondente, lo scorso anno, aveva totalizzato un profitto di 2,5 milioni. Ma c’è di più: fra tutti i mercati in cui l’insegna è presente, l’Europa è l’unico con un segno negativo.

In Francia, ha fatto sapere qualche mese fa The New York Times, Starbucks non ha mai portato a casa un profitto, nonostante abbia passato gli ultimi otto anni lavorando alla costruzione di 63 caffetterie.

Anche nelle regioni europee con il segno positivo, i risultati sono ben lontani da Asia e Americhe.

Gass, dunque, ha dovuto fare marcia indietro e ha cominciato a rinunciare alle location più prestigiose. La location, nel viaggio antropologico compiuto dal manager alla scoperta dei bisogni dei coffee lovers europei, è solo uno degli errori con cui deve fare i conti.

Gli europei, infatti, non ricercano solamente il look & feel delle caffetterie americane, piuttosto hanno bisogno di ambienti vicini alla propria cultura.

È per questa ragione che l’insegna è al lavoro per trasformare i propri store.

A Barcellona, per esempio, i locali sono stati decorati con antiche piastrelle, ad Amsterdam ci sono murales fatti di parti di biciclette.

In Francia e nel Regno Unito

Qui la catena ha aggiunto nuove tostature di caffè. Nell’ottica di una maggiore vicinanza ai gusti locali, l’insegna ha scelto di appoggiarsi sempre di più a operatori che conoscono il mercato , abbracciando la formula del franchising.

Nel Regno Unito, le insegne di proprietà sono passate da 600 a 593, mentre quelle in franchising sono cresciute in un anno di oltre trenta unità e oggi sono 168.

Per invitare nuovi clienti nei propri locali, inoltre, Starbucks accelera sulle promozioni: in Germania, l’ultima ha fatto lievitare le vendite del 28%.

Visto il successo, Starbucks ha anticipato l’introduzione di carte fedeltà.

Il ceo Howard Schultz è ottimista: “il peggio in Europa è passato”, ha dichiarato a Cnbc in un’intervista a metà settembre. Il cambiamento di rotta per il mercato europeo, in realtà, fa parte di una strategia di lungo periodo che punta a un margine operativo del 15-17% entro il 2016.

Un obiettivo ambizioso che l’azienda dovrebbe perseguire riducendo l’esposizione nei mercati più deboli, come Spagna e Grecia che complessivamente contano 150 locali, migliorando l’efficienza della catena di fornitori e puntando a crescere nei mercati più promettenti, come il Regno Unito.

Qui, la scorsa primavera, Starbucks si è presentata in tv con una delle poche pubblicità della sua storia.

L’esordio sul piccolo schermo è avvenuto nonostante il taglio del 20% alle spese pubblicitarie che, complessivamente, superano 140 milioni di dollari.

A quest’importo, però, Starbucks UK dovrà aggiungere 16 milioni di dollari l’anno per il biennio 2013 – 2014.

Tanto, infatti, l’azienda ha deciso di versare all’erario di Sua Maestà dopo le proteste dei cittadini all’indomani della notizia che la catena, dall’apertura nel 1998, ha pagato soltanto 8,6 milioni di sterline in tasse.

Insomma, per Starbuck il caffè in Europa è un business particolarmente amaro.

*Fonte Panorama.it

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