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Starbucks a Milano: uno specialista valuta l’aspetto immobiliare dell’apertura

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MILANO – Mentre stenta ancora a depositarsi la polvere delle polemiche attorno allo Starbucks milanese, c’è chi cerca di analizzare in modo più concreto e puntuale e – soprattutto – con dati precisi alla mano l’operazione realizzata nella capitale morale d’Italia dal colosso americano.

È il caso un articolo di Vittorio Zirnstein apparso sul requadro.com, un sito che si occupa del mondo immobiliare e dell’economia legata al mattone, con ampiezza di analisi e attenzione alle grandi tendenze internazionali.

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Articolo scritto dunque da un esperto in grado di valutare costi, ricadute e valenze dell’ingente investimento attuato da Starbucks a Milano. Vi proponiamo l’articolo di seguito.

Pare che il caffè servito al banco della Starbucks Reserve Roastery, in piazza Cordusio a Milano, sappia proprio di caffè.

E già questa è una notizia

Peccato, aggiunge qualcuno, che un’espresso costi 1,80 euro. Non poi molto in termini assoluti, ma ben il 50% in più del costo dei caffè più costosi della città, che vengono serviti in media attorno all’euro e venti centesimi.

Si tratta di due notizie in fin dei conti abbastanza banali. Ma che se ben analizzate possono offrire un’immagine ben più chiara di cosa sia la caffetteria americana, delle sue strategie e della sua capacità di interpretare il cambiamento in corso nel mondo globalizzato.

Più chiara, per lo meno, di ciò che emerge dal quadro disegnato con pennelli intinti esclusivamente nei concetti di esperienzialità e urban manufacturing della narrazione dei sostenitori dell’iniziativa, o dallo schizzo buttato giù con tratti di anacronistica autarchia caffeinica o di sostegno della superiorità dell’italica miscela dei detrattori. Con il corollario del ridicolo esposto all’Antitrust avanzato da Codacons.

Quanto vale la Starbucks Reserve Roaster?

Partiamo dall’aspetto immobiliare della questione. Secondo le planimetrie catastali Stabucks occupa circa 2.000 metri quadri del meraviglioso palazzo Broggi, costruito tra la fine del 1800 e i primissimi anni del 1900 come sede della Borsa valori di Milano.

E poi divenuto sede centrale delle Poste negli anni 30, dopo il trasferimento del mercato azionario nella vicina Piazza degli Affari, in Palazzo Mezzanotte.

Il dato di 2.300 metri quadri che circola sui media, quindi, si riferisce probabilmente alla superficie commerciale.

1.000 metri quadri (calpestabili) sono disposti al piano terra, dove si svolge la preparazione dei prodotti, compresa parte della tostatura, la macinatura dei chicchi, la preparazione delle miscele di caffè, l’infusione e l’attività commerciale di vendita, nonché il consumo.

Al di sotto ci sono due piani interrati, di dimensioni più o meno equivalenti. Il secondo interrato ospita quasi esclusivamente locali tecnici; il primo locali dedicati al personale (spogliatoi, ecc…) e, soprattutto, buona parte degli impianti di lavorazione del caffè.

L’immobile apparitene a uno dei fondi gestiti da Kryslos Sgr, da dove non provengono informazioni sul canone di locazione pagato da Starbucks. Per dovere professionale abbiamo provato a domandare, ma ci è stato gentilmente risposto che il dato non verrà reso pubblico.

Qualche conto

Proviamo allora a fare un paio di conti per farci un’idea di quanto paghi la caffetteria made in Usa per questa location così esclusiva. Il metodo utilizzato è quello comparativo, non il migliore per stimare i valori immobiliari del comparto commerciale, ma è il più immediato e, in assenza di altre informazioni, quello che implica la minore assunzione di ipotesi arbitrarie.

Per il piano terreno, la parte più commerciale, il canone medio della zona è di 1.000 euro al metro quadro per anno. Che per Starbucks vuol dire un milione di euro di affitto sui 365 giorni.

Per i due piani interrati, partiamo da un valore pari al 30% del canone pieno e ipotizziamo un ulteriore riduzione del 5%, visto il grande utilizzo di spazio per locali tecnici. Per questi altri 1.000 metri quadri, quindi, si arriva a un canone di circa 250mila euro l’anno. In tutto, quindi, l’affitto dovrebbe aggirarsi attorno a 1,25 milioni di euro all’anno.

Facendo cifra tonda, ogni mese Starbucks deve riconoscere a Kryalos 100mila euro di affitto. Per ripagarli c’è bisogno che vengano venduti 55.556 caffè espresso. Tenendo conto che l’orario d’apertura della Roastery è 7-22, ciò vuol dire che ogni giorno del mese dovrà essere servita una tazzina d’espresso ogni 30 secondi.

Dalla mattina alla sera, domeniche e festivi compresi (i numeri cambierebbero se la “brillante” idea del bisministro e vicepremier Luigi Di Maio di imporre le chiusure domenicali a locali ed esercenti andrà in porto).

E’ fattibile?

Starbucks non vende solo espresso. Nel menù della Reserve Roastery milanese si può scegliere tra un gran numero di bevande a base di caffè, bibite. E poi pizzette, panini e tiramisù della famosa forneria Princi e altro ancora.

Il numero di caffè serviti è comunque un buon indicatore della redditività di un bar, in quanto il margine della tazzina è molto alto. E pertanto viene spesso utilizzato come primo indicatore nella due diligence di questo tipo di attività commerciali.

Quello che deve raggiungere Starbucks solo per ripagarsi l’affitto è comunque un numero notevole. Il che fa pensare che l’investimento milanese non abbia un valore esclusivamente commerciale, ma sia in realtà qualcosa di più complesso.

Cosa vale la Starbucks Reserve Roastery

In un paio di interessanti e documentati articoli, Luca Carbonelli sottolinea la valenza industriale della Reserve Roastery. In particolare, si legge come la capacità produttiva della torrefazione all’ombra della Madonnina sia molto superiore rispetto alle necessità del punto vendita.

Pertanto tra i compiti di piazza Cordusio ci sarà anche quello di rifornire di caffè i locali europei. Carbonelli calcola che Starbucks produrrà a Milano il 7% del caffè venduto nei suoi negozi in Europa.

E questo è sicuramente un punto. Ma c’è anche altro. Starbucks fu fondata nel 1971, ma la sua vera nascita è successiva, e risale all’agosto del 1987. Quando la società venne acquistata da Howard Schultz, che la trasformò in ciò che oggi è riconosciuto e riconoscibile in tutto il mondo.

Un ricordo personale

Il primo ricordo personale risale a una decina abbondante di anni fa, a New York, dove faceva un freddo cane (probabilmente si era sotto zero, ma già allora non era semplice la conversione in gradi celsius da fahrenheit), e le caffetterie con l’insegna verde erano un ottimo rifugio, dove bersi qualcosa di caldo, passare del buon tempo condividendo, o immaginando di condividere, lo stile di vita locale e sentendosi in pratica newyorkesi onorari; il tutto collegandosi a Internet gratuitamente e senza fili.

Oggi è una banalità, ma allora non lo era affatto; anzi: era un format commerciale molto innovativo.

Starbucks è una società abbastanza vecchia da essere un consolidato leader mondiale – gli oltre 28.700 punti vendita in 78 Paesi costituiscono la più lapalissiana delle conferme – ma abbastanza giovane da potersi permettere di stravolgere il proprio modello di business e di offerta senza perdere identità.

Due chiare tendenze

Nel settore alimentare e della distribuzione (Mapic Italia insegna) spiccano due chiare tendenze: l’attenzione alla qualità del prodotto e il lusso (e chi fa immobiliare conferma che si tratta di uno dei comparti dove si fanno ottimi affari).

Se si mettono in equazione i termini caffè + qualità del prodotto + lusso/fashion il risultato non può che essere Milano/Italia. La Reserve Roastery meneghina non è il primo esperimento di questo tipo di Starbucks.

Ne esistono già due, una a Seattle e una a Shanghai. Ma può e vuole essere la consacrazione del nuovo orientamento d’offerta e modello di business del gruppo. Nonché un più scontato trampolino di lancio per la conquista di un mercato potenzialmente enorme, ma fortissimamente competitivo e tradizionalista (soprattutto per il prodotto) come quello italiano.

Un ultima questione riguarda le critiche e i timori, anche sociologici, che richiamano all’omologazione commerciale e dei gusti e più in generale alla concorrenza delle grandi multinazionali ai piccoli esercenti.

Una buona concorrenza

L’impressione è che quella di Starbucks, in realtà, sarà una buona concorrenza per la città di Milano e per i commercianti e ristoratori milanesi nelle vicinanze. Buona perché la torrefazione nel palazzo storico in centro è destinata a diventare uno dei tanti attrattori turistici della città, di cui potranno beneficiare anche i vicini-concorrenti.

Molti degli avventori che si sono aggirati in piazza Cordusio nei primissimi giorni di apertura, per esempio, hanno rinunciato a entrare nel locale scoraggiati dalla lunghissima fila, preferendo un gelato o un caffè nei locali vicini.

A far male alla concorrenza, se mai, è chi approfittando del location eccezionale che è costituita dal centro di Milano offre prodotti di scarsa qualità a prezzi troppo alti, con l’obiettivo di spennare il turista come fosse un pollo.

Per quanto mi riguarda ho fatto un giro da Starbucks e mi sono preso un espresso (confermo: sa proprio di caffè), ma credo che continuerò a frequentare la caffetteria napoletana che ormai è diventata uno degli appuntamenti fissi della mattinata. Caffetteria che peraltro è un franchising.

Vittorio Zirnstein

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