domenica 24 Marzo 2024
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San Francisco: illy aprirà sette punti vendita nella città dei nerd e dei radical chic

Nella metropoli californiana, il caffè è la nuova ossessione e il made in Italy è in grande spolvero, come confermato dai risultati ottenuti dalle aziende italiane al Winter Fancy Food.

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SAN FRANCISCO, Usa – Nel luogo sacro in cui dieci anni fa venne presentato il primo iPhone, va in scena il Grana Padano. Al Moscone Center, centro congressi così intitolato per uno storico sindaco ammazzato nel 1978 da un fanatico antigay che oggi sarebbe almeno ministro (insieme al consigliere comunale Harvey Milk), ecco i cibi italiani in bella mostra per la grande fiera “Winter Fancy Food” che come ogni anno si tiene qui, nel West, per portare le eccellenze del cibo.

Come ogni anno c’è l’Italia, sotto la bandiera di “Extraordinary Italian Taste”, 65 aziende a portare qui nella frontiera della corsa all’oro le loro specialità.

La California è infatti il nuovo territorio inesplorato, patria del cibo biologico e delle nuove ossessioni alimentari per consumatori con capacità di spesa spesso illimitata.

Ecco dunque il grana padano, appunto, ecco l’olio con il signor Colavita, ecco il consorzio Franciacorta, rappresentato da una splendida fanciulla bergamasca che si chiama Laura Donadoni (noi da bresciani si fa il tifo per il Franciacorta, contro l’invasione veneta del Prosecco che qui spopola).

Poi dopo la fiera tutti a cena sul roof del St. Francis, grand hotel storico che vide i trionfi di Ronald Reagan quando era governatore di California (nella lobby, posate e ricette dei menu di stato, con la regina Elisabetta e tutto).

“In questa edizione del Winter Fancy Food abbiamo, fra l’altro, invitato 10 importanti compratori provenienti da tutti gli Stati Uniti”, dice il direttore di Ice-Italian Trade Agency a New York, Maurizio Forte.

“In termini di export generale l’Italia nel 2016 è stata insieme all’India l’unico paese fra i primi dieci fornitori Usa a registrare una crescita (+1,8 per cento)”.

Alla cena, all’ultimo piano dello storico albergone, c’è il tout-San Francisco, capeggiato dal nuovo console generale d’Italia appena arrivato, Lorenzo Ortona, golden boy della Farnesina, quarantenne discendente dello storico Egidio Ortona “inventore” delle relazioni diplomatiche tra Italia e America del dopoguerra.

E l’importanza di San Francisco sullo scacchiere estero è anche segnalata dal livello di consoli che vengono qui inviati; il precedente, Mauro Battocchi, popolarissimo, è stato praticamente sequestrato a Roma da Carlo Calenda dopo la storica missione del governo qui un anno fa, e trasformato in suo consigliere diplomatico.

C’è poi la regina sociale sanfranciscana Viola Buitoni, discendente delle omonime paste, che fa i catering e i corsi di cucina per la gente che piace, sposata a un top manager Netflix.

Tra formaggi, un risotto con gorgonzola e gamberoni, food blogger che si scambiano biglietti da visita, è chiaro a tutti che il cibo, uno o due punto zero, è la nostra chiave di accesso (anche) a Silicon Valley.

Le aziende si organizzano: Illy aprirà sette nuovi punti vendita, in una città in cui il caffè è la nuova ossessione (Starbucks è vista come il male assoluto dai radical chic siliconvallici, mentre i nerd più affluenti nelle loro cucine più che le intelligenze artificiali tengono il macinino da caffè, e al mattino prendono lezioni di degustazione di arabica prima di prendere i loro pullman che li portano a Cupertino e Mountain View. Un espresso viene 4 dollari, e tutti sono convinti che Nespresso sia italiano).

Qualcuno intanto assaggia il prosciutto di Parma e si abbandona alla nostalgia; il salume del resto è l’alimento più introvabile qui, sarà il clima o l’aria o i maiali siliconvallici, ma non è la stessa cosa, e non lo sanno tagliare sottile (come a Roma, del resto, dice qualcuno).

Altri favoleggiano e si scambiano l’indirizzo di un minuscolo produttore di bresaola della Valtellina, il segreto meglio conservato di Silicon Valley, altro che la quotazione in Borsa di Snapchat.

In America infatti è vietata, non si può importare né produrre: e gli appassionati vanno in Canada a comprarla, preferendola forse alla marijuana, qui legalissima e dunque già banale.

Michele Masneri

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