venerdì 29 Marzo 2024
  • CIMBALI M2
  • Triestespresso

Napoli, dove la tazzulella non può esser d’asporto: perché l’espresso è anche socialità

Assurdo viene definito dai titolari dei bar l’asporto del caffè previa prenotazione on-line o telefonica. Il presidente di Fipe-Confcommercio, Massimo Di Porzio: “Non capisco perché ad un cliente all’esterno del locale non si potrebbe consegnare un caffè, così come un macellaio consegna un pacchetto con la carne"

Da leggere

Dalla Corte
Demus Lab - Analisi, R&S, consulenza e formazione sul caffè

NAPOLI – La Fase 2 per i pubblici esercizi arriva sostanzialmente insieme a una formula di servizio, ovvero quella dell’asporto. Ma questo modello andrà davvero bene per tutti? Sono infatti tanti i locali che non sposano con piacere questo sistema che al contrario sta stretta: come immaginare infatti di riformulare il rito napoletano, la sua intrinseca socialità e spontaneità, con prenotazioni e bicchierini take away? Vediamo cosa succede in questa parentesi delicata dal sito interris.it.

Rito napoletano e d’asporto possono convivere?

Con il lockdown il rito napoletano del caffè per socializzare è finito, riducendo il consumo ad una dimensione individuale, e nella Fase 2 la tazzina del bar da asporto o consegna non decolla. La Fase 2 permette la consegna a domicilio ed asporto, ma solo su prenotazione. Tutto il contrario della socializzazione, e per i bar più grandi, non ci sono le condizioni per riaprire.

Resta chiuso il “Gambrinus, locale-simbolo, che in una normale giornata pre-Covid 19 serviva al banco “diverse centinaia di caffè”. “Abbiamo 30 dipendenti in cassa integrazione – dice Massimiliano Rosati – ed i contratti a termine non sono stati rinnovati. Il movimento turistico è a zero.

La ripartenza è possibile per il rito napoletano?

Riaprire prima del 1 giugno? Non escludiamo di farlo, e non abbiamo aderito alla protesta dei commercianti di Chiaia. Non è il momento delle polemiche, ma dobbiamo fare una valutazione sui costi. Con questi numeri non ci rientriamo”. Nella Galleria Umberto I, popolata solo di clochard, che ci allestiscono i loro giacigli, i bar che hanno aperto sono due.

Niente tavolini, che sono vietati: “Posso vendere forse 30 caffè ai clienti dell’ ufficio postale – dice sconsolato uno dei titolari – così non vale la pena di lavorare”. Chiusi i grandi locali, aperti solo i piccoli bar, a conduzione familiare, senza dipendenti. Alla Stazione centrale non ha riaperto neanche la caffetteria-ristorante.

“Ha riaperto forse un bar su 10 – dice il presidente di Fipe-Confcommercio, Massimo Di Porzio – i bar, con gli uffici e la gran parte dei negozi chiusi sono i più penalizzati della nostra categoria, insieme alle pasticcerie. A chi lo consegnano il caffè?”.

Il caffè da asporto

Assurdo viene definito dai titolari dei bar l’asporto del caffè previa prenotazione on-line o telefonica. “Non capisco perché ad un cliente all’esterno del locale non si potrebbe consegnare un caffè, così come un macellaio consegna un pacchetto con la carne – aggiunge il presidente della Fipe – l’ordinanza mi sembra molto approssimativa. Ci fanno carico anche delle file all’esterno ai locali, come se potessimo essere responsabili dei comportamenti della gente”.

I bar in gran parte chiusi, dal centro al quartiere collinare del Vomero, dove a piazza Vanvitelli funzionano tre locali su sei, contribuiscono all’immagine di una città semivuota, come in una giornata di pieno agosto. I pochi locali aperti hanno l’ingresso sbarrato con tavolini o cordoni di plastica per impedire l’accesso dei clienti. Spesso sulla vetrina c’è un cartello con il numero di telefono per le prenotazioni. Ma chi prenota una tazzina di caffè?

CIMBALI M2
  • Gaggia brillante
  • LF Repa

Ultime Notizie

  • TME Cialdy Evo
  • Water and more
Carte Dozio
Mumac