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Pernigotti resta a Novi Ligure: vicenda conclusa con un piano industriale

Nei giorni scorsi ai sindacati è arrivato il documento ufficiale, che sarà discusso a Roma, sempre al Mise, il 17 giugno Emergono per ora pochi dettagli ma il piano viene considerato positivamente dai rappresentanti dei lavoratori. Se tutto andrà come si spera, fra poche settimane l'azienda potrà dirsi salva

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NOVI LIGURE – Pernigotti in quest’ultimo anno e mezzo ha fatto notizia diverse volte, tra manifestazioni, cambi di programma improvvisi e idee per andare avanti che poi si sono rivelate vicoli ciechi. In questo percorso movimentato, tante le speranze inattese dei dipendenti dell’azienda, ma ora sembra finalmente concluso. Con un piano industriale pronto che salverà l’impresa. Leggiamo la notizia da lastampa.it.

Pernigotti vince la partita

Il piano era atteso da novembre, quando al ministero dello Sviluppo economico venne presentata una bozza riferita al periodo 2020-24 nella quale si parlava di riportare nella fabbrica di Novi Ligure la produzione di creme spalmabili e tavolette dalla Turchia.

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Si ipotizzava persino di costruire un nuovo stabilimento. Il tutto senza esuberi su quelli che all’epoca erano circa 80 dipendenti. In quella bozza, come avevano sottolineato sindacati e parlamentari, mancavano però le basi numeriche.

Nei giorni scorsi ai sindacati è arrivato il documento ufficiale, che sarà discusso a Roma, sempre al Mise, il 17 giugno

Emergono per ora pochi dettagli ma il piano viene considerato positivamente dai rappresentanti dei lavoratori. Se tutto andrà come si spera, fra poche settimane la Pernigotti potrà dirsi salva. Sono previsti 59 posti di lavoro a Novi e 65 a Milano tra impiegati e commerciali.

Dal quel 6 novembre 2018, giorno in cui i dirigenti aziendali, nella sede di Confindustria Alessandria, comunicarono che un mese dopo la Pernigotti avrebbe chiuso i battenti, ne sono successe di tutti i colori.

Poche settimane dopo i Toksoz, titolari del gruppo a cui appartiene lo storico marchio, vennero ricevuti dal premier Giuseppe Conte, che li convinse a pensare a una reindustrializzazione della fabbrica senza chiusura. Trovando imprenditori pronti a produrre al posto loro cioccolato, creme per gelato e gianduiotti.

Nel frattempo, era iniziata l’occupazione della fabbrica da parte delle maestranze, dipendenti e interinali

Andata avanti fino a febbraio dello scorso anno. Una protesta che ha portato Novi e la Pernigotti sui mass media nazionali per mesi, e che ha visto organizzare raccolte fondi, cortei e persino una messa in fabbrica celebrata dal vescovo Vittorio Viola la notte di Natale, il 24 dicembre 2018, uno dei momenti più emozionanti.

Non si contano gli annunci sull’arrivo di imprenditori pronti a lavorare a Novi, fino al più famoso, Giordano Emendatori, finito poi in causa con i Toksoz poiché defenestrato dalla cessione del comparto gelati, passato al gruppo Optima. Proprio i fondi ricavati dalla vendita del «fiore all’occhiello» della Pernigotti, secondo la proprietà, sono alla base del piano industriale, con la cessione del magazzino di località Barbellotta.

I sindacati al Mise chiederanno la cassa per un anno «per riorganizzazione»

Una formula diversa da quelle attive in precedenza, prima «per chiusura» e poi «per crisi», quest’ultima ottenuta nel febbraio 2019. «La nuova cassa significa il salvataggio della fabbrica – dice Tiziano Crocco, Uila Uil – e resterà in vigore fino a luglio 2021. Nel piano industriale si parla anche dell’attivazione di una catena di produzione ex novo per le creme spalmabili.

Il fatto che l’impianto non sia importato dalla Turchia ma costruito qui è un segnale, come la decisione di riportare in Italia le creme, che saranno un vero made in Italy e potranno dare lavoro tutto l’anno, non essendo stagionali».

La «cassa» sarà attivata se necessaria e servirà a circa 10 persone per agganciarsi alla pensione. «Nel novembre 2018 – conclude Crocco – la proprietà aveva annunciato la chiusura. Ora i posti di lavoro e la fabbrica resteranno». Una buona notizia che non può avere i festeggiamenti che merita: a Novi ci sono altri 660 dipendenti, quelli dell’Ilva, che lottano per non rimanere a casa.

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