sabato 13 Aprile 2024
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Settimana di quattro giorni lavorativi? Ma la pausa caffè dovrà cambiare

Lavorare tutti, lavorare meno? Sindacati e parte di politici e analisti lo invocano da decenni, ma bisogna saper interpretare i risultati conseguiti

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MILANO – La notizia della settimana ridotta a 4 giorni lavorativi sperimentata in Islanda ha fatto il giro del mondo, facendo riflettere su un nuovo e possibile modo di intendere l’impegno professionale: rivedere gli antichi schemi aziendali potrebbe esser una soluzione salutare per imprenditori e dipendenti. A cambiare però potrebbe anche esser la pausa caffè, che all’interno di una routine accorciata, non avrebbe più la stessa funzione e lo stesso senso. Leggiamo un po’ di più dall’articolo di Giuseppe Timpone su investireoggi.it.

Pausa caffè per meno lavoro: cosa succederebbe?

Cosa ne pensate se il capo vi dicesse all’improvviso che potrete lavorare 35-36 ore a settimana, anziché le ordinarie 40 e a parità di stipendio? La settimana corta è forse il sogno coltivato da molti lavoratori. Un’ora in più di tempo libero al giorno o mezza giornata in più in un qualsiasi giorno della settimana migliorerebbero la qualità della vita. Ma come si fa?

Nei giorni scorsi, i media internazionali hanno riportato i risultati di un esperimento condotto in Islanda tra il 2015 e il 2019, nel quale sono stati coinvolti 2.500 lavoratori del pubblico impiego. Il loro orario di lavoro è stato ridotto da 40 a 35-36 ore a settimana. I beneficiari hanno continuato a percepire lo stesso stipendio. Ne è uscito che il loro livello di soddisfazione sia cresciuto e che la produttività non sia affatto diminuita. Insomma, hanno prodotto quanto prima, ma in minore tempo.

L’esito è stato così positivo che adesso l’86% dei 200.000 occupati in Islanda beneficia della settimana corta o ha conquistato il diritto di negoziarla

Si direbbe che staremmo perdendo solo tempo nel resto dell’area OCSE. Tuttavia, vanno precisate alcune cose. L’esperimento è stato condotto tra i soli dipendenti pubblici e non sappiamo se, applicato su larga scala, possa comportare per i contribuenti un aggravio considerevole dei costi. Sul bilancio di Reykjavik pesa per un marginale 0,5%. E si partiva qui da bassi livelli di produttività: appena 55 dollari per ora lavorata. E in media un islandese lavorava nel 2018 ben 44,4 ore effettive a settimane. Troppo per i livelli occidentali.

Com’è stato possibile lavorare meno e produrre tanto quanto? Le risposte sono state fornite dai diretti interessati. In molte aziende, le riunioni sono state accorciate e rese più centrate per risparmiare tempo.

La pausa caffè in molti casi è stata eliminata e alcuni servizi sono stati digitalizzati

In altri casi ancora, l’orario di lavoro è stato centrato maggiormente per adeguarsi alla clientela. In sostanza, la settimana corta non implica semplicemente lavorare meno, ma farlo in maniera più oculata.

E non è detto che tutti i comparti possano adeguarvisi senza subire costi. Un ristorante che facesse lavorare un cameriere 7 ore al giorno al posto di 8, si ritroverebbe con la necessità di assumere un sostituto per servire ai tavoli nell’ora mancante. Impensabile, infatti, che con un orario ridotto si riesca a servire la stessa quantità di clienti. Almeno, in generale. L’esperimento islandese ci suggerisce che la settimana corta sia possibile, puntando sull’eliminazione dei tempi morti e sulla digitalizzazione dei servizi. Ma desumerne indicazioni valide per ogni tipo di azienda e in ogni luogo sarebbe fuorviante.

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