mercoledì 03 Dicembre 2025
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Il caffè diventa moneta di scambio nella Regione Portuguesa in Venezuela a causa della svalutazione del Bolívar

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Data la continua svalutazione del Bolívar, i commercianti dello stato della regione venezuelana di Portuguesa hanno iniziato ad adottare il caffè come valuta per il pagamento delle transazioni economiche. Leggiamo di seguito la prima parte dell’articolo pubblicato su It Es Euro.

Il caffè come moneta di scambio a Portuguesa

PORTOGUESA (Venezuela) – Si tratta di un dato significativo che evidenzia la gravità della crisi economica in Venezuela. Il fatto che i commercianti siano disposti ad accettare caffè in cambio di beni e servizi è segno che il Bolívar è praticamente senza valore.

Il prezzo del caffè è rimasto relativamente stabile negli ultimi mesi, mentre il Bolívar ha perso oltre il 90% del suo valore rispetto al dollaro Usa. Ciò ha reso il caffè un’opzione più attraente per i trader che cercano un modo per proteggere i propri profitti dall’inflazione.

L’uso del caffè come valuta non è privo di difficoltà. Per prima cosa, può essere difficile determinare il valore esatto di una tazza di caffè in Bolivares. Inoltre si tratta di un prodotto deperibile, il che significa che i commercianti devono stare attenti a venderlo prima che la materia prima si deteriori.

Nonostante queste difficoltà, l’uso del caffè come valuta è sempre più popolare in Portuguesa. I commercianti dicono che è un modo per mantenere a galla le loro attività in questi tempi di difficoltà economiche e caldo estremo, che incidono direttamente sul raccolto dei loro raccolti, ostacolando così il reddito della produzione.

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Otaleg: il gelato, la pasticceria e la caffetteria specialty dentro il nuovo locale di Monteverde: “Con la Maverick amore a prima vista”

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Le tre anime del nuovo Otaleg, Gianni, Francesca e Marco @coffeeandlucas @myMediaStudio
Le tre anime del nuovo Otaleg, Gianni, Francesca e Marco @coffeeandlucas @myMediaStudio

MILANO – Marco Radicioni titolare di Otaleg – gelateria che ha vinto i 3 coni del Gambero Rosso per 6 anni di fila – fa il bis a Roma, con il nuovo locale nel quartiere Monteverde di Roma. Uno spazio che unisce in un colpo solo tre mondi: gelato, pasticceria e specialty coffee. Le fondamenta erano già state gettate dalla visione imprenditoriale e creativa di Radicioni e finalmente, tra l’8 e il 15 giugno l’apertura al pubblico.

In questa nuova avventura romana, i compagni di viaggio promettono bene: in prima linea CoffeeandLucas, che con il suo obiettivo immortala l’ultima creatura firmata Otaleg sulla cresta dell’onda specialty; dietro al bancone, direttamente trapiantato da Milano, Gianni Olimpo.

Un team che è un continuo stimolo ad innovare, sperimentare, osare.

Il gruppo all’opera dietro al bancone @coffeeandlucas @myMediaStudio

Otaleg si evolve su due piani e 150 metri quadri

Racconta Radicioni: “Federico (CoffeeandLucas) mi ha dato gli input fondamentali per portare avanti questo percorso con lo specialty e quindi questa è un po’ casa sua”.

E dall’altra parte lo stesso CoffeeandLucas racconta: “E’ sempre appagante dare forma concreta a una tendenza che ancora troppo spesso ha una buona cassa di risonanza sui social network ma ben poca corrispondenza nel “mondo reale”: la diffusione degli specialty coffee.

Ed è ancora meglio se si riesce a combinare la caffetteria contemporanea con un’offerta di food di prim’ordine. Otaleg è indiscutibilmente una delle gelaterie più famose e premiate d’Italia: sviluppare la caffetteria dentro Otaleg significa portare un modo diverso di intendere il caffè e trasmetterlo ad un target molto più ampio di quello dei “coffee nerd.

Da anni con Marco, avendo trovato terreno fertile, abbiamo iniziato a parlare di caffè e a berne tantissimi assieme! Con Marco abbiamo portato avanti (e altri sono ancora in cantiere) diversi progetti ed eventi che ci hanno fatto togliere parecchie soddisfazioni. Il compito mio adesso sarà quello di tradurre sempre di più in immagini il mondo del nuovo Otaleg. Sarà un lavoro di squadra stimolante”.

Ma come mai proprio a Monteverde?

“Perché il primo negozio che ho aperto era lì. Poi l’ho dovuto chiudere a causa dell’aumento dell’affitto ma da quel momento mi era restata questa voglia di ritornare in questo quartiere. Così, quando ho trovato 4 anni fa questo locale ci è subito piaciuto: aveva la metratura giusta per permetterci anche la caffetteria e la pasticceria. Era perfetto. Ci abbiamo messo molto tempo per realizzarlo, con in mezzo anche la pandemia e il dover gestire la forte attività dell’Otaleg di Trastevere che mi hanno tenuto lontano dai lavori.
Ma ora ci siamo. Come macchina per l’espresso ho scelto la Maverick di Victoria Arduino, con cui è stato amore a prima vista, mentre per il caffè ho scelto il caffè di His Majesty con Paolo Scimone.

E poi mi sono dovuto fare la domanda: con questa macchina e questo caffè, chi ci metto a gestire tutto questo?”

La risposta? Gianni Olimpo

“L’ho portato via da Milano dopo averlo conosciuto al Milan Coffe Festival. Inizialmente doveva aiutarmi per una semplice consulenza, ma più ci conoscevamo più maturavo la decisione di assumerlo in pianta stabile. Devo dire che lavorare con lui mi dà una gioia immensa: risolve i problemi ed è davvero bravo. Stiamo studiando insieme diversi prodotti che possano contaminarsi uno con l’altro.”

E su questa new entry nel gruppo, torna a commentare CoffeeandLucas: “Sono molto felice che Gianni e Marco si siano trovati. Penso che insieme potranno fare grandi cose. Per quel che mi riguarda, posso segnare un nuovo punto sulla mappa dei posti dove andare a prendere un buon caffè e mangiare prodotti di qualità”.

Il caffè per i dolci, il caffè per il gelato, un affogato particolarissimo…di cui però sveleremo i dettagli più avanti. Ma sarà sicuramente un affogato…Otaleg

Gianni Olimpo che assaggia la pasticceria Otaleg @coffeeandlucas @myMediaStudio

“Ho messo in comunicazione Francesca – che si occupa da anni della parte di pasticceria – con Gianni: i dolci al caffè mancavano ancora un po’ di grinta necessaria per valorizzare l’ingrediente. Dopo tanti confronti Gianni ha studiato la giusta estrazione per bilanciarsi con la crema e negli impasti: il caffè che uso nel gelato è lo stesso che servo in espresso il Modoetia di His Majesty, mentre per la pasticceria cambieremo il caffè in base ai vari tipi di impasto che Francesca farà.

Il gelato Otaleg @coffeeandlucas @myMediaStudio

Partiremo così, ma ogni giorno usciremo con novità continue. “

Da Otaleg praticamente non si fa altro che inventare

Ride Radicioni: “In effetti il rischio è che non apriremo mai, rimanendo chiusi io e lui a sperimentare… forse addirittura ci scorderemo di servire i clienti. Basti pensare che da Otaleg in Trastevere abbiamo organizzato con lui il mio primo cupping in assoluto ed è stato illuminante. Vederlo fare da Gianni, osservare la sua gestualità, mi ha ricordato un rito magico.

Mi sono accorto che ho ancora tanto da imparare: dopo aver assaggiato tutti i caffè, mi sono innamorato di uno in particolare, ma ascoltando poi l’opinione di Gianni, mi sono rimesso in discussione e ho capito che il migliore era un altro, l’Arbegona.

Ed è a questo punto della storia che prende la parola Gianni Olimpo: “La complessità del caffè che abbiamo selezionato è pazzesca. Ho iniziato col cupping senza sapere con quale estrazione avremmo poi sfruttato il caffè.

Poi ho scoperto che Paolo ha l’Arbegona per filtro, un’ottima soluzione per questo caffè raccolto a 2000 metri, con metodo naturale, note di fiori di sambuco, mandarino, frutta secca.

Vorremmo utilizzarlo per il primo mese. E a proposito, abbiamo deciso di muoverci così: ogni mese cambieremo il caffè per filtro, in più inseriremo uno special guest di una micro roastery italiana o estera. Iniziamo con His Majesty per poi affiancarlo ad una nuova proposta. Ci saranno sempre due filtri a disposizione sul menù: probabilmente, un africano (in questo caso un Kenya) e un sudamericano. Così per l’espresso: inizieremo con il Modoetia e una monorigine, che cercheremo di cambiare e che per adesso è sempre firmata His Majesty, un Guatemala Sant’Elisa.

Il prezzo sarà quello giusto. L’espresso potrà esser servito sia singolo che doppio: il primo sarà ad 1.50 e il secondo a 2.50. Non abbiamo paura, anzi: mi fa piacere divulgare anche in questa zona la filosofia dello specialty. “

Ma come mai lasciare Milano dove ormai lo specialty si sta rafforzando?

Il re della caffetteria @coffeeandlucas @myMediaStudio

“Ho deciso di spostarmi da Milano a Roma proprio perché mi ha appassionato il progetto di questo nuovo Otaleg. A me piacciono le sfide e con Marco ho trovato terreno fertile: insieme non dormiremo perché siamo continuamente in funzione.”

Ma in questo Otaleg che cosa troveremo ancora? L’affogato al caffè è super segreto…

“Ancora ci stiamo lavorando, perché stiamo cercando di mettere insieme specialty, gelateria e pasticceria in questo affogato. Un po’ tutte e tre le anime di questo nuovo Otaleg.”

Come si trova con la Maverick, lei che è abituato a lavorare con La Marzocco?

“Indubbiamente è una grande macchina, di ultima generazione. La funzione T3 Genius permette al barista di avere controllo assoluto sul caffè, ha anche il pure brew coffee un metodo di estrazione rivoluzionario… insomma, ci sono tante tecnologie a disposizione con cui giocare. Come macinini invece avremo uno per l’espresso che è bellissimo, il Mythos G85, un altro per la single origin, un Atom, un macinino Eureka per il decaffeinato e infine un Fellow Ode che presta bene per il batch brew.

E a proposito, sto puntando su questa preparazione perché attualmente nessuno si mette più a fare filtrati manuali che prendono tempo, con il refrattometro. Per le ricette che preparerò utilizzerò il Kruve – un setaccio del caffè che misura i micron e in base al quale si capisce come impostare le proporzioni per i vari metodidi estrazione. Il V60 lo riserviamo solo per il special guest che potrebbe costare dai 5€ fino ad arrivare ai 12 euro a tazza.

Userò anche il Fellow come kettle. E dato che la macchina non ha bilance integrata, utilizzeremo una Jimmy che si stacca e attacca con la calamita all’attrezzatura in modo da pesare ogni singolo espresso. Infine avremo anche la Moccamaster che non può mancare per fare il batch brew. Mentre per le estrazioni a freddo, proponiamo il cold drip (impiega a goccia circa 8 ore) e anche il cold brew (infusione).”

Mentre per le bevande vegetali?

“Siamo i primi su Roma a proporre la bevanda di avena Minor Figures, un’etichetta abbastanza pulita. Ad oggi non ho ancora trovato una bevanda alla soia che si abbinasse al caffè specialty senza far avere una reazione chimica da far percepire un gusto sgradevole, quindi non la venderemo. L’avena è la migliore e lascia percepire il gusto del caffè senza sovra estrarli troppo e la nostra è anche elastica per disegnare in latte art. Ordinare un drink con l’avena comporta un’addizione di 50 centesimi rispetto a quello classico. Il cappuccino classico è a due euro per esempio e con l’aggiunta di bevanda all’avena 2.50. Inseriremo anche tè più avanti di alta qualità, e succhi di frutta senza zuccheri. “

E quindi a gestire tutta questa varietà, c’è solo lei?

“Per la parte della caffetteria, dietro la macchina, ci sarò io. Abbiamo avuto problemi a cercare personale, stiamo cercando attualmente qualcuno alla prima esperienza. Farò formazione anche a chi si occupa del gelato, a partire da Marco sino a tutti i ragazzi. Solo qua siamo per il momento 8 sopra e in laboratorio 3. 18 persone tra i due locali in totale.”

Otaleg, un gelato che ha il gusto della passione

Si collega al tema Radicioni: “Certo, la pressione economica di mantenere il personale non mi fa stare bene, ma ho imparato a delegare i conti ad un esterno. Abbiamo avuto tra i dipendenti persone da tutto il mondo, molti stranieri, un cinese, una venezuelana, una spagnola. Ed è una cosa che arricchisce e stimola a creare dei gelati con materie prime differenti da diversi Paesi. “

Altri progetti che potete svelare?

Gianni Olimpo: “Stavo pensando di partecipare alle selezioni di cup tasters. Stavo pensando di gareggiare a nome di Otaleg, naturalmente.” E qui si inserisce di nuovo Marco Radicioni: “Sono contento, mi piace la competizione, perché è anche un momento di crescita”.

Nel nuovo Otaleg ci saranno circa 20 posti in totale. Radicioni: “Ma la parte di sotto vorremo aprirla un secondo momento al pubblico, perché è molto innovativo con i posti a sedere e i laboratori di dolci e di gelato a vista che si possono anche aprire in certi orari per interagire con i clienti mentre lavoriamo e servendo i prodotti appena realizzati, sprigionando tutti gli odori. Partiamo per ora soltanto con il piano superiore dove si potrà sostare e consumare ai tavoli. Prima faremo passare l’estate e il primo momento di full, poi penseremo al piano di sotto.

Sul tavolo centrale abbiamo intenzione di organizzare delle sessioni di cupping, di degustazioni in pairing. “

Gueragni: “Comodato costa 2/3€ in più al chilo sul caffè, ma è garanzia: ecco perché”

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daniele gueragni delfico
Daniele Gueragni, il titolare del bar Delfico

MILANO – Di recente abbiamo intervistato Daniele Gueragni per raccontare la storia del suo locale, il Bar Delfico, che ha compiuto 105 anni di attività. Torniamo a confrontarci con lui per quanto riguarda i costi vivi e le possibilità di margine che caratterizzano un bar, soprattutto considerando il contesto milanese in cui è inserito.

Gueragni, com’è possibile guadagnare mantenendo il caffè a un euro?

“Mantenere il caffè ad un euro è più una scelta sociale che commerciale. Sono al timone di un bar storico (parliamo di 105 anni di attività) dove si sono passate il testimone generazioni su generazioni. L’espresso a mio parere deve essere per tutti, senza distinzioni, senza che sia soggetto ad aumenti che, anche se minimi, potrebbero limitare l’accessibilità al prodotto.

Facciamo una media di 350/400 caffè al giorno (cifra che varia molto in base alla
stagione, logicamente in inverno sale mentre d’estate cala) e i costi da gestire su questo
prodotto sono dati dalla corrente, dal comodato, dalla materia prima, la manutenzione
della macchina: quindi il guadagno netto credo si assesta a non più di 25/27 centesimi,
considerando anche il lavoro della persona che lo esegue.

E proprio su questo punto mi attacco al peso degli stipendi in società: il Delfico ha una
conduzione familiare, lavoriamo io e mia madre fissi, con mio padre e la mia compagna
convivente nei momenti di massimo lavoro. Quindi i soldi rimangono all’interno di un
circuito ben definito e la voce del personale pesa di meno.

Ma sono socio anche di un bar in zona piazza Cairoli, il Barlafus e lì ci sono dei dipendenti
che, pure essendo bravissimi e competenti, costano davvero tanto (6000 euro al mese),
con una incidenza importante sui bilanci di fine anno, considerando anche i compensi che,
trattandosi di una società (srl), devono gestire gli amministratori. Senza contare il costo
dell’affitto: 2200€ in via Delfico di cui sto acquistando le mura e 3000 in piazza Cairoli.

Per aprire il bar Delfico ho dovuto fare un investimento iniziale: mia madre mi ha prestato
35mila euro come anticipo è tutto il resto è stato pagato in cambiali.”

Il caffè può essere quindi ancora considerato il core business di un bar?

Gueragni: “Secondo me non lo è più, nonostante io, insieme alla torrefazione Ideal caffè del quale vado fiero, ne prepari parecchi. Credo sia comodo il comodato perché include anche l’assistenza gratuita alla macchina. Quindi, sì, il comodato magari ti costa 2/3€ in più al kg (io lo pago 22 euro) ma è una garanzia sulla efficienza del macchinario e offre anche
lavastoviglie, ghiacciaia, tazzine, porta tovaglioli e piattini.

Come core business io credo che oggi vada per la maggiore il beverage alcolico, dai vini rossi e bianchi, ai gin riserve. Per questo il bar Delfico punta soprattutto su alcolici e vini di alto livello (calici da 10€) o drink da 15€.”

Spadoni: “Un bravo gestore alza il valore dello scontrino medio includendo il caffè”

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Luca Spadoni (foto concessa)
Luca Spadoni (foto concessa)

MILANO – Per approfondire ancora una volta il tema della gestione dei bar, abbiamo contattato anche un docente in economia e ristorazione, che collabora con la Scuola Galdus di Milano: Luca Spadoni ci ha aiutati a capire dal suo punto di vista di formatore dei futuri titolari di caffetterie, le dinamiche che possono determinarne il successo o la chiusura.

Qual è la prima regola che insegnate e che deve sapere chi apre un’attività come un bar?

“In Italia nel 2021 sono state registrate 339mila attività di ristorazione, ovvero circa 170 persone per ogni esercizio: è un numero altissimo. Tra le prime cose che bisogna sapere, vi è l’acquisire le competenze giuste per avviare una di queste aziende. La maggioranza degli aspiranti imprenditori si innamora dell’idea del contatto con il pubblico e dell’avere una propria attività, senza però possedere la capacità commerciale, amministrativa essenziale per rimanere aperti.

Attenzione quindi a coprire le varie competenze di base: che vuol dire anche appoggiarsi ad altri professionisti.”

Quant’è la marginalità (cioè il guadagno) che deriva dalla vendita del caffè, al netto dei costi a carico del gestore?

“In un bar impostato sulla colazione, uno dei centri di ricavi più importanti è la fascia che va dalle 6 del mattino alle 11. Quindi il caffè è il prodotto più importante, non tanto perché dà più margine degli altri, ma perché è un veicolo che porta dentro la clientela. Il consumo di espresso è sempre stato un indice per dare valore all’attività (quanti chili di caffè all’anno consumi) ed è ancora oggi – gli inglesi lo definiscono KPI key performance index – l’indice per capire il livello della performance di un’attività.

Ogni mattina il cliente ordina il caffè e porta con sé il consumo di altri prodotti. Volendo considerare il quadro più ampio, il caffè ha un’alta marginalità ancora adesso: costa mediamente un euro e venti al consumatore, con una grammatura intorno ai 7 grammi per tazzina, e ha un costo di prodotto che si aggira attorno ai 15 centesimi per i gestori.

Tuttavia il caffè è lo specchietto di tanto altro, ciò che attira la clientela, ma si deve tenere d’occhio il food cost che riguarda l’intera colazione. Il costo del caffè è basso, è vero, ma se poi si aggiungono altri elementi, tra zucchero, miele, tovagliolino, l’aggiunta di latte, il bicchiere d’acqua, presto i 15 centesimi diventano 20, 25, questo senza considerare il costo di chi lo prepara e tutti i costi generali dell’attività.

Facendo un discorso legato all’intera colazione, le brioche, che paghiamo anche un euro e 40, hanno un costo alto per il gestore: dalla parte dell’acquisto per l’esercente, è di 60/70 centesimi, e non è possibile, per la cultura di pricing, proporle ad un costo eccessivo: le persone non sono disposte a pagare la brioche più di due euro. Il caffè, quindi, ha una certa marginalità, ma aggiungendola alla brioche, equivale, in modo aggregato, ad un food cost fino al 40%. “

Dal confronto con molti gestori, la fase della giornata in cui si ottengono più entrate è l’aperitivo e non la colazione: cosa significa questo per una caffetteria che vuole puntare sul caffè?

“Dipende dai numeri e dalle economie di scala. Tendenzialmente però, la colazione ha, per il gestore, un costo complessivo superiore al costo che deve sostenere per l’aperitivo. La differenza è che un buon bar che vive di colazione e di aperitivo, di solito fa 200 colazioni e 40 aperitivi. Quindi, se è vero che la marginalità unitaria è superiore nell’aperitivo, è altrettanto vero considerare che le colazioni hanno un peso numerico superiore.

Anche con gli studenti presso Galdus Formazione, accendo dei semafori per guidarli sulle strade più equilibrate. Quindi, in sintesi, noi siamo degli amanti delle colazioni, principalmente quella tradizionale italiana ancora oggi, mentre l’aperitivo si sta sviluppando in maniera differente: dal classico aperitivo dei bar, veloce prima di cena, a quello dei ragazzi, dell’happy hour, locali che si focalizzano sulla sera/notte aprendo alle 6 di sera.

Se guardiamo gli scontrini (un locale produttivo emette 250 scontrini al giorno, con un obiettivo di cercare di aumentarne il valore medio, mediante una strategia sull’offerta), la colazione ha una prevalenza sul numero di scontrini della giornata. Numericamente, la colazione resta la fase più interessante: dei locali che ho seguito, aperti dalle sei del mattino sino alle 8 di sera, la soddisfazione arrivava dagli incassi della prima mezza giornata.”

È ancora un modello che funziona il bar che resta aperto tutto il giorno, anche nei periodi in cui non entra nessuno?

“La risposta unica non esiste. Mentre con i ristoranti siamo abituati a vedere l’orario spezzato e non ci stupisce il fatto di vedere un ristorante che chiude dopo pranzo e riapre per cena, per il bar il discorso è diverso. Ce ne sono pochi che lo fanno, per due motivi: innanzitutto per una percezione culturale. Il bar è un rifugio durante tutta la giornata, che vive delle colazioni, del pranzo, della merenda, del caffè corretto, dell’aperitivo. Il cliente che vede un bar che chiude durante la giornata, non si affeziona e quindi non lo premia.

Economicamente, per ridurre i costi, aiuterebbe, ma non ripaga in termini di fidelizzazione della clientela. Inoltre, il bar è quel luogo in cui la persona entra per socializzare e vi è anche un argomento un po’ tabù che riguarda la dipendenza dalle bevande alcoliche. Questi fattori creano un nucleo di clienti stabili, che si recano al bar per avere compagnia e tornano almeno 3 volte al giorno. Magari soltanto per il caffè, ogni giorno, garantendo un incasso superiore a 3 euro.”

Il comodato d’uso delle attrezzature per l’erogazione del caffè, che tipo di vantaggi può offrire al gestore?

“Sono da 20 anni nel settore della piccola ristorazione e non ho visto altro. Se dovessi definirlo come vantaggio o svantaggio, posso solo dire che il giorno in cui decidessi di avviare un bar, sceglierei il comodato d’uso. Innanzitutto, è comodo: è chiaro che si ha la percezione di legarsi ad un fornitore, ma dipende dal contratto di comodato che si sottoscrive.

Non è detto che il titolare subisca tutte le condizioni poste dal suo fornitore. Il comodato ad uso gratuito, tecnicamente è così, un contratto tra le parti: quindi ciò che viene scritto deve trovare d’accordo i due firmatari. Il rischio qual è? Se l’imprenditore non ha una cultura aziendale alle spalle per valutare il contratto, può facilmente firmare a condizioni per lui sfavorevoli.

Se si dice invece: io acquisto il caffè a 20 euro al chilo, un prezzo medio per una qualità mediamente buona – ovvero per un prodotto che funziona proprio perché ha una certa costanza in tazza, anche nel caso il barista non sia bravissimo a prepararlo – e questo mi evita di farmi carico dell’investimento iniziale (fino a 15mila euro per una tre gruppi oltre gli accessori), mi trovo sulla strada più facile per affrontare un investimento considerevole.

Avere un impianto, una certificazione di conformità, una manutenzione periodica, la sostituzione della macchina in caso di malfunzionamento, tutto questo e altro è compreso nel comodato d’uso. Quindi il caffè che il gestore paga a 20 euro al chilo, anche se potrebbe trovarlo ad un costo molto inferiore, include un sistema strutturato che garantisce le attrezzature nuove ed avanzate, l’addolcitore, il macinacaffè, la lava tazze e magari anche la macchina del ghiaccio.

E quindi perché non preferire il caffè a 20 euro al chilo a quello da 10? La marginalità del settore è ancora sufficientemente alta che, spesso, le società di torrefazione, oltre all’attrezzatura, offrono dei finanziamenti ai bar per dar loro una mano.
Quindi il caffè per un bar ha un valore alto, non solo per la marginalità, ma per tutto ciò che si porta dietro.

La bravura del gestore è quella di alzare il valore dello scontrino medio che include il caffè. Più le colazioni sono strutturate da un attività di up selling (ad esempio una spremuta nel “menù colazione “), più lo scontrino si alza, abbassando la marginalità puntuale di ogni singolo prodotto, ma aumentando l’incasso medio che può arrivare a 4 euro 50 a scontrino.

Tornando al tema del comodato, oggi non vedo un’alternativa valida. Bisognerebbe acquistare direttamente la macchina oltre all’altra attrezzatura, preoccuparsi della manutenzione, rischiando di spendere 20mila euro senza riuscire a gestire nel modo corretto l’attività soltanto per poter scegliere il caffè.

L’unico consiglio è: leggere bene i contratti compreso quello di comodato e non firmare alla cieca.”

Il personale invece, come gestire questa spesa che porta via gran parte del fatturato?

“In una situazione classica di bar e ristorazione, i dipendenti rappresentano almeno circa il 40% di costo sul fatturato. La maggior parte dei locali italiani ha il titolare operativo che lavora più di tutti gli altri: questo abbassa il 40%, andando verso al 30%. Il problema è quando, nei bar più grandi, non c’è il titolare dietro al banco: in questi casi, l’unica possibilità è il fattore numerico. Più volumi si fanno, maggiore è la possibilità di sopportare l’incidenza del costo del personale.

In Italia esiste il problema tra la differenza di ciò che percepisce il dipendente ed il costo aziendale (il così detto cuneo fiscale) e questo porta spesso alla scelta del lavoro irregolare, che non è mai una scelta giusta. Inoltre, attualmente, è diventato tutto più
controllato, con l’introduzione della fatturazione elettronica e del conseguente maggiore controllo sul flusso di entrate ed uscite.”

I benefits potrebbero aiutare ad attirare il personale, senza avere la possibilità di dare una maggiore introito nello stipendio?

“Fiscalmente, anche i benefits sono limitati a una cifra inadeguata: tutto ciò che si dichiara ha delle soglie molto basse, sopra le quali si pagano contributi ed imposte e questo ci fa tornare allo stesso problema. Ogni tanto si parla di 500 euro di premio una tantum defiscalizzati, ma si parla di contentini. Mancano concretamente più di 100 euro in busta paga al mese, ma se il dipendente costa 250 euro al gestore, i conti continuano a far fatica a quadrare.

Ho vissuto, in un’azienda dove non c’erano virgole fuori posto e dove non esisteva il nero, raggiungendo un margine operativo lordo (primo risultato economico indicativo dell’andamento di un’azienda prima dell’ utile) del 12-14%, ottima percentuale ottenuta in maniera trasparente. Un tale risultato è stato possibile avendo un particolare vantaggio competitivo: lavorare su un turno solo. Quel locale aveva il vantaggio di essere in una zona industriale, aperto da lunedì al venerdì, dalle 6 e mezza del mattino alle 5 del pomeriggio, concentrandosi sulle colazioni e sul pranzo.

Chi lavorava, faceva 8 ore ogni giorno senza straordinari, 5 giorni alla settimana. I cuochi accettavano uno stipendio relativamente basso, perché erano liberi tutte le sere, i sabati e le domeniche e potevano, volendo, andare a lavorare altrove nel resto della giornata. Quello era un vantaggio competitivo: i costi del personale erano alti, ma in equilibrio.
Quando si avvia un’attività si studia e si analizza il mercato, si elaborano degli obiettivi previsionali e si confronta, successivamente, lo scostamento rilevato sul fatturato effettivamente riscontrato, aggiustando mensilmente il confronto tra obiettivi e risultati.”

Per essere un’attività che fa profitti e non chiude nell’arco di un anno, quali sono quindi i punti da monitorare? E quali quelli su cui investire di più?

“Una caffetteria, più dolci mette in mostra, al di là delle brioche, più incrementa la possibilità di vendita. Sulle bevande invece, le ultime novità vegetali in bottiglia, danno poca marginalità al bar: per poter avere margini, bisognerebbe alzare il prezzo finale in maniera eccessiva, perché, anche in questo caso, il consumatore non è disposto ad accettare un aumento di prezzo così elevato. Quindi, dal punto di vista del business, non penso sia una strategia lungimirante.

Quello che fa la differenza per un bar, è avere un buon caffè, una vetrina nutrita di dolciumi, un giro di affari che ti permette di vendere brioche fresche, preparate da una  pasticceria. Questo può dare personalità all’attività. Quindi, per me, nell’attività di un bar, scelgo la colazione su aperitivo tutta la vita.”

Il bar di oggi, ma soprattutto del futuro, come deve evolversi per poter continuare a rappresentare una fonte economica interessante? Le speciality, per esempio, sono o non sono, una possibilità per guadagnare di più sul caffè?

“Stiamo tornando al bar di prima, quello conviviale. Il Covid è stato un selezionatore naturale di molte attività che erano borderline e già poco redditizie. La tipologia di locale, a mio avviso, è e rimarrà un’attività con buone possibilità di fatturato e marginalità.
Ho seguito 3 locali in piena pandemia come consulente: uno ha dovuto chiudere per problemi finanziari pregressi, gli altri due sono sopravvissuti ad un anno e mezzo molto duro. Perché? Quello che vendevano, era registrato e fatturato. Per quanto i ristori siano stati appena sufficienti, sono arrivati in funzione del fatturato dichiarato l’anno precedente: ciò che è stato erogato è bastato appena a sopravvivere, ma si basava su quello che era stato dichiarato negli anni precedenti.

Chi aveva un bar da 100mila euro, dichiarato però come uno da 50mila, ha ricevuto aiuti per una struttura di quella capacità e quindi i ristori non hanno potuto funzionare efficacemente. Per quanto riguarda i nuovi sistemi organizzativi, la digitalizzazione, il totem per pagare lo scontrino, le casse automatiche non sono nati con il Covid, così come pure le capsule delle bevande calde monoporzione. Erano dei prodotti e servizi già presenti prima della pandemia che poi hanno conosciuto un’accelerazione.

In conclusione, bisogna dare enfasi oggi al caffè così come alla pasticceria. Caffè inteso non solo come espresso commerciale ma in tutte le accezioni in cui lo si può proporre, la caffetteria specialty, come i numerosi coffee pairing (l’abbinamento creativo tra cibo dolce e salato e la “bevanda caffè”), aprono, di sicuro, nuove possibilità di offerta nel settore della caffetteria, come prodotti innovativi con un conseguente impulso sul fatturato.”

Robusta ai massimi degli ultimi 28 anni secondo le statistiche mensili dell’Ico

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Ico robusta Conferenza report Consiglio
Il logo per il sessantesimo anniversario dell'Ico creato dal designer italiano Giulio Vinaccia

MILANO – Robusta da record, non soltanto sui mercati a termine, ma anche nelle statistiche Ico. Lo scorso mese, il contratto per scadenza luglio della borsa londinese ha toccato un massimo di 2.629 dollari: un livello mai visto dal marzo del 2008. Contemporaneamente, la media mensile dell’indicatore Ico dei robusta si è rivalutata del 5,9% raggiungendo quota 122,55 centesimi.

Per trovare un valore più alto siamo dovuti risalire, nelle serie storiche dell’Organizzazione, sino all’agosto del 1995, quando l’indicatore raggiunse i 130,18 centesimi.

In realtà, il raffronto ha una rilevanza meramente aneddotica, poiché – volendo tenere conto anche dell’inflazione– dovremmo rivalutare quest’ultimo prezzo di quasi il 100%, per aggiornarlo ai valori attuali.

Continuando a scorrere i dati storici osserviamo, all’alba del nuovo millennio, un crollo generalizzato dei prezzi dovuto alla crisi da sovrapproduzione dei primi anni duemila, che portò l’indicatore dei robusta a un minimo storico di 23,23 centesimi nell’ottobre del 2001.

Si risalirà a valori in tripla cifra appena nel 2008: la media annuale dell’indicatore fu allora di 105,28 centesimi, con un picco di 121,92 nel mese di marzo. Ma si tornò alla doppia cifra sin dall’ottobre dello stesso anno.

Il ciclo rialzista di inizio decennio portò, per due anni consecutivi, a una media annua nuovamente sopra il dollaro per libbra: a 109,21 e 102,82 centesimi, rispettivamente nel 2011 e nel 2012.

Ultima incursione – prima di oggi – in area 100 centesimi nel 2014, con una media annua di 100,43 centesimi e un trend sostenuto, che si affievolì soltanto nell’ultimo mese dell’anno.

Dalla metà del decennio scorso, le medie mensili dei robusta si sono mantenute costantemente in doppia cifra, tornando a superare quota 1 dollaro appena nel settembre 2021. Un brusco calo ha fatto ridiscendere la media in doppia cifra, a un minimo di 92,59 centesimi, a novembre 2022.

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La Marzocco e Team SIC58 insieme al Moto GP del Mugello, dal 9 all’11 giugno

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La Marzocco e Team SIC58 al Moto GP del Mugello (immagine concessa)

SCARPERIA (Firenze) – La Marzocco, leader in innovazione e design delle macchine per caffè espresso professionali, annuncia la propria presenza al Gran Premio all’autodromo del Mugello del 9-11 giugno come sponsor del Team SIC58. La Marzocco ha trovato una perfetta sinergia in partnership con il Team SIC58 Squadra Corse.

La Marzocco sponsor del Team SIC58

Questa squadra, che gareggia nelle categorie Moto3 e MotoE, porta lo spirito e l’eredità di Marco Simoncelli, compianto campione di moto GP, e icona di questo sport anche a distanza di anni dalla sua scomparsa.

Con la sua vicinanza al circuito del Mugello, La Marzocco è al fianco del Team, all’interno del paddock, con una postazione caffè e una Linea Mini, – modello della linea Home- assieme a Caffè Pascucci, la torrefazione da sempre sponsor di SIC58 con sede a Rimini.

Questo è il secondo anno di una collaborazione basata su valori solidi e condivisi tra i due brand: passione, senso di appartenenza, ricerca della qualità, coraggio. Un connubio che alimenta l’entusiasmo per il mondo delle due ruote, con la speranza di creare un’esperienza indimenticabile, dove il brivido per la velocità e il buon caffè si uniscono.

La scheda sintetica dell’azienda

La Marzocco, fondata nel 1927 dai fratelli Bambi, fin dall’inizio si è specializzata nella produzione artigianale di macchine da caffè espresso per bar con particolare attenzione alla qualità, al risultato in tazza ed allo stile. In oltre 90 anni di storia l’azienda fiorentina ha introdotto una serie di tecnologie e brevetti rivoluzionari, diventando leader per design ed innovazione nel settore delle macchine per caffè tradizionali.

Tutti i modelli, compresi gli ultimi nati per il consumatore finale, sono realizzati a mano ed esportati in più di 100 paesi dove si incontrano nelle migliori caffetterie, nei più raffinati ristoranti del mondo e nelle case.

Rhea Women Spark: il progetto di formazione che parte dalle donne

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Rhea Women Spark team
Il team di Rhea Women Spark (immagine concessa)

MILANO – In linea con i suoi principi di sostenibilità sociale e welfare aziendale, Rhea ha recentemente lanciato il progetto Rhea Women Spark, un percorso di formazione che valorizza le soft skills delle sue persone e che favorisce una maggiore condivisione della conoscenza e competenza aziendale.

Il progetto Rhea Women Spark

Il progetto, guidato dalla professoressa Lorenza Angelini, nella prima fase ha visto la partecipazione di 15 rappresentanti femminili di ogni reparto, che sono state coinvolte in attività e workshop per sviluppare le proprie capacità e acquisire maggiore consapevolezza di sé, imparare a vivere al meglio la vita in azienda, lavorando in team.

La seconda parte del percorso vede le partecipanti mettere in pratica le conoscenze acquisite, diventando team leader di progetti volti a mettere in atto iniziative per migliorare la vita di tutti, sia dal punto di vista aziendale che personale e che creeranno anche nuove prospettive per il raggiungimento degli obiettivi aziendali.

Ogni team sarà composto da figure aziendali provenienti da tutti i reparti di Rhea, affinché ognuno possa mettersi in gioco e dare il proprio contributo.

rhea women spark
Il logo del progetto (immagine concessa)

“La condivisione della conoscenza aziendale, delle esperienze, delle abilità e del talento è fondamentale per aumentare il livello di competenza e, di conseguenza, la soddisfazione di ogni dipendente. L’idea di Rhea Women Spark è nata dalla convinzione che un ambiente sempre più collaborativo risponda meglio alle logiche lavorative fluide di oggi e questo progetto intende raggiungere questo importante obiettivo per le persone e con le persone di Rhea” Commenta Andrea Pozzolini, ceo del Gruppo.

“Il tema della diversity e dell’inclusion viene a volte visto come un obbligo, un problema da risolvere, da molte aziende. Non così in Rhea che, attraverso questo percorso, ha colto l’opportunità di aumentare la consapevolezza delle donne che qui lavorano e di far emergere il loro talento. Vorremmo non dover più fare distinzioni fra maschile e femminile, ma valorizzare modi di essere tradizionalmente legati all’universo femminile come l’ascolto, la cura e l’empatia, che sono alla base di una nuova cultura manageriale che permette di vivere meglio in azienda. E ciò si percepisce in Rhea, nei team formati da donne e uomini appassionati” commenta Lorenza Angelini, partner Akron.

La scheda sintetica di Rhea Vendors Group

Rhea Vendors Group, fondata da Aldo Doglioni Majer nel 1960, è tra i più importanti produttori al mondo di distributori automatici. Da oltre sessant’anni, Rhea si contraddistingue per la forte impronta internazionale, design di altissimo livello, tecnologia all’avanguardia ed eccellenza del made in Italy.

Con headquarters e produzione in provincia di Varese e filiali in 9 paesi esteri, Rhea ha il vanto di diffondere la cultura del caffè in oltre 90 Paesi di tutto il mondo. Da player del mondo del vending a precursore nell’utilizzo della distribuzione automatica nei settori del new retail, hotellerie e out of home, Rhea conferma la propria vocazione a interpretare e anticipare un mercato in continua evoluzione. Le nuove proposte di Rhea rivoluzionano il concetto dell’ospitalità, in contesti sia business che residenziali, con una proposta di valore che migliora la qualità della vita.

Rancilio Specialty a Toronto in Canada per la sfida di Barista League il 17 giugno

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Rancilio Specialty a Toronto per una nuova sfida di Barista League (immagine concessa)

VILLASTANZA DI PARABIAGO (Milano) – Rancilio Specialty Invicta è lo sponsor ufficiale della nuova sfida di The Barista League che si svolgerà nella moderna e sofisticata Toronto la metropoli canadese dove vivono tantissimi italiani. Sabato 17 giugno Invicta affiancherà 24 ambiziosi baristi nella loro corsa al successo. Divisi in 12 squadre, questi professionisti dovranno superare tre round di sfide a tema caffè pensate per mettere alla prova le loro capacità tecniche, creative e professionali.

Rancilio Specialty Invicta sponsor di The Barista League

La macchina per caffè a caldaia singola Invicta sarà uno strumento prezioso nelle loro mani grazie all’evoluto controllo elettronico delle funzioni caffè, acqua e vapore che questa elegante e apprezzata macchina offre ai suoi utilizzatori.

Questa volta, Venice Vallega, Caitlin Campbel, Tiff Bhagwandin, Gail Lynch and Chris Durning formeranno la giuria di esperti di caffè che giudicherà questi coraggiosi baristi fino alla proclamazione del team vincente.

Drink, musica, good vibes e caffè specialty dei migliori torrefattori locali saranno come sempre, gli ingredienti attesi che tutti gli amanti del caffè apprezzano in ogni evento di Barista League.

Biglietti disponibili su Tickettailor.com.

Maggiori informazioni

  • The Barista League Toronto
  • Sabato 17 giugno 2023
  • Dalle 18:00 alle 23:00
  • The Redwood Theatre
  • 1300 Gerrard St est
  • M4L 1Y7 Toronto, Canada

È possibile seguire l’evento sulla pagina Instagram ufficiale.

Caffè Borbone premiata: nel 10% delle migliori aziende per un sistema di gestione sostenibile

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Caffè Borbone riceve la Silver Medal nel Sustainability Rating di EcoVadi (immagine concessa)

NAPOLI – Caffè Borbone, marchio di riferimento nel business della torrefazione e del caffè porzionato, riceve anche nel 2023 il Sustainability Rating di EcoVadis, il riconoscimento che premia le aziende che hanno dimostrato di essere conformi a un sistema di gestione solido relativamente ai criteri di sostenibilità.

Caffè Borbone riceve il Sustainability Rating di EcoVadis

EcoVadis rappresenta una delle principali e più importanti piattaforme di rating di eco-sostenibilità in materia di ambiente, tutela dei lavoratori e diritti umani, etica e acquisti sostenibili.

Con la conferma del Silver Score, Caffè Borbone rientra nel 10% delle migliori aziende analizzate dal team di esperti internazionali di EcoVadis – oltre 100.000 in diversi ambiti dal 2007 – con un 92esimo percentile, un punteggio in miglioramento rispetto a quanto raggiunto nel 2022.

Tutte le medaglie presentano range di punteggio variabili che, con il passare degli anni, diventano sempre più rigidi e sfidanti, aumentando in particolare la soglia minima per il raggiungimento della medaglia Gold.

Marco Schiavon Caffè Borbone
Marco Schiavon amministratore delegato Caffè Borbone

“Questo riconoscimento è un’ulteriore prova del lavoro e dell’impegno che, quotidianamente, Caffè Borbone porta avanti in termini di processi produttivi, non solo investendo nella qualità delle materie prime con un approvvigionamento sostenibile, ma anche e soprattutto dimostrando l’amore verso il territorio”, afferma Marco Schiavon, amministratore delegato di Caffè Borbone. “Il raggiungimento di questo risultato è un significativo incoraggiamento per continuare in questa direzione, proponendo soluzioni sostenibili a basso impatto ambientale.”

La scheda sintetica di Caffè Borbone

Caffè Borbone è un marchio di Caffè Borbone S.r.l., azienda nata nel 1997 tra i principali produttori specializzati in cialde e capsule sul territorio nazionale ed internazionale. Leader assoluto nel comparto delle cialde in Distribuzione Moderna, sia in termini di quota val. % sia di vendite a Valore in mil Eur (cfr. Nielsen IT Distr. Moderna). Caffè Borbone occupa una delle primissime posizioni nel mercato del caffè porzionato.

Nel 2018 entra nel capitale sociale Italmobiliare, una delle principali investment holding italiane, con il 60% delle quote mentre il 40% rimane al fondatore Massimo Renda.

L’azienda rappresenta un caso di crescita esemplare, grazie anche al costante investimento in Ricerca & Sviluppo che ha portato alla realizzazione di prodotti innovativi come la cialda compostabile 100%, l’incarto totalmente riciclabile nella raccolta della carta e la capsula compostabile Don Carlo che, gradualmente, hanno conquistato i consumatori sempre più attenti all’ambiente.

 

Il bar Marino della Galleria Vittorio Emanuele II diventa ristorante: “Così facciamo quadrare i conti”

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Galleria Vittorio Emanuele II (immagine: Pixabay)

Il bar Marino, uno dei punti di ritrovo più popolari della Galleria Vittorio Emanuele II , ha deciso di cambiare veste con un investimento per aumentare gli introiti e per far fronte ad affitti e spese. Il locale presenta ora al suo interno una cucina completa e moderna. Leggiamo di seguito la prima parte dell’articolo di Massimiliano Mingoia pubblicato sul quotidiano Il Giorno.

La trasformazione del Bar Marino

MILANO – Il bar Marino è una delle botteghe storiche della Galleria Vittorio Emanuele, dal 2017 per il Comune e dal 2018 per la Regione. Da anni è punto di riferimento per chi vuole bersi un caffè o fare un aperitivo o un pranzo veloce a pochi passi dal Salotto, da piazza Scala e da Palazzo Marino. Nel 2004 proprio qui l’ex premier e leader di FI Silvio Berlusconi “servì’’ il caffè a qualche azzurro. Dallo scorso 7 marzo, però, nel locale molto è cambiato. Si chiama sempre bar ma ormai è un ristorante a tutti gli effetti.

Riccardo Cozzoli, gestore del locale, spiega le ragioni di questa svolta che è costata un ingente investimento in termini di arredi e di personale: “Il motivo del restyling è semplice: solo con la caffetteria facevamo fatica ad andare avanti, perché con i cari canoni di affitto che paghiamo in Galleria siamo stati costretti prima ad aggiungere un servizio di tavola calda per integrare gli introiti del bar e ora a procedere a questo rinnovamento”.

Com’è cambiato il Bar Marino? “Ora – spiega Bozzoli – abbiamo una cucina, un’attrezzatura modernissima con piastre ad emissione e due chef che propongono cucina italiana e piatti milanesi. Quali i piatti che i clienti chiedono di più? Il risotto alla milanese, gli spaghetti alla carbonara e le lasagne alla bolognese”.

Il locale di via Marino punta soprattutto sui turisti. “Il 70% dei nostri clienti è costituito da turisti stranieri. Tantissimi i sudamericani, tanti i francesi. E piano piano stanno tornano a Milano anche i turisti cinesi”. L’emergenza Covid ormai è solo un brutto ricordo (“Siamo in crescita del 15% anche rispetto agli anni pre-pandemia”), ma fino a un certo punto. I due anni di Covid si fanno ancora sentire nel bilancio del Bar Marino e di tanti altri locali in Galleria.

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