martedì 02 Dicembre 2025
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L’Influencer a Milano ordina un cappuccino con la pasta: lo scherzo fatto al cameriere

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cappuccino pixabay bufala rimini lags latte
Il cappuccino (immagine: Pixabay)

L’influencer statunitense The Pasta Queen ha invitato la sua amica a ordinare un cappuccino assieme ad un piatto di pasta. Il cameriere, ricevuto l’ordine, s’irrigidisce: “Un cappuccino? Con la pasta?”. La sua reazione diventa subito virale su Instagram. Leggiamo di seguito parte dell’articolo di Francesco Fatone per il portale d’informazione Tag 24.

Milano, lo scherzo del cappuccino con la pasta

MILANO – “Per favore non bevete il cappuccino dopo mezzogiorno” diceva un cartellone retto da una ragazza qualche tempo fa a Roma. Il cartellone è stato fotografato da tantissimi turisti ed ha suscitato tanta curiosità in altri Paesi: perché gli italiani non vogliono che si beva il cappuccino dopo le dodici?

 

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Un post condiviso da The Pasta Queen (@the_pastaqueen)

Se lo chiedono in tanti sui blog culinari statunitensi, la spiegazione è legata alla digestione: “consumare latte dopo un pasto, secondo gli italiani, rovinerà totalmente la tua digestione” recita uno dei più importanti siti stranieri riguardanti la cucina del Bel Paese che poi avverte “gli italiani sono ossessionati dalla digestione“.

Ed è proprio su questa ossessione tutta italiana che si basa uno dei video divenuti più popolari negli ultimi giorni. Una influencer molto nota, The Pasta Queen, ha invitato la sua amica Cat a chiedere assieme ad un piatto di pasta una tazza di cappuccino.

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Lavazza al World of coffee di Atene con La Reserva de ¡Tierra! per la sostenibilità

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Lavazza al World of coffee di Atene (immagine concessa)

ATENE – Quest’anno Lavazza ha partecipato al World of coffee 2023 di Atene, evento dell’Associazione Specialty Coffee, dedicato ai professionisti e agli amanti del caffè: un momento decisivo per incontrare produttori, rivenditori, tecnici, assaggiatori, importatori e tutte le figure chiave del settore caffeicolo.

Negli anni, Lavazza ha rafforzato e dimostrato il proprio impegno concreto verso l’eccellenza, ingrediente fondamentale capace di trasformare in tutto il mondo ogni prodotto in un’esperienza unica.

Lavazza al World of coffee 2023 di Atene

Dal 22 al 24 giugno Lavazza ha presentato ad Atene la gamma La Reserva de ¡Tierra!, la collezione di miscele premium dedicata ai baristi professionisti che contiene caffè proveniente dalle comunità in cui opera la Fondazione Lavazza. Anche la nuova miscela Lavazza La Reserva de ¡Tierra! Cuba è il frutto dell’impegno sociale e ambientale di Lavazza in questo territorio.

Oltre a concentrarsi sulla gamma La Reserva de ¡Tierra!, distribuita in Grecia da Beverage World, un team internazionale di quattro trainer ufficiali della Rete dei Training Center Lavazza – provenienti da Italia, Francia, Germania e Polonia – il cui ruolo è fondamentale per far vivere i valori di Lavazza, ha deliziato gli esperti e gli intenditori di caffè con memorabili esperienze di degustazione e cupping.

Per tutta la durata dell’evento, presso lo stand Lavazza sono state servite le ricette firmate da Michail Bellios e Efstathia Myrto Mantziou, due special guest del territorio che si sono distinti alla prima edizione della “My Mocaccino Barista Challenge”, il concorso internazionale ideato da Lavazza per la comunità dei baristi appartenenti alla Regione CEMEA (Europa Centro-Orientale e Africa Medio-Orientale).

Michail Bellios, vincitore della Lavazza Challenge locale, ha firmato una ricetta di caffè unica a base di La Reserva de ¡Tierra! Cuba: Cubanana, una spuma di banana con latte intero condensato, latte con zucchero caramellato e un bicchierino di espresso Cuba.

Mentre Efstathia Myrto Mantziou, già vincitrice del premio internazionale “Influencer Barista Award” di Lavazza, ha preparato due Coffeetail. Una delle sue speciali ricette è il Cuba Tai, che si è distinto per gli ingredienti unici e creativi: doppia dose di espresso Cuba, rum Angostura invecchiato 5 anni, sciroppo di mandorle artigianale e una spruzzata di lime.

Ispirate dall’imbattibile passione del marchio per l’eccellenza e lo spirito innovativo, tutte le preparazioni sono state servite in esclusiva presso lo stand Lavazza, offrendo un’esperienza sensoriale autentica che non è passata inosservata.

Inoltre, venerdì 23 giugno dalle 16:30 fino alla conclusione dello spettacolo si è svolta una festa a tema Cuba, che ha inebriato i sensi dei visitatori grazie ai coffeetail preparati con la miscela La Reserva de ¡Tierra! Cuba e alla musica tradizionale cubana, suonata dal rinomato Waldo Mendoza: un’esperienza straordinaria e immersiva, arricchita dall’eccezionale talento degli esperti baristi Lavazza.

I prodotti della collezione La Reserva de ¡Tierra! di Lavazza

Al World of Coffee di Atene, gli esperti di caffè hanno avuto l’opportunità di conoscere meglio i prodotti della collezione La Reserva de ¡Tierra! di Lavazza. Ogni miscela della gamma contiene caffè proveniente da territori coinvolti nei progetti di responsabilità sociale gestiti dalla Fondazione Lavazza, con l’obiettivo di migliorare la qualità del caffè, sviluppare le condizioni sociali e di vita, favorire la crescita economica delle comunità con cui collabora, sempre nel rispetto dell’ambiente.

Lavazza crede che la vera essenza del caffè non si manifesti soltanto nel suo aroma, ma anche attraverso la cura del territorio di origine dei chicchi e il rispetto delle comunità che li coltivano. Forte di questa convinzione, Lavazza si è impegnata a svolgere un ruolo attivo nel favorire lo sviluppo sostenibile. Un ulteriore risultato di questa dedizione è La Reserva de ¡Tierra! Cuba, la più moderna esperienza di caffè sostenibile firmata Lavazza.

Per una filiera più sostenibile

Nel 2018, il Gruppo Lavazza attraverso la Fondazione Lavazza ha avviato a Cuba un programma di sviluppo sostenibile, in collaborazione con il Ministero dell’Agricoltura cubano, il GAF (Grupo Empresarial Agroforestal) e l’AICEC Torino (Agenzia di Interscambio Culturale ed Economico con Cuba), nel perseguimento di due obiettivi: in primis, il ripristino della coltivazione del caffè nel Paese, drasticamente ridotta dallo sfruttamento e dalla deforestazione tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento; in secondo luogo, riportare la qualità del caffè verde cubano ai livelli di eccellenza che lo hanno reso noto in tutto il mondo.

Questo programma ha portato alla costituzione di un’Associazione Economica cubana per sostenere lo sviluppo strutturale della filiera del caffè. È da qui che deriva la nuova miscela La Reserva de ¡Tierra! Cuba, che contiene caffè coltivato da 170 contadini nelle province cubane di Santiago e Granma, coinvolte nel progetto dalla Fondazione. Una storia interamente tracciabile all’insegna della trasparenza, La Reserva de ¡Tierra! Cuba è dotata di tecnologia blockchain integrata, consentendo ai consumatori di accedere a informazioni complete sulla filiera e sul prodotto, dalla piantagione alla tazzina.

Il lavoro sinergico del Gruppo Lavazza con le autorità locali coinvolte nelle attività della Fondazione ha dato vita a una miscela che si prende cura degli agricoltori, promuove il ruolo delle donne e dei giovani, e dell’ambiente, in termini di conservazione delle foreste e condivisione delle buone pratiche agricole. Tutto questo migliora la qualità del prodotto, oltre alle condizioni socio-economiche delle comunità produttrici di caffè.

Gli esperti della Fondazione Lavazza e di Ricerca e Sviluppo di Lavazza hanno tenuto corsi di formazione mirati, hanno supportato i produttori locali nell’implementazione di un processo di fermentazione controllata, attuato su una parte del raccolto di caffè Robusta. Questo processo di fermentazione punta a migliorare la complessità del sapore, a liberare note esotiche e a rendere il prodotto finale più dolce e raffinato, in linea con le preferenze dei consumatori più giovani.

Infine, in un contesto ambientale e sociale complesso come quello cubano, l’innovazione tecnologica riveste un ruolo centrale anche nel supportare i contadini a fronteggiare l’impatto del cambiamento climatico su una coltura particolarmente vulnerabile come quella della pianta del caffè. Grazie ai sistemi tecnologici introdotti dal progetto della Fondazione, ora le condizioni ambientali all’interno delle piantagioni sono costantemente monitorate: dalla temperatura dell’aria agli accumuli di pioggia, dalla velocità e direzione del vento all’umidità del suolo; in questo modo, gli agricoltori possono ricorrere rapidamente alle tecniche più opportune per salvaguardare la produzione di caffè.

La storia de La Reserva de ¡Tierra! Cuba è stata al centro della conferenza “Biocubacaffè – an open-air laboratory. A unique model of integration between science and farmers to improve coffee quality and value”, tenutasi da Mario Cerutti – Chief Institutional Relations & Sustainability Officer del Gruppo Lavazza – sabato 24 giugno al World of Coffee di Atene. Mario Cerutti ha partecipato alla conferenza insieme ad altri importanti relatori*.

Lavazza è ufficialmente distribuito in Grecia da Beverage World. Per maggiori informazioni basta cliccare qui.

*altri speaker:

• Michele Curto – ceo – AICEC – Agency for the Cultural and Economic cooperation with Cuba
• Leonides Morales Sola – Coordinador general Oficina FIDA/MINAG- IFAD (FIDA) – International Fund for Agricultural Development
• Massimo Audino – Professional coffee taster & product development – Lavazza Group
• Meilyn Rodriguez Hernandez- Doctor of science- Center for Genetic Engineering and Biotechnology (CIGB)
• Andrea Londono – Founder of ALO&Partners – ALO&Partners

La scheda sintetica di Lavazza

Lavazza, fondata a Torino nel 1895, è un’azienda italiana produttrice di caffè di proprietà dell’omonima famiglia da quattro generazioni. Il Gruppo è oggi tra i principali protagonisti nello scenario globale del caffè, con un fatturato di oltre 2,7 miliardi di euro e un portfolio di marchi leader nei mercati di riferimento come Lavazza, Carte Noire, Merrild e Kicking Horse. È attivo in tutti i segmenti di business, presente in 140 mercati, e con 8 stabilimenti produttivi in 5 Paesi.

La presenza globale è frutto di un percorso di crescita che dura da oltre 125 anni e gli oltre 30 miliardi di tazzine di caffè Lavazza prodotti all’anno sono oggi la testimonianza di una grande storia di successo, per continuare a offrire il miglior caffè possibile in qualsiasi forma, curando ogni aspetto della filiera, dalla selezione della materia prima al prodotto in tazza.

Il Gruppo Lavazza ha rivoluzionato la cultura del caffè grazie ai continui investimenti in Ricerca e Sviluppo: dall’intuizione che ha segnato il primo successo dell’impresa – la miscela di caffè – allo sviluppo di soluzioni innovative per i packaging; dal primo espresso bevuto nello Spazio alle decine di brevetti industriali sviluppati.

Un’attitudine a precorrere i tempi che si riflette anche nell’attenzione rivolta al tema della sostenibilità – economica, sociale e ambientale – considerata da sempre un riferimento per indirizzare la strategia aziendale. “Awakening a better world every morning” è il purpose del Gruppo Lavazza, che ha l’obiettivo di creare valore sostenibile per gli azionisti, i collaboratori, i consumatori e le comunità in cui opera, unendo la competitività alla responsabilità sociale e ambientale.

Nespresso introduce il modello organizzativo del lavoro a favore della parità con AEquacy

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Simona Liguoro HR Director di Nespresso Italiana (immagine concessa)

MILANO – Nespresso, azienda pioniera e punto di riferimento per il caffè porzionato di altissima qualità risponde alla trasformazione delle esigenze del business e delle nuove esigenze delle persone nei confronti del lavoro degli ultimi anni, introducendo un progetto per un nuovo modello organizzativo a favore di inclusione, fiducia e produttività e in linea con l’approccio del brand all’insegna di parità inclusione e libertà oltre i generi.

Il modello organizzativo di Nespresso

Un’applicazione importante e rivoluzionaria che porta i primi ottimi risultati già dopo i primi mesi di applicazione. Con un’indagine interna, svolta prima e dopo dell’introduzione del modello in Nespresso, in un lasso di tempo di 3 mesi, è stato chiesto ai dipendenti di valutare la propria efficacia: i dati confermano un deciso cambio di rotta. I dipendenti hanno notato un incremento dell’agilità e della fluidità del lavoro del 34%, con un aumento della velocità del processo decisionale del 21%, fiducia nei confronti dei colleghi aumentata del 20%, con un focus crescente (+15%) verso il miglioramento continuo.

Ma è l’allineamento sulle priorità del team l’elemento maggiormente apprezzato del nuovo sistema, seguito dall’autonomia personale e dalla collaborazione con gli altri membri del team.

AEquacy – questo è il nome dell’innovativo modello organizzativo – mira ad incoraggiare un clima di fiducia e autonomia tra le persone, un ambiente lavorativo aperto e inclusivo, che promuove la collaborazione e l’utilizzo dei talenti individuali.

Basato su una divisione per ruoli e competenze, permette di instaurare relazioni vissute secondo logica non gerarchica, ma per responsabilizzazione, dando la disponibilità ai singoli di espandere il proprio potenziale individuale e di team, diventando team-autorganizzanti.

Questi sono autogestiti e i membri del gruppo definiscono i propri obiettivi, le proprie strategie e i ruoli di cui hanno bisogno e interagiscono tra loro attraverso un sistema basato sulla parità reciproca, non essendo diretti e controllati dall’alto.

All’interno del gruppo di lavoro, tutti i membri sono esortati a condividere opinioni ed esperienze, suggerendo soluzioni ai problemi e assumendosi la responsabilità dei diversi progetti. La seniority non è un criterio determinante per valutare una proposta, ogni membro del team è chiamato ad esprimere il proprio punto di vista senza alcuna preclusione; il meccanismo di feedback continuo favorisce il miglioramento personale e professionale.

A causa dei cambiamenti nel modo di concepire la dimensione lavorativa nel post-pandemia, sono infatti diverse le emergenze che stanno impattando sulle aziende, con importanti conseguenze sulla singola realtà ma anche sull’intera società: tra le più significative, il Quiet Quitting, la Great Resignation, e un aumento considerevole del burnout tra i dipendenti.

Se questi fenomeni sono dovuti in parte all’incertezza causata dalla pandemia e dall’offuscamento dei confini tra lavoro e vita personale, con l’adozione su larga scala del lavoro da remoto, sembra che le ragioni profonde del verificarsi di questi fenomeni risiedano – anche e soprattutto – altrove.

Un trattamento ingiusto sul lavoro

Una delle più importanti ricerche sul burnout mai condotte – State of the Global Workplace: 2022 Report (Gallup) – individua la causa principale del fenomeno in “un trattamento ingiusto” sul lavoro, seguito da un carico di lavoro ingestibile, comunicazioni poco chiare da parte dei manager, mancanza di supporto da parte dei manager e tempi irragionevoli richiesti per le consegne. Nello studio McKinsey del 2021 sulle “grandi dimissioni”, emerge come i dirigenti siano poco consapevoli delle reali motivazioni alla base delle decisioni dei dipendenti.

Se i datori di lavoro indicano il livello dello stipendio, l’equilibrio tra lavoro e vita privata e cattiva salute fisica ed emotiva come causa delle dimissioni, le motivazioni principali alla base della scelta di lasciare il lavoro dei dipendenti sono invece il fatto di non sentirsi apprezzati dalle organizzazioni (54%), dai loro manager (52%) o per la mancanza di senso di appartenenza sul lavoro (51 %).

Emerge dunque chiaramente come le motivazioni profonde di queste emergenze siano da ricercare anche nella modalità di leadership che non sempre riesce a rispondere in maniera adeguata alle esigenze delle persone, che manifestano sempre più la necessità di trovare un’occupazione che consenta di esprimersi e autorealizzarsi nella dimensione lavorativa e in quella personale.

Un modello sostenibile e inclusivo

Nespresso, da sempre impegnata per perseguire un modello di business sostenibile e inclusivo, per rispondere a queste nuove esigenze, ha deciso di sperimentare una nuova modalità di gestione del proprio organico, a partire dal team Risorse Umane, dove il sistema è già stato implementato con ottimi risultati, e ora nel dipartimento Customer Care & Service, con la volontà di valutare e risultati e andamento per una ulteriore espansione a più e diversi team di lavoro.

Si tratta infatti di una nuova modalità di management basata su una struttura radiale e paritaria di team auto-organizzanti che trascende i limiti prodotti dalla gerarchia, promuovendo un ambiente basato su modalità lavorative più agili ed efficaci.

Maggior velocità, flessibilità, efficienza, produttività e performance sono solo alcuni degli effetti positivi prodotti, senza contare il maggior coinvolgimento delle persone e anche soddisfazione e felicità dei gruppi di lavoro grazie alla creazione di un sistema in grado di valorizzare realmente il potenziale e la capacità di generare valore dei dipendenti:

“La responsabilità è la chiave di tutto, da una parte le persone sono autonome nella definizione degli obiettivi, nella pianificazione delle attività e nel loro raggiungimento, dall’altra non sono mai sole il team è sempre a supporto in ogni momento; questa modalità organizzativa consente di accelerare decisioni, crescere ogni giorno grazie ai feedback aperti continui che tutte le persone si scambiano costantemente” dichiara Simona Liguoro HR Director di Nespresso Italiana.

Liguoro aggiunge: “Oltre ad implementare l’autonomia individuale e di team, questa modalità di lavoro ha altri grandi vantaggi: ciascun membro del gruppo si lavoro si sente più motivato, poiché percepisce come completamente allineato il proprio scopo individuale con quello dell’azienda e questo aumenta l’empowerment e accountability, favorendo l’inclusione. Inoltre, questo sistema libera del tempo a quelle che in un sistema gerarchico verrebbero identificati come manager che, delegando le mansioni più operative, possono dedicarsi ad attività a valore aggiunto per il team e per l’azienda.”

I tool di supporto

Le vita del team, dall’organizzazione del lavoro, ai meeting, alla valutazione del raggiungimento degli obiettivi, avviene grazie a regole che il team si è dato e tool a supporto. Per misurare il buon lavoro fatto vengono utilizzate delle survey per raccogliere feedback sul valore portato dalle attività e progetti più importanti. Ogni decisione che riguarda il team viene presa dal team stesso; anche il sistema di valutazione delle performance è fatto tutti insieme e non più da manager e collaboratore, un sistema più trasparente e meritocratico per tutti, inclusi top manager e ceo.

Stefano Petti, partners di Asterys: “Engagement delle persone, responsabilizzazione, autonomia nella presa di decisioni e squadre più agili e performanti. Sono tutti elementi strettamente correlati al modo in cui le persone lavorano, collaborano, raggiungono i loro obiettivi, e che influenzano direttamente anche la performance organizzativa”.

Petti continua: “Elementi, tuttavia, la cui corretta gestione rappresenta nelle aziende una sfida quotidiana che deve prevedere un sistema di innovazione continuo anche all’interno dei team di lavoro. Nespresso ha voluto affrontare questa ‘sfida’ affidandosi a a noi di Asterys che, dal 2018, abbiamo lanciato AEquacy, un design organizzativo senza supervisori e manager che trasforma l’impostazione tradizionale delle aziende, ripensandola a partire dalla persona e dalle sue potenzialità.”

L’impegno di Nespresso: il Manifesto per la parità oltre i generi

Adottando il modello organizzativo AEquacy, Nespresso conferma dunque il proprio impegno a sostenere un ambiente lavorativo efficiente, innovativo e collaborativo, in linea con le necessità del mercato e le aspettative dei propri dipendenti e clienti.
L’implementazione su larga scala del progetto AEquacy si aggiunge agli altri importanti risultati ottenuti da Nespresso lungo il suo percorso per favorire inclusione e uguaglianza. Tra tutti, la certificazione, come prima azienda di caffè, per la parità di genere- riconosciuta in base allo standard internazionale UNI/PDR 125:2022.

Fondamentale la realizzazione del primo Manifesto per la parità oltre i generi, lanciato dall’azienda nel 2022, per raccogliere e rendere ufficiali 8 impegni già attivi in funzione di parità, inclusione e libertà: dall’assenza di gender pay gap al 50% di equilibrio di genere a tutti i livelli aziendali, fino all’introduzione della Baby Leave (congedo parentale di 3 mesi retribuito al 100% per i neopapà o secondo caregiver) o il progetto N.E.M.O., attivo dal 2019, per offrire a giovani rifugiati e richiedenti asilo un’opportunità di lavoro all’interno delle Boutique Nespresso.

A queste si aggiungono altre iniziative e misure specifiche volte ad aumentare il livello di inclusione e la parità di genere in azienda. Tra questi la non partecipazione a manel, ovvero panel esclusivamente o a maggioranza maschile nonchè l’attenzione ed il rispetto nei confronti di tutte le sensibilità anche attraverso l’adozione di un linguaggio inclusivo e genderless, con l’uso della “schwa” e dell’asterisco.

La scheda sintetica di Nespresso

Nespresso è pioniera e punto di riferimento per il caffè porzionato di altissima qualità. L’azienda lavora con più di 140.000 coltivatrici e coltivatori in 18 Paesi attraverso il suo Programma AAA Sustainable Quality per integrare le pratiche di sostenibilità nelle aziende agricole e nei paesaggi circostanti.

Lanciato nel 2003 in collaborazione con la ONG Rainforest Alliance, il programma aiuta a migliorare la resa e la qualità dei raccolti, assicurando una fornitura sostenibile di caffè di alta qualità e migliorando le condizioni di vita delle coltivatrici, dei coltivatori e delle loro comunità.

Nel 2022, Nespresso ha ottenuto la certificazione B Corp™, unendosi a un movimento internazionale di 4.900 aziende che soddisfano gli elevati standard B-Corp di responsabilità sociale, ambientale e di trasparenza.

Con sede a Vevey, Svizzera, Nespresso opera in 74 Paesi e ha oltre 13.000 dipendenti. Nel 2022, ha gestito una rete globale di vendita al dettaglio di 791 Boutique. Per ulteriori informazioni, visitare il sito aziendale di Nespresso cliccando qui.

Il 56% soddisfatto del proprio lavoro, il 44% vorrebbe cambiarlo: i risultati della ricerca di Confcommercio Milano

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La ricerca sulla felicità nel lavoro (immagine concessa)

MILANO – Presentato in Confcommercio Milano (Veranda Liberty di Palazzo Castiglioni in corso Venezia) l’Osservatorio BenEssere Felicità con i dati del Barometro della felicità 2023. Rispetto allo scorso anno, quando il 38,5%[1] delle persone era propenso a cambiare lavoro nel breve periodo, nel 2023 la percentuale aumenta: 44%. Il 56% resta soddisfatto.

Un numero destinato a crescere, secondo l’Osservatorio BenEssere Felicità, e che indica come sia necessario arrivare innanzitutto a soluzioni con un maggior equilibrio vita privata-lavoro.

I dati del Barometro della felicità 2023

Tra coloro che si dichiarano aperti a cambiare lavoro emergono, oltre ad esigenze di miglioramento economico, anche aspettative come la soddisfazione dei bisogni, la valorizzazione delle singole capacità individuali e la percezione che il lavoro possa dare un senso alla loro vita. Al contrario, gli stessi aspetti sono riscontrabili nella loro attività, da chi non è intenzionato a cambiare lavoro.

Assieme alla citata importanza di poter soddisfare i propri bisogni e valorizzare i talenti professionali, tra gli aspetti più rilevanti nella scelta del posto di lavoro, secondo i dati 2023, troviamo al primo posto l’essere apprezzato-stimato che tocca il 44,7%, l’amore per il proprio lavoro che raggiunge il 37,8%, al terzo posto troviamo l’essere stimolato alla crescita con il 30,2%. Seguono elementi chiave come la flessibilità oraria (28,4%), la fiducia (23,7%) e il controllo di ciò che si fa (21,4%). Di contro, risultano meno fondamentali per la scelta elementi come il fare la differenza che si afferma all’11,6%, i collaboratori al 12,3% e l’essere allineati ai valori dell’organizzazione (13%).

“La pandemia ha fatto esplodere elementi che erano già presenti: i lavoratori hanno preso ancora maggiore consapevolezza della necessità di un cambiamento. I nostri dati dimostrano che vi è l’urgenza di rendersene conto mettendo in atto azioni concrete in grado di generare maggiore benessere. Ne va della forza competitiva delle imprese perché la felicità permette di performare meglio, di attrarre talenti e di fidelizzare le persone” afferma Elisabetta Dallavalle, presidente dell’Associazione Ricerca Felicità.

“I dati che emergono dalla ricerca ci consentono di fotografare il cambiamento delle aspettative e aspirazioni delle lavoratrici e dei lavoratori nel nostro Paese. La pandemia del resto ha modificato le nostre vite e il nostro modo di lavorare, così da far nascere anche nuove esigenze, necessità e una voglia di cambiamento prima più limitata –  dice Alessia Cappello, assessora al lavoro e allo sviluppo economico del Comune di Milano.

Cappello continua: “Riconoscere le priorità di chi lavora e concretizzare politiche per creare maggior benessere per tutti, è un driver di crescita e sviluppo, ma anche un modo per aziende e attività per trattenere i talenti migliori. La grande opportunità che abbiamo in questo momento è costruire un mondo del lavoro più inclusivo e sostenibile, capace di rigenerare persone, economia e ambiente – ha aggiunto l’assessora – questo è anche uno degli obiettivi centrali del nostro Patto per il lavoro di Milano”.

“Negli ultimi quattro anni abbiamo assistito a una rivoluzione nel mondo del lavoro – spiega Marco Barbieri, segretario generale di Confcommercio Milano, Lodi, Monza e Brianza – Cambiamenti ed evoluzioni profondi che hanno avuto un impatto sulle aspettative delle persone e sul ruolo delle imprese. La trasformazione digitale, l’accelerazione tecnologica, valori sempre più legati alla sostenibilità, hanno ridefinito i modelli tradizionali di lavoro creando nuove opportunità e sfide. Le persone oggi cercano sempre più autonomia e flessibilità nella gestione del proprio tempo e delle proprie attività professionali, per migliorare l’equilibrio tra vita privata e lavoro”.

“Le imprese – prosegue Barbieri – sono consapevoli di questa evoluzione e stanno sviluppando nuovi modelli di lavoro per essere competitive nel mercato attuale, sfruttando il digitale, investendo in tecnologie innovative e promuovendo una cultura aperta all’innovazione e al welfare. L’attenzione verso le collaboratrici e i collaboratori, l’inclusione, e la sostenibilità economica, sociale e ambientale, sono diventati elementi centrali per le imprese”.                     

“Tra i tanti dati raccolti abbiamo osservato anche come il vivere in modo sostenibile contribuisca ad aumentare la felicità. Il 46,8% degli intervistati afferma che vivere in modo sostenibile renda più felici, mentre solo il 5,3% pensa che ciò contribuisca molto poco o addirittura per niente alla propria felicità” afferma Elga Corricelli, co-founder Ricerca Felicità “Interessante notare come questa affermazione trova maggiore riscontro nei paesi del Sud Italia, passando poi dal Centro, Nord-Est e infine nel Nord-Ovest”.

Al giorno d’oggi, la sostenibilità è uno dei driver principali che guida le aziende e i brand nel fare business con una grande responsabilità verso i consumatori. Questi ultimi, infatti, come svelato dai dati dell’8° Osservatorio Nazionale sullo stile di vita Sostenibile, realizzato e promosso da LifeGate in collaborazione con Renato Mannheimer di Eumetra, ritengono che i tre fattori principali per definire un’organizzazione realmente sostenibile siano rappresentati dalla sostenibilità dei processi produttivi (38% vs il 25% della Gen Z), dall’utilizzo responsabile delle risorse (33% vs il 28% della Gen Z) e dall’attenzione ai lavoratori (22% vs il 32% della Gen Z).

Tra i criteri che guidano un consumatore durante il processo di acquisto di un prodotto e/o servizio, i più importanti sono rappresentati dalla presenza di informazioni trasparenti (35% vs il 26% della Gen Z), dal controllo della filiera di produzione (31% vs il 26% della Gen Z), dalla presenza di certificazioni/loghi sostenibili (23% vs il 26% della Gen Z) e dall’attenzione ai diritti dei lavoratori (21% vs il 18% della Gen Z).

Per un’azienda non basta semplicemente definirsi sostenibile per poter attrarre il maggior numero di clienti e consumatori perché questi ultimi sono spaccati a metà rispetto a chi ritiene che l’impegno di un’impresa per un futuro green sia concreto (46%vs 39% della Gen Z) e chi invece pensa sia solo un’operazione di marketing (45% vs 44% della Gen Z) per seguire il trend della sostenibilità in atto e avvicinarsi alle richieste delle persone e del mercato.

“Come LifeGate siamo impegnati da oltre 20 anni a promuovere una cultura della sostenibilità tra le principali aziende italiane, prendendole per mano e aiutandole a integrare i concetti di sostenibilità nel loro modello di business” dichiara Simona Roveda, direttore editoriale e comunicazione di LifeGate.

Roveda continua: “Il momento storico che stiamo vivendo è straordinario, con un mondo che sta cambiando molto velocemente e radicalmente e la sostenibilità per un’impresa è diventata, oggi, un elemento imprescindibile e un fattore in grado di poter garantire attrattività e competitività nel  confronto con le aziende e i brand concorrenti. Le imprese devono dunque essere sostenibili in quello che fanno e in come lo fanno, avendo una grande responsabilità verso i clienti e i consumatori, ma soprattutto verso il nostro Pianeta”.

La scheda sintetica dell’Associazione Ricerca Felicità

Associazione Ricerca Felicità nasce dall’incontro tra Sandro Formica, Elga Corricelli ed Elisabetta Dallavalle e mira a voler comprendere lo stato attuale di felicità e benessere nel nostro Paese attraverso un’indagine annuale che, nella prima edizione, ha coinvolto 1314 partecipanti lavoratori divisi a seconda di età (Baby Boomer, Generazione X, Millennial e Generazione Z), sesso e appartenenza territoriale (nord ovest, nord est, centro e sud).

Per il terzo anno consecutivo l’associazione Ricerca Felicità misura lo stato di salute della felicità e del benessere dei lavoratori, sia nella dimensione aziendale sia in quella individuale e sociale. I dati vengono raccolti ed elaborati grazie a una survey che ha coinvolto 1106 persone (nel 2022 erano 1079), esclusivamente persone occupate appartenenti a 4 tipologie (lavoratori Dipendenti, Manager, Liberi professionisti/partite IVA/piccoli imprenditori e Imprenditori) e appartenenti alle 4 principali generazioni: Baby Boomer, Generazione X, Millennial, Generazione Z (con un minimo di 100 rispondenti per generazione).

[1] Totale rispondenti 2022: 1079 (Ponderato); Totale rispondenti 2023: 1.106 (Ponderato)

Progetto CirCo: il riutilizzo sostenibile degli scarti del caffè per la cosmetica e le cartiere

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fondi di caffè circo scarti
Il problema degli scarti del caffè

Esempio virtuoso di bioeconomia circolare, il progetto CirCo (Circular Coffee) riutilizza il silverskin, uno scarto della tostatura del caffè, per le esigenze dell’industria cosmetica e delle cartiere. Il progetto è stato attuato in collaborazione con il Dipartimento di Scienze e politiche ambientali dell’Università degli Studi di Milano, l’accademia EURAC Research di Bolzano, la multinazionale della cosmetica Intercos e la cartiera Favini. Leggiamo di seguito la prima parte dell’articolo pubblicata su ehabitat.

L’industria del caffè e l’economia circolare

MILANO – Un semplice scarto della torrefazione del caffè, ovvero la pellicina che ricopre il chicco chiamata silverskin, è all’origine di un progetto virtuoso di economia circolare che riutilizza in modo sostenibile una materia prima seconda per le esigenze industriali. Stiamo parlando del progetto CirCo (Circular Coffee), finanziato da Fondazione Cariplo e Innovhub SSI e promosso dal Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr) in collaborazione con il Dipartimento di Scienze e politiche ambientali dell’Università degli Studi di Milano, l’accademia EURAC Research di Bolzano, la multinazionale della cosmetica Intercos e la cartiera Favini.

L’industria del caffè è tra le più importanti al mondo, tanto che ogni anno si producono e consumano globalmente milioni di tonnellate di questo prodotto.

L’Italia, quarto Paese al mondo per importazioni, tostatura e condizionamento di caffè, smaltisce in media 7.500 tonnellate all’anno di silverskin, uno scarto che può esser riutilizzato come materia prima seconda in molti altri processi produttivi, grazie alla sua ampia disponibilità e alle sua composizione chimico-fisica.

Per capire di cosa si tratta basta pensare alla pellicina che si stacca dal chicco di caffè durante il processo di tostatura quando quest’ultimo tende a gonfiarsi, uno scarto immediatamente rimosso dalla camera di torrefazione poiché facilmente infiammabile e smaltito generalmente come rifiuto solido urbano.

Per fortuna però c’é qualcuno che ha creduto in una sua seconda vita, d’altronde tra le priorità strategiche del Green Deal europeo vi è la transizione ecologica verso il modello rigenerativo dell’economia circolare, che implica la necessità di mitigare la pressione sulle risorse naturali con azioni chiave quali la prevenzione e la riduzione del ciclo dei rifiuti. In fondo basta imitare la natura, dove non esiste il concetto di rifiuto perché ogni scarto si trasforma in nuova risorsa originando un ciclo virtuoso destinato ad autoalimentarsi.

L’economia circolare si ispira proprio alla natura ed immettendo nuovamente il rifiuto nel circolo commerciale come materia prima seconda apporta numerosi vantaggi, quali “la preservazione del capitale naturale, il ripristino e la valorizzazione della biodiversità, elementi che favoriscono la crescita di una società sostenibile”, spiegano i ricercatori del progetto CirCo del Dipartimento di Scienze e politiche ambientali dell’Università degli Studi di Milano.

L’approccio del progetto è totally waste free e mira al completo utilizzo del silverskin in ogni sua parte, creando connessioni e interazioni con settori diversi, l’industria cosmetica e quella della carta, in una logica multidisciplinare che si dimostra allineata alle richieste europee di promozione dell’economia circolare.

Per leggere la notizia completa basta cliccare qui

Ecco i bicchierini per il caffè completamente edibili della startup australiana Good-Edi

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good edi tazzine edibili
Il logo di Good Edi

Le tazzine per caffè edibili e biodegradabili

MILANO – Una startup australiana, che ha nel 2021 ha raccolto circa 100mila euro da una campagna crowdfunding, vuole realizzare tazzine per caffè – del tipo che è comune trovare nelle caffetterie degli hotel e nei distributori automatici – completamente edibili e biodegradabili su larga scala.

I fondatori, Aniyo Rahebi e Catherine Hutchins, hanno spiegato di aver avuto l’idea durante una pausa pranzo a Melbourne, dopo aver visto un cestino stracolmo di bicchierini usa e getta. “Era un problema e volevamo lavorare ad una soluzione”, hanno spiegato. La soluzione è arrivata qualche mese dopo: realizzare tazzine che possono essere mangiate, senza che questo ne comprometta ovviamente il loro scopo principale: contenere una bevanda calda per molte ore.

Dopo diversi esperimenti in cucina, la startup Good-Edi ha quindi individuato una possibile soluzione, realizzando i primi prototipi di un bicchierino per caffè completamente edibile, biodegradabile e ovviamente senza componenti in plastica, poliestere o carta.

Nel 2021 l’azienda ha lanciato il primo crowd-funding, raccogliendo poco meno di 100mila euro. Oggi il suo team produce circa 500 tazzine al giorno per alcuni clienti australiani, tra cui caffetterie, rosticcerie e sale concerti.

Quest’anno Good-Edi punta a crescere, scalando le operazioni e raggiungendo un numero superiore di clienti. “Ogni anno nel mondo vengono gettate circa 250 miliardi di tazzine per il caffé usa e getta, ma solo l’1% di queste viene riciclato”, si legge in una relazione dell’ONU. Solamente in Australia, circa 2,7 milioni di bicchierini ogni anno finiscono in discarica.

I fondatori dell’azienda hanno spiegato che sono stati necessari oltre 250 tentativi prima di arrivare ad una soluzione adatta all’obiettivo.

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Bazzara annuncia i nuovi relatori di Trieste Coffee Experts 2023

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Luigi Odello - presidente dell’Istituto internazionale assaggiatori Caffè, Carles Gonzalez - Coffee Competence & Product Manager di Rancilio Group S.p.A, Thomas Zulian - direttore commerciale di Fairtrade Italia e Francesca Marchi- innovation manager di Area Science Park (immagine concessa)

TRIESTE – Maurizio Giuli – director marketing & communications Nuova Simonelli (Simonelli Group), Cosimo Libardo – board member e tesoriere Specialty Coffee Association International; Enrico Metti – sales director professional Brita Italia e Massimiliano Fabian – presidente del consiglio ICO – Organizzazione internazionale del caffè: dopo aver presentato i primi quattro relatori della sesta edizione del Trieste Coffee Experts, il summit organizzato da Andrea Bazzara, sales manager della torrefazione, la Bazzara prosegue con l’introduzione degli altri grandi personaggi che parteciperanno con i loro brillanti interventi all’evento che si terrà il 25 e il 26 novembre 2023 al Savoia Excelsior Palace – Starhotels Collezione.

La nuova edizione di Trieste Coffee Experts 2023

Tante le sorprese per la nuova edizione che ha tra i suoi obiettivi il confronto amicale per riflettere insieme a professionisti e appassionati sul futuro del settore. Come annunciato, il tema di quest’anno sarà “Future coffee: Innovation and sustainability” e si dividerà in due giornate, la prima con focus su “Sustainability oriented”, la seconda su “Innovation oriented”. Interessanti dibattiti per tutti gli esperti del comparto, volti a esaminare, illustrare gli ultimi trend e gli argomenti di maggiore rilevanza per l’industria del caffè.

Si concentreranno sui due temi durante le due giornate anche Luigi Odello – presidente dell’Istituto internazionale assaggiatori Caffè, Carles Gonzalez – Coffee Competence & Product Manager di Rancilio Group S.p.A, Thomas Zulian – direttore commerciale di Fairtrade Italia e Francesca Marchi– innovation manager di Area Science Park dando così un’esclusiva anticipazione dei loro interventi.

La sostenibilità nel caffè

Sul tema Sustainability oriented, Francesca Marchi – Innovation manager di Area Science Park parlerà di “Economia circolare e simbiosi industriale: case histories nel settore del caffè” introducendo così il suo discorso: “In un mondo radicalmente trasformato dall’impatto che la pandemia ha avuto sui costi dell’energia e delle materie prime, il paradigma dell’economia circolare è sempre più una leva su cui le imprese devono puntare. Quali sono le maggiori barriere da superare? Quali sono gli strumenti a disposizione? Cos’è la simbiosi industriale e in quali casi è stato possibile attuarla? In questa sessione parleremo di alcune best practices a livello italiano ed europeo e di alcuni casi aziendali del settore del caffè di valorizzazione degli scarti e ottimizzazione dei processi”.

Si prosegue con il tema sostenibilità e nel dettaglio sulla qualità di quello che si definisce un caffè “bello, buono, ben fatto” con Thomas Zulian – direttore dommerciale di Fairtrade Italia che anticipa con l’intervento dal titolo “Le risposte di Fairtrade alle sfide della filiera”: “Le sfide sociali, ambientali ed economiche della filiera del caffè sono globali e sempre più pressanti. In un contesto caratterizzato dagli effetti dei cambiamenti climatici e dalla volatilità dei prezzi, Fairtrade lavora insieme ai cafficoltori per trovare soluzioni durature. Con la sua certificazione, inoltre, Fairtrade dà alle aziende uno strumento riconosciuto per comunicare il proprio impegno in ambito di sostenibilità”.

Comunicazione e cultura a Trieste Coffee Experts

Spazio al tema “Innovation oriented” con Luigi Odello – presidente dell’Istituto internazionale assaggiatori caffè con un intervento dal titolo “Officina della comunicazione sensoriale”: “Come si può fare percepire l’aroma attraverso i moderni mezzi di comunicazione? Come ottenere quella visibilità che diventa ogni giorno più indispensabile in un mondo sempre più affollato di comunicazione in quanto facile ed economica? Come coinvolgere un cliente sempre più disattento, smaliziato e frenetico? Noi abbiamo lavorato sulle tecniche atte a convertire, mediante l’unione delle arti grafiche alle scienze sensoriali, la percezione di prossimità in elementi trasmissibili attraverso un canale mediato – la vista – per produrre una nuova comunicazione capace di coinvolgere, evocare e, quindi, emozionare”.

Infine, sempre per quanto concerne il tema innovazione su cultura e comunicazione della qualità, Carlos Gonzalez – coffee competence & product manager di Rancilio Group S.p.A introdurrà l’argomento della valorizzazione dell’espresso attraverso la tecnologia: “Il caffè è un prodotto agricolo nobile, lavorato con cura, attenzione e rispetto in ogni fase della lunga filier”.

Gonzalez continua: “La tecnologia applicata alla macchina per caffè è uno strumento per valorizzare la materia prima nella fase di estrazione, il momento chiave dell’intero processo che determina il risultato finale in ogni tazzina di espresso. La tecnologia offre la possibilità di modulare e bilanciare il profilo sensoriale di ogni tipo di caffè, monorigine o miscela, esaltare tutti i descrittori positivi e minimizzare i sentori indesiderati con l’obiettivo di trasformare in aromi e sapori unici la storia di ogni chicco”.

A supporto della cultura del caffè e del fare rete in Italia: ClubHouse, Alkaff, Cafeex Shanghai China, Simonelli Group, AsachimiciPulycaff, BWT, IMA Coffee Petroncini, Rancilio Group, Brita, M25 Consulting, Asean Cafe Show Thailand, Colombini Group, Demus, 9bar.

“Cìchira”: l’antico termine siciliano per la tazza di caffè ha origini azteche

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Una classica tazzina di espresso (immagine: Pixabay)

Cìchira” è un sostantivo ormai desueto, ma fino a pochi decenni fa accompagnava le pause caffè in gran parte della Sicilia, e la cui etimologia è da ricondurre addirittura alla lingua azteca. Leggiamo di seguito la prima parte dell’articolo pubblicato sul portale The Sicilian Post.

Le origini del termine “Cìchira”

MILANO – Le generazioni più recenti non lo utilizzano quasi più, ma basta entrare in un bar gestito o frequentato da persone più grandi per ritrovare questo termine in punta di bancone. Altrimenti, per restare fra le mura domestiche, si possono chiedere lumi ai propri nonni, ai fratelli maggiori dei propri genitori, a chi ancora oggi vive lontano dai grandi centri urbani in cui l’italiano e i forestierismi hanno spesso soppiantato il dialetto.

In tutti questi casi, se ci si sta chiedendo cosa sia ‘a cìchira (o cìcara, in base alle zone), ci si sentirà rispondere all’unisono che questa strana parola desueta non rappresenta altro che una comune tazzina di caffè.

Oggi, come anticipavamo, è un lemma sempre meno comune, che però non è ancora scomparso del tutto e di cui sarebbe un peccato perdere ogni traccia, dal momento che vanta un’etimologia a dir poco affascinante.

Prima di cominciare, va però sottolineato che il sostantivo in questione è in uso in diversi altri dialetti italiani e che esiste perfino nella nostra lingua nazionale nella variante cìcchera, che ha la stessa origine e per la quale dobbiamo guardare al mondo sudamericano precoloniale.

Laggiù, infatti, le popolazioni azteche chiamavano xicalli in lingua náhuatl “il grande frutto sferico della Crescentia cujete, una sorta di curiosa zucca verde brillante che cresce su alberi ampi e frondosi. Tali frutti erano infatti seccati e tagliati a metà, ottenendo così due ciotole emisferiche che tutti i mesoamericani utilizzarono, per millenni, come bicchieri per sorbire le bevande più diverse, tra le quali le molte preparazioni a base di cacao”, come si legge sul portale Una parola al giorno.

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Le origini del gelato: il primo fu inventato nel 1686 ad Aci Trezza

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Una varietà di gelati (immagine: Pixabay)

Tante sono le prelibatezze di origine siciliana e tra queste pare vi sia anche il gelato, ideato da un cuoco di Aci Trezza alla fine del XVII secolo. Francesco Procopio dei Coltelli, pescatore siciliano, aveva ereditato dal nonno un macchinario con cui faceva degli ottimi sorbetti. Leggiamo di seguito la prima parte dell’articolo pubblicato sul portale Allfood Sicily.

La storia del gelato

MILANO – Il gelato è il dolce sicuramente più diffuso al mondo con un’infinità di varianti. Ha persino illustri antenati nella Bibbia, dove si cita un misto di latte e neve offerto ad Abramo dal figlio Isacco. Anche i Romani ne erano estimatori con un miscuglio di miele e succhi di frutta.

Poi arrivarono “i nivaroli” che, sulla cima dell’Etna, ma anche sulle altre alture siciliane, raccoglievano la neve e la conservavano nelle niviere. Da lì veniva poi trasportata verso le coste a portare refrigerio nella calura estiva.

Dalla tradizione araba di consumare neve con succhi di frutta o latte, nacque invece la granita e poi il sorbetto, precursori del gelato. Ben presto i sorbetti furono apprezzati in tutt’Italia, particolarmente alla corte rinascimentale di Firenze e la loro fama varcò le Alpi con Caterina de’ Medici.

Prima di arrivare al gelato vero e proprio, come lo conosciamo noi, passerà ancora qualche secolo. Fu Francesco Procopio dei Coltelli, cuoco siciliano e pescatore di Aci Trezza, in provincia di Catania o, secondo alcuni, di Palermo, a inventare nel 1686 questa bontà. Il pescatore siciliano aveva ereditato dal nonno un macchinario con cui faceva degli ottimi sorbetti.

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Il gusto di cambiare: in libreria il libro Carlo Petrini e Gaël Giraud sul food, Papa Francesco: “Ha un sapore di futuro”

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Carlo Petrini e Gaël Giraud gusto
Carlo Petrini e Gaël Giraud (immagine concessa)

MILANO – Un dialogo a tutto campo sulla necessità di un cambio di paradigma culturale, sociale, economico per far sì che il pianeta abbia un futuro e l’esistenza di ciascuno diventi umanamente più ricca. Il gusto di cambiare. La transizione ecologica come via per la felicità (Slow Food Editore / Libreria Editrice Vaticana, pp. 176, euro 18, in libreria) è il libro-confronto tra due intellettuali di primo piano nel panorama internazionale, diversi per formazione ma concordi nella diagnosi e nell’approccio alla situazione attuale: Carlo Petrini, gastronomo, fondatore di Slow Food, Terra Madre e della prima Università di Scienze Gastronomiche al mondo, e Gaël Giraud, economista, matematico e teologo, gesuita, direttore del programma per la giustizia ambientale della Georgetown University di Washington.

Sollecitati dalle domande di Stefano Arduini, direttore del magazine Vita, in questo libro Giraud e Petrini analizzano il sistema alimentare, economico e finanziario per segnalarne le rispettive storture e prospettare cambiamenti radicali, che partano da scelte individuali e comunitarie per poi arrivare sul piano politico.

Dalle distorsioni del sistema alimentare ai paradossi economici

Sul fronte alimentare Petrini evidenzia alcuni dati eloquenti: “Da noi lo spreco è funzionale a un modello economico che considera il cibo un prodotto di scarso livello e di scarso valore. Si produce in eccesso, in modo che l’offerta sia sempre superiore alla domanda e i prezzi rimangano bassi”

Petrini continua: “Ancora oggi, circa il 30% del cibo globalmente prodotto non raggiunge la tavola di nessuno. A livello globale produciamo cibo per 12 miliardi di esseri viventi. Gli abitanti della terra sono 8 miliardi. Il 33% del cibo viene buttato. Consumiamo 95 chili di carne pro capite. Negli Stati Uniti si arriva addirittura a 130. Nell’Africa subsahariana a 5 chili. Mentre invece una cifra intorno ai 60 chili è quella più consona a una dieta sana. Diminuire le proteine animali nella dieta equivale a meno spreco, meno consumo di energia e di acqua, meno inquinamento, visto che noi italiani paradossalmente importiamo carne da Argentina e Brasile”.

Giraud porta invece alcune esemplificazioni di carattere economico per mostrare il paradosso in cui siamo intrappolati: “Sono stati trasferiti al mercato finanziario gli stessi aggettivi attribuiti a Dio. Alcuni economisti definiscono il mercato “onnipotente”, “onnisciente”, talvolta “benevolo”. È stata reintrodotta una specie di religione pagana nella quale le banche e il business sono divinità intoccabili. In questo modo, il neoliberismo distrugge un altro pilastro della modernità, poiché nei fatti mina l’uguaglianza di fronte alla legge”.

Nella loro disamina, Giraud e Petrini offrono alcuni esempi che danno l’idea dell’urgente necessità di attuare un cambiamento nelle pratiche alimentari ed economiche: secondo il nordamericano Wei-World Engagement Institute, per esempio, nel 2040, se non interverremo, nel mondo si verificherà una diminuzione della disponibilità di acqua di circa il 20% rispetto a oggi. Sul fronte inquinamento: solitamente si pensa che sia la mobilità la fonte principale di tossicità, invece ciò è da ricercarsi nel sistema alimentare, che incide per il 35% sull’inquinamento globale, il doppio dunque di quanto inquinano moto, auto, camion e treni. Sul piano economico è necessario rinunciare all’assolutizzazione del Pil, che oggi viene idolatrato ma che resta un indicatore di ricchezza che non tiene conto di diverse variabili, come il rispetto dell’ambiente, l’impatto sociale della crescita della ricchezza, le ingiustizie sociali, etc.

Le parole chiave per il futuro: antropologia relazionale e comunità

Giraud e Petrini si trovano d’accordo nell’evidenziare alcune parole-chiave intorno alle quali la società civile deve attuare una lotta sociale che porti la politica a scelte forti e nette: Giraud la chiama antropologia relazionale, che dimentichi l’Uomo vitruviano di Leonardo da Vinci (un uomo solo, maschio, europeo, senza natura, senza l’altro né l’Altro); Petrini invece individua nella parola comunità, in particolare i movimenti giovanili come i Fridays for Future, una delle leve possibili per attuare cambiamenti di prospettiva.

Da questa visione nascono alcune scelte concrete, possibili e alla mano: dimezzare il consumo di carne perché il 69% dell’acqua che usiamo noi uomini è destinato agli allevamenti intensivi, che sono anche intense fonti di inquinamento; preferire banche etiche o di comunità a istituti di credito che, invece, impediscono la transizione energetica, visto che nel caso delle 11 banche maggiori d’Europa il totale dei loro investimenti in energie fossili arriva a una quota di 530 miliardi di euro, pari a circa il 95% della somma della capitalizzazione di ognuna di tali banche.

La prefazione di Papa Francesco al libro

I due autori si trovano inoltre concordi nell’affermare che la prospettiva di papa Francesco contenuta e manifestata in Laudato si’ e identificata nel motto meno è più rappresenta la risposta che il mondo occidentale in crisi di identità può far propria per assecondare il desiderio di giustizia e felicità che ogni persona possiede. Come affermano gli autori, “ciò che conta nella nostra vita non è il numero di automobili che possediamo, ma la qualità delle relazioni che abbiamo fra noi vivi e con la natura, con i nostri antenati e con i nostri futuri figli. Se il nostro obiettivo come individui e società è il Pil o avere più cose, non sarà un vero progresso. L’obiettivo di una comunità deve essere vivere meglio, cioè trovare un senso alla propria vicenda umana”.

Papa Francesco, nella sua prefazione, riconosce l’importanza del libro: “Questo testo ha generato in me un sapore di speranza, di autenticità, di futuro. Ciò che i due autori portano avanti in questo scambio è una sorta di narrazione critica rispetto alla situazione globale: da un lato elaborano un’analisi motivata e stringente al modello economico-alimentare in cui siamo immersi il quale, per rifarsi alla celebre definizione di uno scrittore, “conosce il prezzo di tutto e il valore di niente”; dall’altra propongono diversi esempi costruttivi, esperienze assodate, vicende singolari di cura del bene comune e dei beni comuni che aprono il lettore a uno sguardo di bene e di fiducia sul nostro tempo. Critica di ciò che non va, racconto di situazioni positive: uno con l’altro, non l’uno senza l’altro”.

Le date della presentazione del libro

Carlo Petrini, Gaël Giraud e Stefano Arduini saranno protagonisti di alcuni incontri pubblici di presentazione del volume, con la media partnership di Vita magazine.

Questi gli appuntamenti: venerdì 19 maggio ore 17.15Salone del libro di Torino, con Massimo Giannini, direttore La Stampa (Caffè Letterario Padiglione Oval); lunedì 22 maggio ore 11, Pollenzo (Cn), Università di Scienze Gastronomiche; martedì 23 maggio ore 21, Lecco, Sala Ticozzi; mercoledì 24 maggio ore 19, Milano, BAM – Biblioteca degli Alberi; giovedì 25 maggio ore 19.00, Verona, Eataly Art House, con il vescovo Domenico Pompili; venerdì 26 maggio ore 18.30, Dialoghi di Pistoia; venerdì 26 maggio ore 21, Festival biblico di Vicenza; mercoledì 31 maggio ore 18.00, Genova; martedì 6 giugno ore 18.00, Roma, Comunità di Sant’Egidio; giovedì 15 giugno ore 18.00, Riva del Garda, Centro Fiere e Congressi; venerdì 16 giugno ore 18.30, Treviso; sabato 17 giugno ore 18.45, Bassano del Grappa, Palazzo Roberti.