martedì 02 Dicembre 2025
Home Blog Pagina 710

Coffee Addition fa il suo ritorno a Host Milano 2023

0
coffee addition host
Coffee Addition a Host 2023 (immagine concessa)

MILANO – Il successo del progetto Coffee Addition nel 2021 a Host ha catturato l’attenzione di migliaia di persone, che hanno partecipato con entusiasmo agli eventi itineranti elaborati da Gianni Cocco presso le aziende aderenti. Quest’anno, Coffee Addition ritorna in grande stile durante Host 2023, offrendo un format unico nel suo genere, combinando i migliori elementi di un master itinerante all’interno della fiera.

Coffee Addition invita tutte le aziende partecipanti a cogliere questa straordinaria opportunità di coinvolgimento e crescita nell’affascinante mondo della mitigazione legata al caffè.

Coffee Addition a Host 2023

Coffee Addition si sviluppa in collaborazione con Aicaf, un’organizzazione con oltre 16 anni di esperienza nella pianificazione e coordinazione di eventi di successo, non solo in occasione di Host, ma anche in altre fiere di settore, competizioni televisive e record mondiali Guinness.

Durante Host 2023, Coffee Addition si muoverà attraverso gli stand delle aziende partecipanti, offrendo un “seminario” (master) appositamente progettato per coinvolgere e formare gli avventori con un’esplosione di nuove idee e novità legate al mondo del caffè e della mitigazione.

Obiettivi

L’adesione a Coffee Addition offre numerose opportunità per le aziende partecipanti. In primo luogo, consente di attrarre un alto numero di visitatori interessati all’area espositiva, mantenendoli impegnati durante l’intero master. Durante questo periodo, sarà possibile raccogliere dati preziosi attraverso voucher appositamente forniti da Coffee Addition, i quali permetteranno agli avventori di ricevere un certificato di partecipazione via email all’evento.

coffee addition
Il logo di Coffee Addition (immagine concessa)

Inoltre, l’adesione al progetto permetterà di essere inclusi nel paniere degli aderenti a Coffee Addition, offrendo un’ampia visibilità attraverso i media e una mappa inviata a Fiera Milano. Questo consentirà di differenziarsi dagli altri stand presenti in fiera, offrendo appuntamenti e elementi di forte attrattiva per i visitatori.

Promozione e comunicazione

Coffee Addition sarà promosso in collaborazione con Fiera Milano, Aicaf, Altoga e tramite una vasta gamma di canali di comunicazione, tra cui i social media, siti web e attività di database. Sarà creata una grafica dedicata, che mostrerà il percorso di Coffee Addition all’interno dei padiglioni, permettendo agli interessati di seguire agevolmente tutti gli eventi programmati.

Aderire al progetto Coffee Addition rappresenta un’opportunità senza precedenti per le aziende partecipanti ad Host 2023. La combinazione di un format innovativo, supportato da un’organizzazione esperta e una promozione efficace, garantirà una visibilità e un coinvolgimento unici nel settore. Non perdete l’occasione di distinguervi e cogliere le numerose possibilità di crescita e successo che Coffee Addition offre. Unitevi a Coffee Addition per rendere Host 2023 un’esperienza straordinaria e indimenticabile per i visitatori e per il proprio brand.

Zidarich: “Così abbiamo creato un modello unico per il riutilizzo del silver skin come sottoprodotto”

0
Omar Zidarich
Omar Zidarich, Presidente del Gruppo Italiano torrefattori caffè
TRIESTE – Un significativo passo avanti verso la sostenibilità compiuto dal Gruppo italiano torrefattori caffè, rappresentato dal presidente Omar Zidarich, che ha condiviso con i lettori i progressi fatti sul silver skin, considerato sin qui come uno scarto produttivo e non un sottoprodotto, e che ora potrà trovare il suo ruolo nell’economia circolare.

Zidarich racconta la genesi di questa iniziativa

“Inizialmente, lavorando insieme all’Area di ricerche Science Park di Trieste, un organo nazionale e controllato dallo Stato senza scopo di lucro, avevamo organizzato il convegno in cui il silver skin veniva presentato come un sottoprodotto e non più come uno scarto della torrefazione. In seguito, abbiamo approfondito il discorso considerando che la legislatura dei rifiuti è nazionale, ma l’organo di controllo è regionale e fa rispettare le normative nazionali.
L’evento sul sottoprodotto (foto concessa)

Il sottoprodotto è regolamentato differentemente rispetto ad un rifiuto. Quindi noi abbiamo voluto creare delle linee guida che fossero valide tutti i torrefattori. Ci siamo appoggiati ad una consulente che aveva già affrontato e gestito gli scarti di lavorazione per conto di una grossa azienda del settore alimentare, così gli scarti erano diventati una risorsa anche economica.

Così siamo partiti. Ho visitato personalmente diverse aziende per assistere al ciclo produttivo che fortunatamente nelle torrefazioni è unificato: tutti, indipendentemente delle dimensioni, svolgono un processo che nelle sue fasi è uguale. Abbiamo visto quali sono i rifiuti ed i sottoprodotti che produce questo  tipo di impresa, durante il ciclo produttivo. Abbiamo tracciato queste linee guida per prevedere, per quanto riguarda il silver skin, l’utilizzo in più processi produttivi.
Il silver skin, essendo un prodotto voluminoso, ha per esempio un’incidenza importante per il trasporto che abbiamo dovuto considerare. Resta il fatto però che il silver skin può avere più funzioni: oltre a quella del fertilizzante, può esser conferito nella cartiera per creare della carta impura, messa internamente al digestato di una ricetta di bio gas e anche impiegato nella farmaceutica-cosmetica.
Di fronte alle potenziali variabili, abbiamo creato un modulo unico per il trattamento dei sottoprodotti che poi il torrefattore potrà consultare per scegliere quello che potrà essergli più conveniente e all’individuale disposizione del silver skin. Abbiamo cercato di dare diversi consigli per poter trovare una soluzione di economia circolare più interessanti e convenienti. “

Quanto tempo avete dovuto dedicare per la realizzazione del progetto?

“La ricerca ha impiegato circa 4 mesi e ha avuto un riscontro positivo da parte del controllore. L’ultimo incontro è avvenuto con il comandante del NOA (La forestale di Udine) il dottor Claudio Freddi, che si è seduto al tavolo con noi, dandoci delle consulenze e indicazioni. Nei vari conferimenti citiamo la legge che regolamenta un determinata funzione del sottoprodotto. Siamo stati precisi nell’autocertificazione, avvalendoci del parere scientifico di Science Park e della stessa biologa insieme, nella fase finale, alla convalida del consulente esterno.
Presenteremo il modello a metà di luglio durante un’assemblea con il Gruppo, sia online che in presenza.”

L’obiettivo ovviamente è quello di divulgarlo

Continua Zidarich: “È necessario avere a disposizione questo documento perché in questo modo i torrefattori potranno contare su un modello unico che potrà esser visionato senza fare confusione nell’autocertificazione per il controllore.
È stato possibile soltanto oggi concludere questo passaggio nella definizione del silver skin come sottoprodotto, caratterizzato da diverse qualità. Ci siamo potuti muovere per
via legale, stabilendo un regolamento unico. L’idea è di offrirlo gratuitamente a tutti i soci e insieme ad una consulenza a pagamento per chi è al di fuori dal Gruppo. “

Zidarich, quali sono le quantità di silver skin prodotte dai torrefattori? Quanto incidono su queste aziende?

“La quantità di silver skin è l’1,5% del caffè verde che viene trattato. Se si considerano 100mila chili di verde in un anno si conteranno circa 1500 chili di silver skin, che sia esso bricchettato oppure sfuso come segatura. “

Questa è il primo step: state pensando già a come sviluppare il progetto ulteriormente?

“La seconda fase vorrebbe comprendere i fondi del caffè e quindi la creazione di una regolazione per il loro ritiro. Il futuro, secondo me, sarà nell’unificare lo scarto del sottoprodotto silver skin in punti di raccolta unici per ciascuna regione e fare forza insieme. Un cluster sarebbe importante per poter ecologicamente esser più coesi.”

Un ultimo appello da Zidarich:

“Nell’ambito della ricerca, noi torrefattori dobbiamo cercare di condividere più risposte ed esser più esaustivi. Abbiamo bisogno di raccogliere più dati, solamente statistici, per dare un valore al comparto. “

La chimica Laura Magris racconta l’evoluzione del silver skin

“Sono stata contattata a seguito di un incontro avvenuto durante una conferenza in cui ho portato la mia esperienza come esperta ambientale nella valorizzazione dei sottoprodotti nell’industria alimentare. I torrefattori mi hanno chiesto se il silver skin potesse esser trattato come sottoprodotto e non come rifiuto.
Si trattava di analizzare se il processo produttivo del silver skin rispondesse ai requisiti della normativa vigente, D.lGs 152/2006 e DM 264/2016 per rientrare nella categoria del sottoprodotto e non del rifiuto. Fatta un’analisi sulla fattibilità, è stata redatta una linea guida unica per i torrefattori per poter gestire conformemente alla normativa il silver skin come sottoprodotto. Sono state individuate le documentazioni da redigere, le modalità di gestione del sottoprodotto all’interno dell’azienda di fornitura a chi lo acquista.
Il grosso valore è stato quello di mettere questo documento a disposizione di un gruppo industriale, come garanzia per non commettere illeciti, grazie anche al coinvolgimento dei forestali e dall’ente controllore. È stata una bella esperienza di lavoro e un esempio di utilità. Differenziare il silver skin, può portare a dei risparmi notevoli: non si ha più uno scarto, ma un sottoprodotto usato per la produzione di biogas o di fertilizzanti nell’agricoltura.
L’importante è che tutta la gestione si distingua correttamente da quella del rifiuto fino al suo conferimento e che si rispettino gli accordi contrattuali con chi acquista questo prodotto con le giuste modalità e tempistiche di stoccaggio. “

Perché soltanto oggi questa rivoluzione sul silver skin?

“Perché oggi c’è una grossa spinta verso i progetti di sostenibilità. Dove è possibile soddisfare i requisiti normativi, si investe nel riutilizzare alcuni residui delle lavorazioni come sottoprodotti. Ci sono criteri molto specifici da rispettare nel processo produttivo e nel valore economico e per questo, una forte paura è quella di commettere illeciti, affidandosi all’iniziativa dei singoli imprenditori.
Esiste un elenco di sottoprodotti: ci si iscrive alla camera di commercio e si garantisce la trasparenza. Queste analisi del sottoprodotto così come tenere rigorosamente la tracciabilità, consente di dimostrare che il silver skin non è un rifiuto. Per produrre energia o per usarlo come fertilizzante, esistono diverse normative da studiare e si potrebbe estendere anche ai fondi di caffè.
Per parlare degli aspetti economici:
Il silver skin rappresenta l’1,5% del peso del caffè che viene tostato. Su 100 chili, 1,5 sono di silverskin che ora può esser venduto invece che dover pagare per il suo smaltimento e il trasporto. Una grossa torrefazione ha quindi benefici economici di un certo rilievo dal suo riutilizzo. E facendo un bilancio dal punto di vista ambientale, questo processo inserisce l’impresa in una strategia di economia circolare.
Ricordo però che anche l’impatto sull’organizzazione è altrettanto importante: si deve fare formazione e sensibilizzazione sul corretto smaltimento del rifiuto e della gestione del sottoprodotto.”

Convegno sul futuro del caffè, Rossella Sobrero: “Non fare storytelling sulla sostenibilità, senza dietro uno storydoing”

0
Convegno Sobrero
Rossella Sobrero, presidente di Koinètica gruppo promotore del salone della Csr

MILANO – Dal convegno (di qui abbiamo parlato qui) organizzato dal Consorzio promozione caffè presso il Campus Simonelli Group, qui si parla di reputazione di un’azienda legata alla comunicazione: oggi si discute di sostenibilità. Ma quali termini e quali modalità sono quelli corretti? Ne ha argomentato Rossella Sobrero, Presidente di Koinètica.

I consumatori infatti sono diventati più esigenti e non vogliono soltanto un prodotto di qualità, ma anche che la azienda sia impegnata su diversi fronti: la tutela dei diritti del lavoratore e il rispetto per l’ambiente. Quanto è importante la reputazione? Perché un danno di immagine, un’attività scorretta poi producono una macchia su un’azienda, difficile da cancellare per ripristinare l’immagine corretta.
Il consumatore vuole trasparenza, sincerità, coerenza e questi sono sicuramente dei principi su cui costruire qualunque campagna di comunicazione.
Ai link seguenti, gli altri interventi (qui, qui e qui)

Rossella Sobrero, Presidente di Koinètica spiega questo concetto

E rimanda ad un’immagine specifica: quanto sia importante per un imprenditore trasformarsi da sciatore a giardiniere:
“E’ un vero piacere essere in questo splendido luogo e ringrazio Simonelli Group per averci invitato.  La sostenibilità è fatta anche di numeri, perché le parole contano, ma poi bisogna misurare i fatti. A me piace dire che viviamo in un momento che non è solo di cambiamento superficiale, ma è una vera metamorfosi. Non tutti sono d’accordo, perché si dice che la metamorfosi va nel profondo e va a modificare il modo stesso di ripresa e di comportarci.
Io invece credo che la metamorfosi sia in corso e che i mutamenti in questi ultimi anni siano stati significativi.
C’è un famoso attore tedesco morto anni fa, Ulrich Beck, che ha scritto “La metamorfosi del mondo“, in cui già affermava quanto stesse cambiando il comportamento delle persone: parliamo di un’epoca ancora precedente alla pandemia che poi è stato un forte acceleratore.
Anche nel mondo delle imprese questa metamorfosi si misura attraverso ciò che viene chiamato l’attivismo dei brand. Philip Kotler, un famoso studioso americano, che non è un attivista di greenpeace, ma una persona che ha sempre sostenuto le visioni di marketing più tradizionali, nel 2020 ha pubblicato il libro “Brand activism“. E affermava proprio questo. Ciò significa che l’attivismo dei brand non è un sogno di qualche visionario, ma è fondamentale.
La sostenibilità sta diventando quasi un pre requisito: si chiede alle aziende di dimostrare l’impegno messo in atto. Quello che è forse il fenomeno più nuovo è che si va oltre i confini aziendali. Fino a qualche anno fa anche nel report di sostenibilità, le aziende raccontavano cosa facevano per migliorare le performance sociali e ambientali, di governarnce, dentro la propria struttura.
Adesso si chiede all’impresa anche di rendere conto di cosa accade nella propria filiera. Per un settore come quello del caffè, non è una cosa da poco: per le ragioni che sappiamo, non essendo un prodotto semplice, l’attenzione alla tracciabilità, sapere da dove arriva la materia prima oppure se sono stati rispettati i diritti dei lavoratori, diventa veramente molto cruciale.
Perché, perdere la reputazione è questione di poco tempo: per costruirsene una solida ci si impiega anche anni, ma poi se anche solo un sub fornitore fa qualcosa di non corretto, ci sono delle ricadute sull’azienda madre.
Un esempio è la Nike, che ha visto il crollo del titolo in Borsa e anche del fatturato, perché non sapeva cosa stesse facendo il fornitore di un suo fornitore, che faceva cucire i palloni ai bambini nei sottoscala. Dopodiché sono stati bravi loro a recuperare, ma da lì si è capito che non ci si poteva limitare a gestire bene il proprio luogo di produzione e distribuzione, bisognava cercare di andare più in là.
Infatti il significato di gestione di una filiera sostenibile è cresciuto in questo periodo. Molti fornitori sono attenti a dimostrare al proprio cliente, spesso una grande azienda, che anche il loro comportamento è sostenibile. Alcuni chiedono un rating di sostenibilità, così il controllo della filiera sta diventando importantissimo.
Altro elemento fondamentale è la misurazione dell’impatto. Come si fa a dire di esser sostenibile, 100% green? Misurare l’impatto generato, capire che grazie al proprio comportamento qualcosa è stato modificato nella vita delle persone, nella propria filiera, nei confronti di dipendenti e clienti, c’è bisogno di numeri. La misurazione dell’impatto diventa essenziale.
Insieme a Global Compact e Asvis, organizziamo il Salone dell’innovazione sociale, abbiamo lanciato l’anno scorso il Premio impatto con qualche dubbio: abbiamo avuto 90 organizzazioni che hanno compilato un form non semplice e hanno dimostrato, numeri alla mano, come avevano generato cambiamenti.
Sessanta di queste erano imprese e 30 degli enti No Profit. Ci ha fatto pensare: perché le imprese, che in teoria sono meno obbligate ad avere un impatto sociale, sono state quelle che più hanno dichiarato di misurarlo? E’ una riflessione non da poco. Vediamo cosa succederà quest’anno: la misurazione dell’impatto è però fondamentale per il futuro.

Le imprese in una tazza di vetro: questa è una delle mie immagini preferite

E’ vero che siamo protetti dentro un’impresa, ma siamo anche sempre più oggetto dell’attenzione dei nostri steakholder, non soltanto dei consumatori più informati.
Ne dico uno fondamentale per gli investitori: se andate adesso in banca a chiedere un prestito, moltissimi Istituti chiedono un rating di sostenibilità e vanno a controllare che non sia soltanto un racconto fantasioso. Dobbiamo essere quindi sempre più sinceri, autentici, trasparenti, proprio perché gli steakholder sono più informati e alcuni di loro hanno più strumenti di conoscenza di altri.

La coerenza è essenziale. Bisogna esser molto attenti di non dichiarare cose che nella realtà poi non si fanno

Parlando di filiera, dobbiamo essere in grado di coinvolgere i nostri collaboratori, così come mi piace pensare in termini di processo condiviso, e tutti coloro che servono ad arrivare alla fine di un processo produttivo, devono condividere i principi di sostenibilità. Non soltanto perché le aziende più grandi vi buttano fuori, ma perché conviene. Dobbiamo per forza essere più sostenibili.
La comunicazione è un asset importante, ma attenzione a comunicare quello che non è del tutto vero. La comunicazione dà una serie di spunti positivi, ma deve esser il più possibile veritiera. L’eccessiva enfasi rientra tra le varie versioni del greenwashing: dire in modo enfatico quello che addirittura è un obbligo di legge. Se per la sicurezza del lavoro tu fai ciò che la legge prevede, non si può dire di investire in sicurezza sul lavoro. E’ qualcosa che si deve fare.
Facciamo attenzione a scegliere le parole e a strutturare una comunicazione fatta in modo professionale. Facciamo di meno, evitando di far parte di un rumore di fondo sulla sostenibilità. Si crea anche quello che viene chiamato sciame comunicativo: la comunicazione disintermediata a tutto e a tutti, chiunque di noi diventa comunicatore, non è per forza una cosa professionale. L’azienda deve partire poi dall’ascolto dei propri interlocutori e steakholder.
Quindi, da cacciatori a giardinieri è il mio claim da una decina di anni, facendo arrabbiare anche i miei colleghi che si occupano di pubblicità. Si sa che in una campagna si deve vedere qual è il target da colpire: io sono stufa di questo. Noi dobbiamo creare delle relazioni.

Cercare di fidelizzare un cliente costa meno che non trovare un cliente nuovo

Ma soprattutto, perché la relazione vuol dire che tra me e il mio interlocutore si crea un rapporto di confronto che mi conviene: arrivano spunti, suggerimenti. Gli utilizzatori di prodotti e servizi, sono quelli che possono più aiutare alla costruzione di un prodotto e un servizio più efficace.
Basta con la storia di colpire i bersagli. Dobbiamo entrare in relazione con le persone: la sostenibilità si basa anche sui rapporti. Quando si parla di transizione ecologica, tutti possiamo contribuire. Credo che la passione con la quale facciamo il nostro lavoro sia fondamentale e quindi prima di dire, dobbiamo fare.
Perché oggi si parla tanto di storytelling, di narrazione: detto da chi come me è fino a qualche mese fa presidente della federazione nazionale della comunicazione può suonare stonato. Ma credo che non si possa più fare troppo storytelling se dietro non c’è uno storydoing. Prima fai, poi comunichi in maniera rilevante, chiara e consapevole.

Empatia e semplicità

La semplicità è una delle mie battaglie. La comunicazione non deve stupire con gli effetti speciali: deve dire poche cose, dirle chiare, che siano sincere e comprensibili. Dobbiamo creare un rapporto empatico, perché altrimenti la mia relazione di prima, si perde.

Pericolo di greenwashing

In questo periodo aumenta chi usa la comunicazione sulla sostenibilità come leva strategica e cresce il numero di aziende che fanno in maniera consapevole o inconsapevole greenwashing in tutte le sue sfumature.
Ci può essere anche l’impresa che fa una comunicazione sbagliata, ma in modo inconsapevole: ho scritto recentemente un libro in cui parlo di peccati capitali e peccati veniali. I primi sono quelli in cui in modo deliberato, sapendolo si racconta qualcosa di non vero; i secondi dell’azienda che sull’onda dell’entusiasmo nei suoi passi nel percorso di sostenibilità, esagera nel raccontare, senza quei numeri che dimostrano che quelle cose che ha dichiarato sono vere. Quindi bisogna stare molto attenti, comunicare meno e in modo professionale, soltanto il vero.
Concludendo: è necessario un’ottica nuova. Dobbiamo creare nuovo valore per le nostre aziende e dobbiamo essere strabici. Cioè, con un occhio dobbiamo guardare al risultato a breve. Con l’altro occhio però, dobbiamo vedere nel medio e lungo termine. Senza avere una spinta al cambiamento e all’innovazione, l’impegno sulla sostenibilità non va da nessuna parte.
Crescono le aspettative: oggi si chiede a un’azienda un impegno che prima nessuno chiedeva. E soprattutto un’azione plurale: le imprese non possono risolvere tutti i problemi del mondo, non ce la farebbero e non sarebbe neppure giusto, perché le istituzioni e le pubbliche amministrazioni dovrebbero muoversi di più in termini di sostenibilità. Non scarichiamo tutto sulle imprese.
Gli enti del terzo settore, noi cittadini, dobbiamo raccontare il nostro impegno in un modo nuovo ed esser capaci di diventare ispiratori di sostenibilità. Mi piace l’idea che anche solo parlando con dei giovani, con le aziende, con dei colleghi, magari faccio scattare una piccola scintilla liberando la loro creatività, facendo capire che siamo tutti importanti e attori del cambiamento. Abbiamo gli strumenti, basta volere agire. Buon caffè a tutti.”

IMF Roasters, caratteristiche e vantaggi: intervista a Niko Sunko, Bell Lane Coffee, Irlanda

0
imf rm60
Torrefattrice industriale automatica RM60 (foto di Bell Lane Coffee)

OCCHIOBELLO (Rovigo) – Sulla scia dell’espansione europea e globale, le aziende hanno bisogno di sapersi adattare continuamente alle ultime tendenze del settore. IMF incontra Niko Sunko, roastery manager & green coffee buyer presso Bell Lane Coffee, per parlare di caratteristiche e vantaggi circa la scelta della torrefattrice Made in Italy. La profonda conoscenza del prodotto grezzo e il puntuale approccio tecnico sono alla base della forte crescita dell’azienda irlandese con sede a Mullingar.

IMF incontra Niko Sunko

Sunko afferma: “Volevo una macchina che non avesse limiti. Così, dopo una ricerca approfondita, IMF mi è sembrata l’unica che non avesse limitazioni relativamente a potenza e capacità di batch. È bello aver la possibilità di tostare un lotto completo in meno di 8 minuti, potendo sempre contare su un elevato standard qualitativo. Essendo una macchina a convezione completa consente ai torrefattori specializzati di tostare ad un livello più chiaro senza rischiare il sottosviluppo”.

Tutti i modelli IMF sono dotati di un particolare sistema di ricircolo di aria calda pulita attraverso un’unica caldaia a doppia funzione, che consente di generare l’energia necessaria per il processo di tostatura e allo stesso tempo di ridurre le emissioni, garantendo così un notevole risparmio energetico con significativa riduzione dei costi di produzione.

imf
Niko Sunko, Stephen Bell, Leonardo & Andre (foto di Bell Lane Coffee)

Il costante impegno aziendale nello studio del prodotto e nella ricerca tecnologica ha portato ad un elevato livello di precisione del processo di tostatura, particolarmente apprezzato da clienti e professionisti del settore in tutto il mondo.

Niko Sunko analizza i punti principali che hanno influenzato la scelta di una nuova torrefattrice: “Con IMF ho facile accesso ad ogni parte della macchina, il che rende il lavoro quotidiano molto più facile. Inoltre, una caratteristica unica delle torrefattrici IMF, dovuta al suo design intelligente e alla tecnologia avanzata, è che non bisogna mai pulire i camini”.

Per leggere la versione integrale del suo articolo e conoscere ulteriori dettagli sulla scelta delle torrefattrici IMF, visitate il suo blog.

Robusta nuovamente in rialzo, incidono le incertezze su Vietnam e Indonesia

0
mercati del caffè robusta futures Eudr arabica esportazioni Brasile export prezzi borsa Vietnam meteo
Il logo dell'Ice

MILANO – L’incertezza sui raccolti dei principali produttori mondiali, a cominciare dal Vietnam, fa rimbalzare i prezzi dei robusta, in forte rialzo nell’ultima seduta della settimana trascorsa. Il contratto principale dell’Ice Robusta (settembre) ha chiuso la seduta di venerdì 7 luglio in ripresa di 111 dollari, a 2.621 dollari, riavvicinandosi ai massimi storici del mese trascorso, quando il benchmark ha raggiunto, il 20 giugno, un picco di 2.770 dollari, il livello più elevato per la borsa londinese dal 2008.

Sempre a giugno, la media mensile dell’indicatore Ico dei robusta ha segnato i suoI massimi dal 1995. Molto diverso l’andamento dell’Ice Arabica, che ha concluso la prima settimana di luglio in parziale ripresa a 160,90 centesimi, dopo essere sceso, a metà settimana, a 158,90 centesimi, minimo dalla terza decade di gennaio per la scadenza principale.

Tradizionalmente, luglio – mese più freddo dell’estate australe – è dominato dalla notizie sui rischi di gelate nella coffee belt del Brasile. Ma il pericolo appare quest’anno piuttosto remoto.

E le operazioni di raccolta procedono a pieno ritmo, con una produzione che si preannuncia abbondante e di buona qualità, fatto questo che contribuisce da settimane a stoppare i rialzi dei caffè arabica.

A tenere banco è invece il dibattito sulle possibili ripercussioni del fenomeno El Niño sulla produzione mondiale di caffè.

“Il passaggio alla fase El Niño fa temere per i raccolti di Vietnam e Indonesia, rispettivamente primo e terzo produttore mondiale di caffè robusta” ha scritto Fitch Solution in un recente report.

Il tutto in un anno già segnato dalla minore produzione di robusta in Brasile, causata dalla siccità dell’anno scorso nell’Espirito Santo.

L’impatto del Niño sulla produzione della Colombia appare invece, al momento, di difficile valutazione.

In un recente report, il trader svizzero Sucafina osserva innanzitutto come non vi sia ancora consenso tra i climatologi sulla durata e sull’intensità del fenomeno.

Contenuto riservato agli abbonati.

Gentile utente, il contenuto completo di questo articolo è riservato ai nostri abbonati.
Per le modalità di sottoscrizione e i vantaggi riservati agli abbonati consulta la pagina abbonamenti.

Massimo Renda, Caffè Borbone al Trieste Coffee Experts: “Facciamo sì che gli imballaggi siano sempre più predisposti al riciclaggio”

0
massimo renda
Massimo Renda, presidente e fondatore di Caffè Borbone è stato nominato Cavaliere del Lavoro

Massimo Renda, fondatore e presidente di Caffè Borbone, è intervenuto come ambasciatore dell’espresso all’anteprima dell’evento organizzato da Bazzara Trieste Coffee Expert per incentivare la collaborazione tra il nord e il sud Italia. Il cavaliere del lavoro Massimo Renda si è esposto in particolare sull’importanza del riciclo e della sostenibilità nell’industria dell’imballaggio alimentare e di quanto sia importante sensibilizzare i consumatori sul perseguimento di un comportamento sempre più all’insegna del rispetto per l’ambiente. Leggiamo di seguito la sua opinione.

Riciclo e sostenibilità

di Massimo Renda

TRIESTE – “Vengo portando un argomento che a mio avviso è un po’ trascurato, ma che dovrebbe essere più sentito, e anche, per quanto possibile, come ambasciatore di una torrefazione napoletana. Sappiamo che ci sono stati ragionamenti abbastanza serrati nel confronto tra il caffè italiano e quello napoletano: ma l’espresso fatto in Italia è sempre buono.

Quindi, da ambasciatore, e per quanto possibile stemperatore, anche se credo che oramai il momento caldo sia nel passato, è bene che in un contesto così importante rivolto agli operatori del settore caffè ci fosse anche un rappresentante dell’industria del caffè del sud, che geograficamente è abbastanza lontana da Trieste. Stavolta è capitato a me e magari qualche altra volta capiterà a qualcun altro.

Dovremmo trovare tutti quanti insieme un modo per “fare sistema”, per andare all’estero nella maniera migliore e più costruttiva per tutti.

Parliamo di un tema che per tutti noi è molto caldo: è la questione della riciclabilità dell’imballaggio. Solo Caffè Borbone ogni anno sul mercato italiano immette quasi 3 miliardi di monodose, tutti quanti confezionati singolarmente.

Tutte queste confezioni dovranno andare a riciclo oppure a rifiuto: dobbiamo cercare se non altro di riciclarlo nel miglior modo possibile. La pressione è sempre maggiore: ogni giorno sentiamo di uragani, tempeste, siccità. Una sera guardavo in televisione un canale Rai e si parlava di una zona di Italia che si sta desertificando, e tutto questo è attribuito al cambiamento climatico.

Abbiamo il dovere tutti quanti, ognuno nel suo piccolo o nel suo grande, in ogni tipo di lavoro e attività che facciamo, di aumentare la nostra sensibilità per salvaguardare il mondo soprattutto per chi verrà dopo di noi. Considerate che un quinto delle emissioni dei gas in atmosfera derivano dalla filiera di produzione dei prodotti alimentari. Un quinto a livello mondiale: vi renderete conto che è una cifra enorme? Nelle coltivazioni, negli allevamenti, per l’industria fino all’atto di consumo, la sommatoria di tutto questo porta a un quinto dell’emissione dei gas serra e per colui che mi ha dato il dato, forse addirittura di più. Noi che cosa possiamo fare?

Innanzitutto sollecitare, ad esempio nell’industria dell’imballaggio alimentare, la competizione. Fare in modo tale che gli imballaggi siano sempre più predisposti a poter essere riciclati, fermo restando che poi devono rimanere entro un margine di costo utilizzabile, e con la possibilità di essere macchinati in maniera favorevole.

Ci deve essere questa virtuosa spinta evolutiva dell’industria di imballaggio, che non deve essere rivolta solamente al miglior rapporto qualità prezzo.

E l’industria alimentare, che produce utilizzando questi imballaggi, deve essere consapevole che non arriverà mai il produttore di imballaggi a dire “guarda ho la soluzione di tutti quanti i tuoi problemi, e delle tue esigenze commerciali”: sarà sempre un percorso di interlocuzione, di costruzione comune, di confronto e quindi sarà un lavoro fatto sottobraccio per migliorare questo tipo di aspetto.

E poi c’è il consumatore che è la chiave di volta. Riuscire a sensibilizzare il consumatore, di fatto, è come stimolare la competizione positiva tra tutti quanti gli attori. Perché è chiaro, se io torrefattore so che se il mio imballaggio in qualche maniera è più riciclabile, oppure se la mia capsula o la mia cialda è meno impattante nei confronti degli effetti serra, dell’inquinamento, e questo è apprezzato dal consumatore, probabilmente venderò di più, sarò più stimolato e stimolerò ancora di più i miei fornitori.

Tutto questo potrebbe essere un percorso molto virtuoso, però c’è un problema: forse siamo un po’ agli albori di questo tipo di questioni e bisognerebbe fare un attimino più sistema, perché parlo da consumatore (e magari ne capisco pure qualcosa di più), e perché oltre ad essere un consumatore, sono anche un produttore.

A volte ti trovi confezioni con dei simboli incomprensibili, leggi regolamenti che cambiano di Comune in Comune, quindi magari questo oggetto potrebbe essere riciclato nella plastica a Canicattì e non essere riciclabile a Milano o viceversa; sto facendo degli esempi”.

La confusione nel riciclo secondo Renda

“C’è confusione e questo cosa comporta? Porta a peggiorare la qualità del riciclato, il quale è più difficile da immettere sul mercato e quindi tutto questo tende a indebolire il virtuosismo e a fare sì che, alla fine, ci si muova in questo mare magnum di poca chiarezza, che potrebbe essere con pochissimi sforzi migliorata.

Giusto una chiave di pensiero, che non è assolutamente una proposta, non sono assolutamente all’altezza di portare proposte in un mondo così articolato; perché mettere il triangolino per dire PE, PL, alluminio, soprattutto per quei materiali che sono composti da diverse tipologie, diverse nature, materiali diversi?

Ad esempio, tutti quanti conosciamo il triplice poliestere, allumino, polipropilene, e che è normalmente utilizzato per il confezionamento del caffè: lì ci sono due tipi di plastica e l’alluminio.

Purtroppo i Comuni non possono avere tutte quante le stesse chiavi tecnologiche nel riciclo, perché ci sono impianti più o meno tecnologicamente avanzati, magari c’è un Comune che è più forte a riciclare l’alluminio o un Comune che è più specializzato nel riciclare la carta.

In genere gli elementi da riciclare sono 6. Basterebbe creare una griglia dove si evince il livello tecnologico di riciclo di ognuno dei 6 elementi, per ogni comune”.

Migliore è la tecnologia di riciclo del comune, più alto sarà il numero per quel determinato elemento.

Questo livello tecnologico dovrebbe essere pubblico, e riportato sui cassonetti del riciclo.
I produttori alimentari a loro volta, indicheranno sulle loro confezioni il tipo di elemento, e il livello tecnologico minimo necessario.

Se il livello indicato sull’imballaggio è di un numero superiore al livello indicato dal Comune, quell’imballaggio dovrà essere gettato nell’indifferenziata.

E così facilmente comprensibile che i Comuni più virtuosi saranno stimolati a migliorare le loro tecnologie di riciclo, per aumentare i loro indici di livello tecnologico, di dominio pubblico, e facilmente confrontabili tra un Comune e l’altro.

I produttori saranno, dal canto loro, stimolati a rendere più riciclabili i loro imballaggi, per dichiarare un indice di livello tecnologico necessario più basso, in una sana competizione tra un produttore ed un altro.

Questo meccanismo stimolerebbe la competizione tra i comuni e tra i produttori. Investimenti semplici porterebbero ad un grande vantaggio dal punto di vista economico per tutti quanti. Considerate che ogni anno in Italia vengono utilizzati 13 milioni di tonnellate di materiali da imballaggio: non è una montagna, è di più.

C’è un buon livello di riciclo per i prodotti. Gli elementi da riciclare sono sei: carta, vetro, plastica, legno, alluminio, acciaio.

La plastica è quella che ha il tasso di riciclo più basso per un semplice motivo: è quella che normalmente si presta di più a composizioni articolate e allora le persone sono nel dubbio, quelle informate buttano nell’indifferenziato, quelle non informate la plastica, anche se magari si tratta di una plastica particolarmente inquinata da elementi esterni”.

Una maggiore chiarezza nei confronti dell’industria e del consumatore

“E che cosa succede? Che il riciclo viene vanificato perché è contaminato il risultato, quindi l’industria che dovrà acquistare quel prodotto riciclato rimarrà più riluttante, e quindi il materiale in questione è veramente di scarso interesse.

Oppure, alla fine, se il riciclatore non riesce a ricollocare sul mercato quel materiale, è costretto a mandarlo all’inceneritore e a termoconvertirlo, il che è molto dannoso.

Se si riuscisse a dare chiarezza dei regolamenti per noi dell’industria, per la chiave di utilizzo del consumatore, tutto questo potrebbe portare un virtuosismo pazzesco in termini economici e di competizione, di miglioramento tecnologico per tutti gli addetti al settore”.

Caffè Borbone vince i Brands Award con Macinato Miscela Nobile e Crema Fredda

0
crema fredda caffè borbone
Crema Fredda Caffè (immagine concessa)

NAPOLI – Caffè Borbone, marchio di riferimento nel business della torrefazione e del caffè porzionato, vince i Brands Award nella categoria Alimentari confezionati con il caffè Macinato Miscela Nobile e nella categoria New Entry 2023 con Crema Fredda Caffè. Il riconoscimento istituito da GdoWeek e Mark Up premia i prodotti con le migliori brand performance attraverso criteri oggettivi che tengono in considerazione sia i consumatori finali sia il retail moderno analizzando i dati forniti da Circana.

Caffè Borbone trionfa ai Brand Award

Caffè Borbone propone un’offerta differenziata che spazia dalle miscele disponibili in cialde compostabili e capsule al macinato, fino ad arrivare a prodotti unici come Crema Fredda Caffè per stare al passo con l’evolversi degli interessi e delle abitudini dei consumatori e per continuare a stupirli, sempre nel rispetto dell’ambiente che contraddistingue l’impegno della divisione Ricerca & Sviluppo in tema di sostenibilità.

Francesco Garufi, direttore commerciale retail Italia di Caffè Borbone: “I Brands Award rappresentano un riconoscimento importante per noi, soprattutto la vincita in due diverse categorie che confermano il nostro impegno nell’offrire un’ampia scelta ai consumatori”.

Garufi continua: “La Miscela Nobile è una garanzia per i clienti più affezionati, la più amata e importante della linea, mentre Crema Fredda Caffè invita ad assaporare l’espresso con nuove sfumature di gusto”.

Crema Fredda Caffè, inserita nella sezione New Entry 2023, la sessione dei Brands Award nata per dare visibilità̀ alle novità̀ di prodotto presenti sul mercato della GDO, è la prima crema al caffè da consumare fredda, senza lattosio e senza glutine, pensata per l’uso domestico grazie al pratico brick contenente sette porzioni.

Con la vincita del premio di categoria Prodotti Esistenti – Alimentari Confezionati il Macinato Miscela Nobile, dal carattere vigoroso e dall’aroma intenso, si conferma così tra i prodotti del settore più apprezzati dai consumatori.

La scheda sintetica di Caffè Borbone

Caffè Borbone è un marchio di Caffè Borbone S.r.l., azienda nata nel 1997 tra i principali produttori specializzati in cialde e capsule sul territorio nazionale ed internazionale. Leader assoluto nel comparto delle cialde in Distribuzione Moderna, sia in termini di quota val. % sia di vendite a Valore in mil Eur (cfr. Nielsen IT Distr. Moderna). Caffè Borbone occupa una delle primissime posizioni nel mercato del caffè porzionato. Nel 2018 entra nel capitale sociale Italmobiliare, una delle principali investment holding italiane, con il 60% delle quote mentre il 40% rimane al fondatore Massimo Renda.

L’azienda rappresenta un caso di crescita esemplare, grazie anche al costante investimento in Ricerca & Sviluppo che ha portato alla realizzazione di prodotti innovativi come la cialda compostabile 100%, l’incarto totalmente riciclabile nella raccolta della carta e la capsula compostabile Don Carlo che, gradualmente, hanno conquistato i consumatori sempre più attenti all’ambiente. Per maggiori informazioni basta cliccare qui.

Barry Callebaut, rischio chiusura per la torrefazione di cacao perugina: contrari i sindacati

0
Barry callebaut cioccolato unilever
Il logo di Barry Callebaut

Nei mesi scorsi era stato annunciato da parte della multinazionale Barry Callebaut un investimento sull’impianto di Perugia pari a circa un milione e mezzo di euro. La direzione aziendale sembra però aver fatto dietrofront affermando che la nuova governance di Barry a livello europeo avrebbe deciso di non mantenere a Perugia impianti integrati di torrefazione per una questione legata alla sicurezza alimentare.

I lavoratori e le lavoratrici esprimono preoccupazione in merito a tale scelta. Leggiamo di seguito la prima parte dell’articolo pubblicato sul portale Umbria 24.

La possibile chiusura della torrefazione di cacao Barry Callebaut a Perugia

PERUGIA – “L’impianto di torrefazione del cacao di Perugia non deve essere smantellato, esistono tutte le condizioni affinché a San Sisto si continui la storica esperienza della torrefazione”. È quanto scrivono in una nota le segreterie di Fai Cisl e Flai Cgil Umbria, insieme alla Rsu di Barry Callebaut del sito di San Sisto (Perugia), dopo l’ultimo incontro con la direzione aziendale circa il futuro dell’impianto di torrefazione.

“Nei primi anni 2000 – ricordano i sindacati – Nestlè aveva deciso la dismissione di questo impianto, ma nel 2007 Barry, con l’acquisizione del ramo d’azienda del cioccolato, aveva scommesso sulla sua valorizzazione, riavviando la torrefazione di cacao. Ad oggi San Sisto è uno degli stabilimenti in cui viene mantenuta la caratteristica di una filiera corta, che parte dalla materia prima e arriva alla trasformazione del cioccolato”.

Nei mesi scorsi, data la necessità evidente di manutenzione e su richiesta esplicita della Rsu, era stato annunciato da parte della multinazionale un investimento sull’impianto pari a circa un milione e mezzo di euro.

“Poi nell’ultimo incontro – scrivono ancora Flai, Fai e Rsu –  la direzione aziendale ci ha comunicato che la nuova governance di Barry a livello europeo avrebbe deciso di non mantenere nello stesso sito impianti integrati di torrefazione e trasformazione, per una questione di sicurezza alimentare. Pertanto c’è stato comunicato che a seguito di questa decisione è intenzione di Barry dismettere la torrefazione a Perugia, benché non sia stato dato un orizzonte temporale certo, motivazioni concrete e modalità operative”.

Per leggere la notizia completa basta cliccare qui

Aeroporto Roma Fiumicino: inaugurata nuova area Food del Terminal 1 con illycaffè

0
aeroporto roma fiumicino
Roma Fiumicino (immagine: Pixabay)

L’Aeroporto di Roma Fiumicino Leonardo da Vinci, premiato come miglior aeroporto d’Europa per la quinta volta in sei anni da ACI Europe, ha inaugurato il 5 luglio la nuova area Food & Beverage del Terminal 1 dell’area A: un altro tassello del progetto di riconfigurazione del Terminal inaugurato lo scorso aprile. Dal caffè pasticceria Alemagna a illy caffè con il cold brew air show di Giorgio Facchinetti: l’offerta valorizza il patrimonio enogastronomico italiano. Leggiamo di seguito la prima parte dell’articolo di Luca Gorrasi pubblicato sul portale d’informazione WeTravel.

L’area Food del T1 dell’Aeroporto di Roma Fiumicino

ROMA – Otto nuovi format, presentati il 5 luglio in collaborazione con Autogrill, Lagardère Travel Retail Italia e Venchi, che si sviluppano in un’area di circa 2.000 metri quadrati e che vanno ad affiancarsi all’offerta già disponibile, ad insegna Eataly, operativa da poco più di un anno. Questa offerta addizionale è focalizzata prevalentemente sul servizio al tavolo con concept che valorizzano il patrimonio enogastronomico italiano e internazionale.

Una vasta gamma di possibilità e atmosfere diverse oggi per gli ospiti e i clienti dei nuovi punti di ristorazione, presentati in un percorso inedito fatto di degustazioni, animazioni e DJ Set: dal caffè pasticceria Alemagna, al Berlucchi Franciacorta Sparkling Bar, dalla birreria con cucina Doppio Malto, alla pizzeria Farinella, dove si è esibito il pizzaiolo acrobatico campione del mondo Nicola Matarazzo, da illy caffè, con il cold brew air show di Giorgio Facchinetti, al casual dining restaurant Sophia Loren, che ha visto la partecipazione dello chef Gennaro Esposito, fino al ristorante nippo-brasiliano Temakinho e alla Chocogelateria Venchi con Giovanni Battista Mantelli, anima creativa del brand.

La grande piazza dell’Area A, nata per proporsi come luogo di incontro e socialità per i passeggeri, dove trascorrere piacevolmente il tempo a disposizione, diventa così un’area al cui interno si può trovare anche il meglio della cultura enogastronomica italiana e non solo, con circa 4.000 mq ai quali si aggiungono oltre 2.000 metri quadrati dedicati alle lounge.

Un totale di 6.000 mq pensati per l’ospitalità dei passeggeri: la superficie di un campo di calcio, visibile dall’intera infrastruttura e facilmente accessibile da diversi punti di ingresso. A queste iniziative si aggiungono quelle relative allo shopping che nei mesi scorsi hanno visto l’apertura del più grande Duty Free a livello globale di Lagardère Travel Retail Italia su 3.000 mq, della Galleria commerciale con oltre 20 punti vendita a cui si aggiungeranno nel corso dei prossimi 12 mesi ulteriori 4.000 mq per ampliare la gamma dell’offerta.

Per leggere la notizia completa basta cliccare qui

Il consumo di caffè amaro accelera il metabolismo, combatte lo stress ossidativo

0
Una classica tazzina di espresso (immagine: Pixabay)

Una recente ricerca scientifica ha svelato nuovi aspetti e benefici che si celano dietro il consumo del caffè amaro che includono un maggiore effetto antiossidante e un acceleramento del metabolismo. Leggiamo di seguito la prima parte dell’articolo pubblicato sul portale Microbiologia Italia.

I benefici del caffè amaro

MILANO – La ricerca condotta ha analizzato l’effetto del gusto amaro del caffè sulla salute umana. Lo studio ha coinvolto un campione di 500 partecipanti di età compresa tra 18 e 65 anni. I partecipanti sono stati divisi in due gruppi: uno che consumava caffè amaro regolarmente e un gruppo di controllo che preferiva il caffè dolce o con l’aggiunta di zucchero.

I risultati dello studio hanno rivelato che il caffè amaro offre una serie di benefici sorprendenti per la salute. Ecco alcuni dei principali risultati emersi:

  1. Miglioramento del metabolismo: Il caffè amaro sembra avere un effetto positivo sul metabolismo, accelerando la velocità con cui il corpo brucia calorie e promuovendo la perdita di peso.
  2. Riduzione del rischio di malattie: Il consumo regolare di caffè amaro è associato a una riduzione del rischio di sviluppare malattie croniche come il diabete di tipo 2, le malattie cardiache e alcune forme di cancro.
  3. Effetto antiossidante: Il caffè amaro contiene una maggiore quantità di antiossidanti rispetto al caffè dolce. Gli antiossidanti aiutano a combattere lo stress ossidativo nel corpo e a prevenire danni cellulari.
  4. Promozione del benessere mentale: Alcuni studi suggeriscono che il caffè amaro possa contribuire a migliorare l’umore, ridurre il rischio di depressione e favorire una maggiore concentrazione e attenzione.

Come apprezzare il caffè senza zucchero

Sebbene il caffè amaro possa non essere gradito da tutti, ci sono alcune strategie per imparare ad apprezzarne il sapore distintivo. Ecco alcuni suggerimenti per godersi il caffè amaro:

  • Prova diverse varietà di caffè: Esistono diverse varietà di caffè con sapori e aromi unici. Sperimenta diverse miscele e origine del caffè per trovare quella che più si adatta ai tuoi gusti.
  • Gradualità nell’abituarsi al sapore: Se sei abituato a bere caffè dolce, puoi iniziare a ridurre gradualmente la quantità di zucchero o dolcificante che aggiungi alla tua bevanda. In questo modo, consenti al tuo palato di adattarsi al sapore amaro del caffè.

Per leggere la notizia completa basta cliccare qui