La parità di genere nella ristorazione (immagine concessa)
ROMA – “Il riconoscimento della parità di genere è entrato anche nel mondo della ristorazione, con l’ottenimento della prestigiosa certificazione, per la prima volta, da parte di una delle realtà più importanti dell’intero comparto, il Gruppo Aimo e Nadia”. CosìValentina Picca Bianchi, presidente del Gruppo Donne Imprenditrici di Fipe-Confcommercio, ha commentato l’assegnazione della Certificazione della parità di genere Uni/PdR 125 prevista dal Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (Pnrr), al Gruppo Aimo e Nadia, composto da ristoranti come Il Luogo (2 Stelle Michelin), BistRo Aimo e Nadia e il ristorante caffetteria Voce Aimo e Nadia.
Fipe per la parità di genere nella ristorazione
Picca Bianchi continua: “Quello del Gruppo Aimo e Nadia rappresenta un bellissimo segnale per tutto il settore, per i ristoratori e le ristoratrici che ogni giorno si impegnano per promuovere all’interno delle loro attività la diversità, l’inclusione, l’eguaglianza e il rispetto”.
“Si tratta di un traguardo – ha spiegato Picca Bianchi – che non simboleggia di certo un punto di arrivo, piuttosto l’inizio di un percorso che da qui in avanti dovrà necessariamente portare al riconoscimento dell’impegno di moltissime imprese che, con dedizione e misure concrete, stanno trasformando le loro attività in luoghi di inclusione, equità e valorizzazione delle professionalità femminili, generando un significativo impatto sociale per il territorio in cui operano”
Picca Bianchi conclude: “Come presidente del Gruppo Donne Imprenditrici di Fipe ribadisco il supporto della Federazione a questo tipo di iniziative, con l’obiettivo di favorire la creazione di una rete sempre più numerosa di realtà in grado di garantire alle donne, lavoratrici o imprenditrici, pari opportunità di successo e realizzazione nella loro vita professionale”.
Davide Comaschi, maestro cioccolatiere, spiega come riconoscere un cioccolato di alta qualità. Secondo il maître chocolatier, il prodotto “non dev’essere scuro, ma mogano, e il sapore non dev’essere amaro: sono due fattori sinonimo di non qualità”. Leggiamo di seguito la prima parte dell’articolo di Annalisa Colavito pubblicata sul quotidiano Tag 24.
Come capire se il cioccolato è di qualità?
MILANO – Come capire se il cioccolato è di qualità? Fondente, bianco, al latte, alle nocciole, coi cereali: quale di questi si avvicina di più all’eccellenza e perché? C’è chi ne consuma perché fa bene all’umore e chi perché acquista prodotti a base di cioccolato: a quale delle due categorie appartenete?
“Siamo il quinto Paese d’Europa per consumo, ma a differenza del Nord Europa, dove acquistano cioccolato puro perché hanno una cultura diversa, noi scegliamo prodotti a base di cioccolato – ha spiegato Davide Comaschi, a Italiani Mambo, su Radio Cusano Campus – è una cultura che può cambiare con una comunicazione mirata.”
“Il colore non dev’essere scuro, ma mogano, e il sapore non dev’essere amaro: sono due fattori sinonimo di non qualità. L’amaro è un difetto del cioccolato – ha aggiunto Comaschi – quando mangiamo il cioccolato se la sensazione è di voler bere non va bene, mentre il sentore di rotondità in bocca fa bene, vuol dire che il cacao è stato lavorato bene: dalla tostatura alla lavorazione.”
Dobbiamo imparare a degustare il cioccolato, come il vino
“Non c’è mai stata la cultura del cioccolato, a differenza del vino dove un’etichetta è buona perché l’anno sentita da altri, o perché l’hanno vista. Sul cioccolato c’è scarsa conoscenza. E’ importante fare cultura nel mondo del cioccolato, tra dieci, vent’anni, se facciamo capire qual è il valore aggiunto diventa un prezioso patrimonio per i cittadini che non conoscono la materia prima, ma sono abituati a mangiarlo – ha sottolineato Comaschi – il vino non lo bevi come l’acqua, lo degusti, per il cioccolato dev’essere la stessa cosa.”
Per leggere la notizia completa basta cliccare qui.
BOLOGNA – Il Gruppo IMA, leader mondiale nella progettazione e produzione di macchine automatiche per l’imballaggio, ha annunciato che BDT & MSD Partners, banca d’affari creata per soddisfare le esigenze specifiche di imprenditori e investitori strategici a lungo termine, con legami con miliardari tra cui Warren Buffett, ha stipulato un accordo definitivo per effettuare un investimento di minoranza nella Società attraverso i suoi fondi affiliati.
BDT & MSD Partners acquisirà la sua posizione da BC Partners, un’importante società di investimento internazionale, e da altri investitori. La famiglia Vacchi rimane il proprietario di maggioranza di IMA.
Il Financial Times ha riportato che tale operazione ha valutato 6,5 miliardi il gruppo che produce macchine automatiche per l’industria farmaceutica, cosmetica e alimentare.
Fondata nel 1961, l’offerta di IMA comprende macchine automatiche per il trattamento e il confezionamento di prodotti farmaceutici, dispositivi medici, cosmetici, tè, caffè, altri prodotti alimentari e soluzioni per la mobilità elettrica, oltre a soluzioni per l’automazione dei processi industriali.
L’azienda è presente in oltre 80 Paesi e gestisce 53 impianti di produzione, che le consentono di servire una solida base di clienti blue-chip in Europa, Nord America, Sud America, Asia e Medio Oriente. IMA ha una base installata di circa 60.000 macchine e attualmente detiene più di 3.000 brevetti e domande di brevetto. Nel 2022 l’azienda ha registrato un fatturato di circa 2 miliardi di euro.
“Questo investimento da parte di BDT & MSD Partners consentirà a IMA di avviare una nuova fase di crescita e di svolgere un ruolo di leadership nella transizione verso materiali di imballaggio sostenibili. I nostri clienti sono orientati a ridurre al minimo il loro impatto ambientale e noi ci impegniamo a fornire una nuova generazione di soluzioni di imballaggio affidabili e innovative”, ha dichiarato Alberto Vacchi, presidente e amministratore delegato di IMA. “Riteniamo che la visione a lungo termine di BDT & MSD e la sua profonda esperienza nel sostegno alle imprese familiari la rendano un partner ideale per aiutarci a raggiungere questi obiettivi e ad accelerare la crescita globale, anche nel mercato statunitense”.
Alberto Vacchi ha proseguito: “BC Partners è stato un vero e proprio partner strategico, in grado di fornire una leadership di pensiero attraverso le sue intuizioni settoriali e la sua mentalità da socio-operatore, aiutandoci a realizzare la nostra visione. BC Partners ci ha supportato nel delisting di IMA durante il periodo turbolento della pandemia di Covid, rafforzando la nostra posizione di leadership globale e, infine, assistendoci nella selezione del giusto partner d’investimento per il nostro prossimo capitolo di crescita”.
“Guidata dalla famiglia Vacchi negli ultimi sessant’anni, IMA si è distinta come leader nel settore dei macchinari per la lavorazione e l’imballaggio a livello mondiale”, ha dichiarato Byron Trott, presidente e Co-eo di BDT & MSD Partners. “IMA ha dimostrato un’eccezionale storia di successo e riteniamo che sia ben posizionata per le significative opportunità che si prospettano nel settore. Questo investimento è emblematico della nostra strategia di punta, che consiste nel fornire capitali allineati e a lungo termine ai proprietari e ai fondatori di aziende familiari per aiutarli a raggiungere i loro obiettivi.”
“IMA vanta una solida rete di clienti di prim’ordine e un management team di lunga data e di grande esperienza, la cui gestione e il cui forte orientamento all’innovazione e alla sostenibilità delle operazioni hanno consolidato la reputazione dell’azienda come partner di fiducia e leader tecnologico”, ha dichiarato Mariafrancesca Carli, Managing Director di BDT & MSD Partners. “Siamo entusiasti di collaborare con Alberto, la famiglia Vacchi e l’intero team di IMA per sostenere la continua crescita dell’azienda”.
“Il nostro investimento in IMA dimostra la nostra capacità unica di essere il partner di riferimento per gli imprenditori e i team di gestione, sfruttando la forza della nostra esperienza settoriale e del nostro valore aggiunto operativo. Grazie al nostro sostegno, IMA si è concentrata maggiormente sulla ricerca e sviluppo, ha ampliato la sua base di dipendenti, si è posizionata come partner fondamentale per i suoi clienti e ha generato una crescita significativa e ritorni sugli investimenti. Per noi era importante aiutare la famiglia Vacchi a trovare il partner giusto per la prossima fase della sua crescita e siamo certi che BDT & MSD sia ben posizionata per farlo. Siamo grati ad Alberto Vacchi e a tutto il management team del Gruppo IMA per la loro collaborazione”, ha dichiarato Stefano Ferraresi, partner di BC Partners.
BC Partners ha collaborato con la famiglia Vacchi per portare l’azienda alla quotazione in borsa a Milano nel 2020, nel pieno della pandemia di Covid. Nel corso della co-proprietà di BC Partners, IMA ha effettuato cinque acquisizioni, ha sviluppato nuove linee di prodotti e una divisione di automazione leader a livello mondiale, ha aumentato gli investimenti in R&S del 30% e ha rafforzato la sua catena di fornitura.
Queste iniziative hanno contribuito a garantire una forte performance finanziaria, con una crescita del fatturato e dell’EBITDA rispettivamente di oltre il 50% e del 70% dal momento del delisting della società. L’IMA è ben posizionata per continuare la sua forte crescita, con un portafoglio ordini record e grazie alle interessanti condizioni di finanziamento predisposte da BC Partners.
IMA si impegna a sostenere i 17 Obiettivi di Sviluppo Sostenibile delle Nazioni Unite attraverso le proprie attività, adottando anche iniziative volte a ridurre l’impatto ambientale dei propri processi produttivi. Tra queste, IMA NoP (No-Plastic Program), che mira a introdurre materiali ecosostenibili in tutta la catena di fornitura dell’azienda, e IMA Low (Low-Impact Program), che mira a ridurre i rifiuti dell’azienda, a minimizzare il consumo di energia e acqua e altro ancora.
La chiusura della transazione è prevista per la fine del 2023, a condizione che vengano concesse le consuete approvazioni normative. La transazione è stata concepita, originata e guidata dal management team di IMA e da Poggi & Associati in qualità di lead financial advisor. Mediobanca e BofA Securities hanno agito come consulenti finanziari della Società nell’ambito della transazione. JPMorgan Chase & Co. ha fornito consulenza finanziaria a BC Partners. White & Case e FRM hanno agito, rispettivamente, come consulenti legali e fiscali del Gruppo IMA e Chiomenti come consulente legale di BDT & MSD Partners. Kirkland & Ellis ha agito come consulente legale di BC Partners.
Informazioni sul Gruppo IMA
Fondato nel 1961, il Gruppo IMA è leader mondiale nella progettazione e produzione di macchine automatiche per il trattamento e il confezionamento di prodotti farmaceutici, dispositivi medici, cosmetici, tè, caffè, altri prodotti alimentari e soluzioni per la mobilità elettrica, nonché nell’automazione dei processi industriali. In oltre 60 anni, IMA si è costruita una reputazione di partner fidato e di leader tecnologico, fornendo soluzioni e prodotti innovativi a clienti di tutto il mondo. Nel 2022 IMA ha registrato un fatturato di circa 2 miliardi di euro, di cui oltre l’86% derivante dalle esportazioni, e attualmente detiene più di 3.000 brevetti e domande di brevetto. IMA ha circa 6.900 dipendenti ed è presente in più di 80 Paesi, supportata da una rete di 30 filiali che offrono servizi di vendita e post-vendita in Europa, Nord America, Sud America, Asia e Medio Oriente. IMA si impegna a sfruttare la propria posizione per promuovere gli obiettivi di sostenibilità. Per maggiori informazioni, visitare il sito https://ima.it/en/.
Informazioni su BDT & MSD Partners
BDT & MSD Partners è una banca d’affari con una piattaforma di consulenza e investimento costruita per soddisfare le esigenze specifiche di imprenditori e investitori strategici a lungo termine. L’azienda si distingue per la sua esperienza decennale nella consulenza a livello di fondatori, famiglie e aziende, nonché per la sua base di capitale differenziata e la sua cultura di investimento allineato. I suoi fondi sono gestiti dai suoi consulenti d’investimento affiliati, BDT Capital Partners e MSD Partners. Per maggiori informazioni, visitate il sito www.bdtmsd.com.
Informazioni su BC Partners
BC Partners è una società di investimento leader con oltre 40 miliardi di euro di asset in gestione tra strategie di private equity, private debt e real estate. Fondata nel 1986, BC Partners ha svolto un ruolo attivo per oltre tre decenni nello sviluppo del mercato europeo dei buy-out. Oggi i team di investimento transatlantici integrati di BC Partners operano da uffici in Europa e Nord America e sono allineati nei nostri quattro settori principali: TMT, Healthcare, Services & Industrials e Consumer. Dalla sua fondazione, BC Partners ha completato oltre 127 investimenti di private equity in società con un valore aziendale totale di oltre 160 miliardi di euro e sta attualmente investendo il suo undicesimo fondo di private equity buyout. Per maggiori informazioni, visitare il sito www.bcpartners.com.
MILANO – Marco Poidomani, campione in carica italiano di Coffee in good spirits, ci parla, partendo dalla creazione del Coffee Spritz, della mixology a base caffè e delle sue potenziali declinazioni nei locali: un’opportunità per chi vuole proporre qualcosa di diverso anche in orario serale.
Poidomani, si sa che l’aperitivo è una fase della giornata che per un locale significa più margini: il caffè però, riesce a sfondare la barriera della colazione?
“In effetti, è veramente difficile usare il caffè nei momenti dopo la colazione, però questa sfida può diventare uno stimolo a trovare idee nuove per chi ha un’attività, che sia un classico bar o un cocktail bar. È un’occasione per arricchire l’offerta dei drink e mettere a disposizione una scelta differente.
Attualmente però, manca la giusta comunicazione per presentare queste ricette: proporre semplicemente un cocktail al caffè a un consumatore che entra, significa ricevere nella maggior parte dei casi, un no. Non è facile per un cliente italiano pensare di bere un espresso al di fuori dalla colazione. Bisogna trovare un approccio diverso, magari attraverso degli assaggi, lavorando tutti in sinergia per condividere più informazioni con l’utente finale.
Per questo dovremmo utilizzare tutti gli strumenti a nostra disposizione: non soltanto fare comunicazione con delle foto sul bancone bar o sul tavolo, ma anche proponendo degli assaggi durante una giornata dedicata a questi cocktail alternativi. Questo perché senza la degustazione non si riesce a convincere il cliente ad andare oltre alle sue abitudini. Non ci possiamo aspettare che soltanto un menù scritto faccia il lavoro, perché non è sufficiente a creare curiosità.”
Molti raccontano che dopo vari tentativi, hanno escluso il caffè dall’ora aperitivo, perché alla fine la maggioranza si rifugia nel solito amato Spritz: con il Coffee Spritz, pensa che sia possibile bypassare il problema?
“Per rispondere a questa domanda, condivido una mia esperienza sul campo, quando ho organizzato un evento utilizzando soltanto il Coffee Spritz. All’inizio chi arrivava al banco mi chiedeva il classico Spritz ed io ho comunque servito il Coffee Spritz, perché potevo preparare soltanto quello: bene, posso dire che chi lo ha bevuto è tornato per fare un secondo giro. E così ho intenzione di proseguire nelle prossime tappe, con l’Espresso tonic o il Coffee Spritz.
È tutta questione di riuscire, attraverso l’assaggio e la comunicazione, a far provare dei drink che chiaramente non sono per tutti, ma che hanno la possibilità di piacere come il resto dei cocktails.”
Poidomani, ha pensat anche ad un abbinamento con il cibo a ora aperitivo?
“Con la versione del Coffee Spritz che ho realizzato, si può partire dallo standard salato come delle bruschette, che si sposa bene al cold brew contenuto nel cocktail, oppure scegliere qualche salume che non sia particolarmente forte però. Ad esempio, ho proposto il Coffee Spritz insieme ad una base di sushi e sta andando bene.”
Il cold brew quindi è l’estrazione ideale per la mixology rispetto all’espresso?
Poidomani: “Dipende dal tipo di drink. Ad esempio se volessi creare un cocktail per l’inverno, quindi caldo, preferirei un espresso che conferisce più corpo e cremosità. Per un aperitivo invece il cold brew è la scelta preferibile, ma si potrebbe utilizzare anche il japanese cold brew che è più immediato da realizzare e si può usare più caffè senza averne preparato tanto prima.”
Un’altra questione è il prezzo: il Coffee Spritz ha un prezzo maggiore rispetto alla ricetta classica? E questo consiste in un’altra barriera per il consumatore? Come superarlo?
“Il vero obiettivo è quello di riuscire a vendere questo prodotto allo stesso prezzo dello Spritz tradizionale. Come fare? Gestendo bene la materia prima e capendo come preparare un buon cold brew, evitando gli sprechi: ho visto spesso che il cold brew viene buttato via perché non si riesce a usarlo tutto. Per ovviare al problema, ad esempio io ho acquistato una macchina sottovuoto in cui verso il cold brew liquido che in questo modo può arrivare a 6 giorni in atmosfera modificata. Si potrebbe poi anche scegliere il metodo del japanese cold brew, e raffreddare con un bypass evitando di buttare la materia prima.”
E come convincere anche i baristi a puntare sulla mixology con il caffè? Anche considerando che per usare il caffè – in cold brew in questo caso – ci vuole investimento in attrezzature e formazione del personale?
“Questo è un discorso che è possibile estendere anche agli specialty. L’Italia ha bisogno di tempo per avviarsi ad un nuovo percorso. Non tutti sono pronti, ma anche essendo in pochi resta un buon inizio. Dietro ci vuole studio per poterlo servire correttamente e attrarre il consumatore. Oggi però sono tanti i cocktail bar e gli speak easy che mi contattano per esplorare insieme l’abbinamento del caffè in mixology.
E poi oggi sono sempre di più le nuove leve che iniziano a sperimentare e si formano, hanno voglia di studiare e provare. E questi ragazzi faranno a loro volta assaggiare le loro ricette: questo aiuterà di conseguenza la Sca a svilupparsi anche in questo ambito.”
Poidomani, ha pensato ad un bicchiere particolare per servire il suo Coffee Spritz?
“Effettivamente sono un amante di bicchieri e spesso me li faccio realizzare appositamente. Nel caso specifico del Coffee Spritz tuttavia, l’idea era quella di realizzare qualcosa di fresco per l’estate che fosse accessibile a tutti. Quindi, anche se ci sono elementi come il cold brew che risultano una novità per il cliente, non ho scelto bicchieri particolari. Ho mantenuto questa estrazione alternativa perché volevo che restasse uno stimolo ulteriore ad approfondire il discorso con il barista: la mia è una ricetta interattiva.”
Altre ricette classiche dell’aperitivo che si prestano a una riformulazione a base caffè?
“Con il caffè estratto bene si può fare qualsiasi tipo di twist dei classici, dal Negroni all’americano. L’importante è studiare prima di far uscire una carta menù: ci vogliono test, assaggi, per regalare un drink piacevole al palato.
Mi piace realizzare cocktail che non abbiano una percentuale alcolica altissima ed il mio obiettivo è sempre far riconoscere tutti gli ingredienti nel bicchiere. È tutto uno sperimentare di abbinamenti di caffè diversi e ingredienti diversi.”
Poidomani, un ultimo consiglio per chi vuole prepararsi un Coffee Spritz: che caffè consiglia?
“Consiglio uno specialty naturale con un buon corpo e dei sentori di frutta matura, e note di cacao che arricchiscono il drink.
MILANO – Multa record di oltre 3 milioni di euro, in Lussemburgo, per l’importatore di caffè e tè Peter Hennen. A comminare la sanzione è stata l’Autorità garante della concorrenza del Granducato, che ha così punito la pratica anticoncorrenziale posta in essere da parte dell’azienda. Secondo un comunicato diffuso dall’Autorità, tale condotta si è protratta “da almeno il maggio del 2015, sino all’8 dicembre del 2020 nei confronti di 22 distributori situati in Lussemburgo, lungo la frontiera tedesca, per fissare un prezzo minimo di vendita del caffè fornito direttamente o per il tramite di grossisti”.
Perquisizioni e sequestri attuati nei locali delle società del gruppo Peter Hennen, nonché numerosi colloqui intercorsi con altre imprese e persone fisiche, hanno convinto l’Autorità del sussistere di un’intesacon 13 distributori.
Tra questi, l’azienda PC-Tank, che gestisce la rete delle stazioni di servizio Esso, non ha subito alcuna sanzione per avere collaborato all’inchiesta.
L’azienda ha infatti ammesso di “avere partecipato a un’intesa verticale sul prezzo di rivendita al dettaglio del caffè fornito da Peter Hennen, sul territorio del Granducato del Lussemburgo e per un periodo che è andato da almeno il 2002 sino al 23 marzo 2021”.
Fine mese con i botti per l’IceArabica. Nell’ultima seduta di luglio, il contratto principale della borsa newyorchese ha chiuso infatti al rialzo di 665 punti, a 164,55 centesimi, livello massimo dalla fine di giugno.
La corsa è proseguita ieri, martedì 1° agosto, a un nuovo massimo giornaliero di 167,40 centesimi, ma l’indebolirsi della moneta brasiliana ha indotto delle parziali prese di beneficio, che hanno spinto al ribasso il benchmark.
Contenuto riservato agli abbonati.
Gentile utente, il contenuto completo di questo articolo è riservato ai nostri abbonati.
Per le modalità di sottoscrizione e i vantaggi riservati agli abbonati consulta la pagina abbonamenti.
Barbara dietro il banco de La Teiera Eclettica (foto concessa)
MILANO – Anche in Italia, dove si predilige l’espresso, il tè è una passione che unisce diversi consumatori: a rispondere a questa domanda, c’è anche Barbara, che con la sua sala da tè e shop milanese, La Teiera Eclettica, ha messo a disposizione di curiosi e appassionati, la sua esperienza sul campo. Conoscere la sua storia è anche approfondire la conoscenza della bevanda.
Lei ha scoperto il tè e la sua cerimonia in America: lì la conoscenza e il consumo di questa bevanda è diversa rispetto a quello che ha visto in Italia?
Racconta Barbara: “Ci riferiamo a una realtà di ormai 25 anni fa, quando sicuramente in Italia il tè era meno conosciuto e consumato rispetto ad altri paesi sia europei che statunitensi. In questi ultimi, la presenza già allora di comunità orientali, sia giapponesi che cinesi era maggiore cha da noi, soprattutto sulla costa orientale. E questo ha determinato una maggiore diffusione della bevanda.
Ci sono fenomeni diversi in termini di consumi che si imparano addentrandosi nella materia prima: ad esempio non molti sanno – ed è un fatto a pensarci curioso – che il Marocco è il primo paese di importazioni di volumi dalla Cina per fare il tè alla menta, ha una cultura fortissima locale, nonostante non sia un paese produttore.
Finalmente negli ultimi anni, c’è stato interesse crescente verso il tè anche in Italia tra i consumatori finali e anche tra i ristoratori.”
Com’è arrivata all’idea di aprire una shop e sala da tè come La Teiera Eclettica a Milano e come ha deciso la location?
“Il progetto iniziale de La Teiera Eclettica era proprio quello di aprire una sala da tè, poi per fortuna ho preferito aprire prima il negozio per la vendita del tè e solo dopo un po’ di anni ho aggiunto anche la sala. Il negozio aperto nel 2004 era in Piazzale Bacone, una zona molto residenziale facilmente accessibile con i mezzi di trasporto – la fermata Lima della metro linea 1 era a pochi passi –in un’area in cui non erano presenti già altri negozi che vendevano tè.
Stiamo parlando di 20 anni fa, quando chi cercava il tè sfuso era disposto a muoversi nella città per acquistare il proprio prodotto preferito e i negozi di tè ai tempi erano veramente pochi. Dieci anni fa abbiamo trovato l’attuale location, non tanto lontana dal negozio originale ma molto più centrale, in una via che dopo qualche anno dal nostro arrivo ha visto l’esplosione di locali con offerta di bevande e cibi.
Nella sala da tè (foto concessa)
Quello che ci ha colpiti della nostra attuale sede, è stato il modo in cui è disposta: si entra nel negozio dove è possibile fare acquisti ma se si desidera fermarsi a bere un tè, la sala si affaccia sul cortile interno, uno spazio luminoso con quattro finestre lontana dai rumori della strada. Per gli arredi ci siamo ispirati al Giappone, alle stanze per la cerimonia del tè con pochi elementi ornamentali selezionati con cura in modo da non distogliere l’attenzione dalla bevanda. “
Ha viaggiato molto all’estero nelle terre di produzione: che cosa ha visto nelle piantagioni, cosa ha trovato?
“È stato fondamentale per il mio percorso formativo vedere direttamente non solo le piantagioni ma soprattutto gli impianti produttivi per capire come avviene la lavorazione delle foglie per le diverse tipologie di tè. Sono stata più volte sia in Cina – il paese che produce tutte le tipologie di tè e al primo posto per la produzione mondiale in termini di quantità – che in Giappone, paese che mi ha da sempre affascinata per i rituali legati alla preparazione del tè.
Il rapporto diretto con i produttori mi ha fatto capire tutto il lavoro che c’è dietro a una tazza di tè, e apprezzare ancora di più questa bevanda.
In Cina, in piantagione (foto concessa)
Mi ha colpito particolarmente il processo di lavorazione delle foglie dopo che sono state raccolte. Un’altra cosa interessante è emersa dal confronto di persona con il produttore conosce bene il suo prodotto e questo può stravolgere le certezze che una persona come me può avere su quale sia il modo migliore di preparazione.
È vero che il tè si può preparare in modi diversi e si può adattare al gusto personale, ma è soggetto a diversi gradi di conoscenza, partendo dalla semplificazione per chi lo deve preparare al bar, sino alla comprensione che può averne uno specialista.
Ci sono poi degli abbinamenti anche da proporre tra il tè e il cibo ma non è proprio una novità: se si pensa anche solo all’English breakfast, si accompagnava la bevanda con salsicce e uova. Oppure in Tibet il tè era una bevanda salata, come una sorta di zuppa. Gli esempi del passato ci sono e sono validi tutt’ora. In Giappone, l’ocha zuke, il riso avanzato in una ciotola con pezzi di salmone e verdure viene messo insieme al tè per amalgamare il tutto.”
Qual è la logistica tramite cui lei riesce ad approvvigionarsi per La Teiera Eclettica?
“Abbiamo selezionato alcuni distributori europei da cui acquistiamo tè prevalentemente
aromatizzati, come Mariage Frères di Parigi con cui lavoriamo fin dall’apertura. Anno dopo anno, da una parte l’aumento del numero di clienti dall’altra la conoscenza diretta dei produttori di tè ci hanno consentito di rifornirci direttamente nei paesi produttori. Non è stato semplice all’inizio capire tutta la documentazione richiesta dalla dogana italiana per l’importazione del tè ma con il supporto di spedizionieri specializzati siamo riusciti nel nostro intento. Ogni anno assaggiamo moltissimi campioni di tè che riceviamo dai produttori e selezioniamo quelli che desideriamo proporre ai nostri clienti. “
Ci racconta il tè più pregiato che tiene in negozio a La Teiera Eclettica e quanto costa?
“In questo momento il tè più pregiato che abbiamo in vendita è un oolong taiwanese di cui sono stati prodotti solo 2,5 kg nel 2022, dei quali abbiamo in vendita solamente 1kg in bustine numerate da 10g l’una che vendiamo a 18 euro. È un tè con un profilo aromatico molto articolato ed elevata persistenza con le stesse foglie si possono fare anche una decina di infusioni!
Il metodo ideale per prepararlo è il GongFuCha cinese: suggeriamo di utilizzare 5g per 80ml di acqua, se si preparano anche solo 6 infusioni con le stesse foglie alla fine si beve quasi mezzo litro di un tè specialissimo! Un altro tè pregiato che proponiamo in questo periodo è un tè oolong shuixien invecchiato naturalmente per 15 anni, in questo caso vendiamo bustine da 10g a 13 euro.
I barattoli ne La Teiera Eclettica (foto concessa)
Stiamo però parlando di tè davvero speciali prodotti in piccole quantità, abbiamo molti tè che vengono dagli 8 ai 12-14 euro l’etto come tè neri dallo Sri Lanka o dalla regione indiana di Assam, oppure gli Earl Grey o ancora il tè al gelsomino o alla rosa. Se consideriamo che per ottenere un litro di tè mediamente si utilizzando tra i 10 e i 15 grammi, alla fine un litro di tè buono in foglia può costare tra 80 centesimi e 1,20 euro.”
È più decisiva la vendita offline o quella online?
“Abbiamo iniziato la vendita online nel 2017, durante il periodo del covid la vendita online è
aumentata anche se per noi rimane prevalente la vendita in negozio. Il rapporto diretto con il cliente finale ci consente di capire i suoi gusti e proporre i prodotti che pensiamo possano essere più apprezzati. Abbiamo clienti affezionati sia in città che fuori Milano che ci vengono a trovare ogni volta che hanno modo di passare dalle nostre parti.
Da un paio di anni abbiamo notato un aumento di siti che vendono tè online non avendo una sede aperta al pubblico, indice che comunque la vendita online è in crescita.”
Chi entra a comprare da voi? Sono più giovani o anziani e conoscono già un po’ della materia prima o sono ancora neofiti?
“Direi che abbiamo clienti in tutte le fasce di età anche se soprattutto per la sala da tè siamo sempre piacevolmente stupiti perché notiamo che anche i giovani e giovanissimi 20-35 anni apprezzano le nostre proposte. Molti clienti arrivano a chiedere il tè sfuso perché lo consumano da anni, altri perché hanno letto qualche articolo su giornali o su internet, si sono incuriositi e desiderano capirne di più.
Dolci matcha (foto concessa)
Sono ancora moltissime le persone che entrano chiedendo “ha il tè matcha” oppure “hai il tè oolong” e si stupiscono che non esiste un unico tè matcha ma molti di diversa qualità/provenienza/gusto/prezzo così come non si aspettano che “il” tè oolong sia in realtà una delle principali famiglie di tè con tantissimi prodotti. E in questi casi il nostro ruolo è importante perché di supporto da una parte alla comprensione del mercato, dall’altra a indirizzare il cliente verso la tipologia di tè che sta cercando.”
È difficile proporre il tè in foglie ad un pubblico che normalmente pensa al tè come a quello in bustina?
“Spesso la bustina viene scelta per praticità o perché si pensa che sia il prodotto più economico disponibile. Suggeriamo spesso ai clienti abituati alla bustina a tagliarne una, guardare il contenuto e confrontarlo con il tè sfuso. Molte delle bustine sul mercato contengono microplastiche e anche quando si scelgono quelle di qualità migliore la quantità di incarto da smaltire è considerevole.
Il tè sfuso consente di
– scegliere tra decine, anzi centinaia di tipologie di tè differenti
– adattare la preparazione al proprio gusto personale
– ridurre il materiale utilizzato per il confezionamento
– riutilizzare le foglie, ad esempio per nutrire le piante oppure per eliminare gli odori dal frigo
Semplificare e velocizzare la preparazione del tè è possibile perché esistono diverse tipologie di filtri che si possono utilizzare nella tazza, nella teiera o addirittura nel pentolino che facilitano sia la preparazione che lo smaltimento delle foglie e il lavaggio del filtro.”
Riuscite a proporvi nei bar, dove di solito il tè è qualcosa di imprecisato, spesso preparato con l’acqua montata dalla stessa lancia usata per il latte?
“La preparazione del tè è un aspetto fondamentale se si sceglie un buon tè in foglia, ma si
sottovaluta anche quando si propone un tè in bustina. Al bar qualità e temperatura dell’acqua per preparare il tè sono spesso ignorati mentre sono due elementi importanti che influenzano il sapore della tazza di tè che il cliente potrà sorseggiare.
In questo settore si pongono solitamente due tipi di problemi: in primis, sicuramente l’acqua e la qualità che di solito viene erogata direttamente dalla macchina de caffè, dà un risultato diverso in tazza.
Mi è capitato proprio di recente di far comprendere questo semplice concetto a dei clienti. In effetti evitiamo in pratica di proporre i nostri prodotti ai bar, perché i risultati a fronte di molti sforzi, spesso sono deludenti. Esistono per fortuna delle eccezioni, ma sono ancora poche. La verità è che molti gestori non hanno lo spazio necessario per sistemare i bollitori graduati per scaldare l’acqua alla giusta temperatura e che sono il primo passo per preparare un buon tè.
La nostra fortuna è che i tè sono tantissimi: cerchiamo quindi di proporre una carta che si adatti alla situazione del singolo locale.
La seconda cosa problematica è la modalità di servizio: mi è capitato di trovare pinze o palline troppo piccole rispetto alle foglie da infondere. Stesso discorso per le teiere: le più semplici hanno già un filtro incorporato largo a sufficienza per far aprire le foglie e duplicare o triplicarne il volume, è fondamentale. Poi ci sono bustine fai da tè che non funzionano con i tè di fascia più alta, ma potrebbe essere una soluzione più adatta per alcune attività.
L’ultimo ma fondamentale aspetto da curare è quello del personale che cambia spesso soprattutto nei bar ed è un problema: noi diamo il prodotto, le descrizioni, la tabella riepilogativa ma poi quelle cose spariscono nel giro di poco tempo. L’importante è voler aggiornarsi e conoscere il prodotto, ma non è una cosa che è così scontata. “
Situazione un po’ diversa per i ristoranti, che hanno maggiore interesse e predisposizione a proporre tè in foglia.”
Durante gli eventi che organizzate ne La Teiera Eclettica e a quelli a cui partecipate, avete proposto degustazioni particolari, magari portando il tè in mixology oppure abbinato al cibo?
“Il mondo della mixology già da una decina di anni ha scoperto che il tè può essere utilizzato come ingrediente per cocktails originali, alcolici e analcolici (tendenza che si sta lentamente affiancando a quelli alcolici). Abbiamo molti clienti tra i cocktail bar milanesi e abbiamo collaborato in più occasioni con aziende che distribuiscono distillati per tenere insieme a loro corsi sul tè orientati proprio all’utilizzo del prodotto in mixology.
I cocktails a base tè (foto concessa)
È estremamente interessante per me lavorare con i ragazzi che creano i cocktails perché quando mi capita di aiutarli nella scelta del tè che può servire per realizzare il cocktail che hanno in mente, ognuno utilizza la propria creatività e anche quando scelgono lo stesso tè il risultato finale è sempre molto diverso… e ho il duro compito di assaggiare!
Ulteriore prova che tè e distillati sono un buon matrimonio? Alcune aziende propongono il tè come ingrediente dei loro prodotti, esempio ROKU GIN che tra le botaniche ha i tè verdi giapponesi SENCHA e GYOKURO oppure GUNPOWDER IRISH GIN che utilizza il tè verde cinese GUNPOWDER o ancora ABSOLUTE WILD TEA presente sul mercato dal 2010 che tra gli ingredienti ha un tè cinese.
Nel 2019 in collaborazione con Whisky Club Italia abbiamo proposto una degustazione di tè in abbinamento a whisky in luglio, quasi per nostro divertimento. Risultato? Dopo che il primo appuntamento è stato sold-out ne abbiamo proposto un secondo, sold-out anche quello!
Ma ci sono anche altri esempi passati avvenuti nel 2017 e ancor prima nel 2014 che è possibile prendere in considerazione sul tema.
Per quanto riguarda sia l’utilizzo del tè come ingrediente che l’abbinamento con il cibo segnalo link (qui, qui, qui) a eventi recenti ma anche lontani che abbiamo proposto negli anni.
Le collaborazioni fanno sempre nascere nuovi spunti e idee e proposte.
Cene con il tè come ingrediente, alcuni esempi: qui, qui, qui.
Il mondo del tè è davvero eclettico, interessante e in evoluzione. Si può fare tanto, basta esser percettivi. Per esempio i ragazzi della mixology sono meravigliosi: chi fa il cocktail cerca ingredienti nuovi. Vengono da noi per pensare alle ricette e chiederci la soluzione più adatta. Lavoriamo insieme per realizzare l’equilibrio migliore. Lo spazio per fare cose belle c’è: noi scegliamo i prodotti che si sposano meglio alla stagione e al locale. Teniamo in conto tutte le variabili per trovare la strada giusta.”
Quando arriva il caldo, come si trasforma il mondo del tè e come comunicarlo ai clienti?
“Con il caldo il consumo del tè in Italia diminuisce, è un dato che rileviamo ormai da molti anni. Nessuno si stupisce se mentre è in vacanza in un paese nordafricano viene servito tè caldo per dissetarsi oppure se in oriente vengono servite le zuppe calde anche in estate.
Alcuni tè si preparano a temperature basse, 50-70 gradi ad esempio, e sono appena tiepidi quando vengono serviti, molto più dissetanti di una bevanda ghiacciata.
Se si preferisce comunque un tè fresco, è molto semplice prepararlo buono e in poco tempo, bastano pochi accorgimenti: come per il tè caldo anche per quello freddo la preparazione è importante.”
Secondo lei quali sono le prossime tendenze di questo mercato?
“Con piacere abbiamo notato che negli ultimi anni sempre più ristoranti si stanno orientando verso una selezione di tè da proporre ai clienti non solo a fine pasto ma anche durante. Bubble Tea, Kombucha ma anche Sparkling Tea: il mondo del tè e del vino sempre più vicini.
Potrebbero essere dei canali per approfondire il discorso più generale sul tè, ma in realtà non sempre funzionano per incuriosire sulla bevanda. Con il Kombucha alcuni decidono di esplorare, altri invece sono richiamati soltanto dalla moda del momento. Il Bubble Tea per esempio, da Taiwan ha avuto un grosso boom in Europa: mentre negli altri paesi è una tendenza che comincia a scemare, da noi invece è ancora in crescita, soprattutto grazie alla passione dei giovanissimi.
Noi abbiamo tanti clienti di sala da tè che sono molto giovani: l’interesse nasce spesso trainato da quello per l’oriente e le culture di quei luoghi. Ancora però non c’è l’attenzione sul tè come c’è per il vino: la teiera si sceglie senza nessun tipo di criterio che non sia quello del prezzo o dell’estetica. La prima cosa invece è la funzionalità da cui non si può prescindere per il risultato finale. La preparazione è fondamentale anche quando si parla
di una bustina persino acquistata nei discount.
Per questo motivo, con ogni tè che vendiamo forniamo anche le varie modalità e istruzioni da seguire per preparare correttamente a casa. E non solo, facciamo tantissime attività di divulgazione: quando ho iniziato non c’erano enti di riferimento. Poi con Slow Food e l’Associazione culturale del tè abbiamo iniziato delle collaborazioni, ma ci interessa di più fare cultura sul tè che dare certificazioni. Quasi ogni sabato mattina facciamo degli eventi per presentare i tè che abbiamo in carta ma anche tè inediti che non abbiamo in vendita e che riteniamo interessante proporre per farli conoscere.
Ogni anno organizziamo l’evento “scegli prepara e gusta”: attraverso la selezione, la preparazione e l’assaggio, cogliamo l’occasione di parlare dei vari tè e le procedure per l’infusione. Seguiamo anche la stagionalità del tè: anche se è una pianta sempre verde, nei paesi in cui c’è maggiore attenzione per la qualità, ci sono tre raccolti all’anno (primavera, estate e autunno). Ci sono alcuni oolong che sono pronti solo in primavera e autunno e invece una famiglia particolare che matura soltanto in primavera. Addirittura ci sono regioni dell’india in cui si ottengono risultati differenti da una stagione all’altra, le stesse foglie
danno tè di sapore differente a secondo del periodo in cui sono state raccolte.”
Un gruppo di studenti in Zambia mentre si reca a scuola utilizzando bici Buffalo consegnate dal World Bicycle Relief (immagine concessa)
World Bicycle Relief, affiancata dal sostegno di Faema, intende raggiungere l’ambizioso obiettivo di donare un milione di biciclette nell’Africa rurale entro il 2025. Già a febbraio 2020 erano state consegnate 500mila biciclette in 21 Paesi diversi. Leggiamo di seguito l’articolo di Stefano Rodi per scoprire di più sull’iniziativa.
Il progetto di Word Bicycle Relief e Faema in Africa
MILANO – E’ l’obiettivo che vuole raggiungere entro il 2025 l’organizzazione Word Bicycle Relife, alla quale dall’Italia arriva il sostegno di Faema. Il 70% della popolazione vive in aree rurali con pochi collegamenti e le due ruote sono un mezzo che contribuisce a ridurre la povertà e a migliorare la qualità della vita.
Una bicicletta può cambiare la vita, soprattutto dove questa è difficile, come in molti Paesi africani o nel Sudest asiatico. E World Bicycle Relief da 18 anni sta lavorando proprio per portare questo mezzo di trasporto in paesi in via di sviluppo di tutto il mondo. A febbraio 2020, erano state consegnate 500mila biciclette in 21 paesi diversi e l’obbiettivo è quello di raggiungere il numero di un milione entro il 2025.
Tra gli sponsor che hanno deciso di dare il loro contributo per raggiungere questo obiettivo in Italia c’è Faema che per il secondo anno consecutivo offre il suo contributo a questo progetto.
Il 70% della popolazione africana vive in remote aree rurali. Spesso senza strade, acqua o elettricità. Nel solo Sudafrica, più di 500mila persone percorrono più di 12 km al giorno solo per andare e tornare da scuola.
Studi condotti in Uganda, Tanzania e Sri Lanka su centinaia di famiglie hanno dimostrato che una bicicletta può aumentare il reddito delle famiglie anche del 35%. Ciò che una strada fa a livello macro per aumentare il trasporto, la bicicletta supporta a livello micro e può quindi essere uno dei mezzi migliori per sradicare la povertà nei paesi in via di sviluppo.
Biciclette speciali
Per raggiungere questi obiettivi ci vogliono bici adatte per le strade, spesso sterrate, in cui verranno utilizzate. Il nome Buffalo, con cui vengono marchiate quelle distribuite da Wbr, non è stato dato a caso, visto la resistenza e la durata di questi modelli che pesano 23 chilogrammi, inclusi portapacchi posteriore e parafanghi e possono trasportare un carico che arriva al quintale di peso. Questa bicicletta viene realizzata in tre diverse strutture, tutte in Africa: una ad Harare, in Zimbabwe, una a Lusaka, in Zambia e una a Kisumu, in Kenya.
Le Buffalo sono modelli di biciclette adatte all’utilizzo su strade accidentate e utilizzabili per il trasporto di materiale pesante (immagine concessa)
Formazione dei meccanici
Per garantire la manutenzione delle biciclette, World Bicycle Relief ha implementato un programma di formazione, con corsi specifici per meccanici che vengono forniti di tutte l’attrezzatura necessaria. Fino a febbraio 2020 sono stati 2.300 i meccanici formati nelle loro comunità in Zambia, Zimbabwe, Kenya e Uganda.
Nel contesto di un’economia che più circolare di così non si potrebbe, il progetto di Wbr aiuta poi i meccanici ad avviare la propria attività in molti paesi dell’Africa subsahariana rurale.
Un ciclista al lavoro con una Buffalo (immagine concessa)
Istruzione
Lanciato nel giugno 2009, il programma Bicycles for Educational Empowerment (BEEP) è un’iniziativa educativa in collaborazione con il Ministero dell’Istruzione dello Zambia, sostenuta da diverse Ong internazionali. Il suo obiettivo è fornire 50.000 biciclette a scolari e insegnanti nei distretti rurali dello Zambia per migliorare l’accesso all’istruzione riducendo i tempi di viaggio.
Il 70% di queste biciclette è assegnato agli studenti, mentre il 30% è destinato a insegnanti, leader della comunità e meccanici di biciclette. I primi rapporti sul programma mostrano un aumento della percentuale di bambini che completano la scuola: 88% nelle strutture “ciclabili” rispetto alla media nazionale del 60%.
Un bambino a cavallo della bicicletta (immagine concessa)
Assistenza sanitaria
Dal 2006 al 2009, sempre in Zambia, World Bicycle Relief aveva coordinato un altro progetto per affrontare la crisi dell’Hiv/Aids, fornendo 23mila bici a volontari per l’assistenza domiciliare della comunità, educatori per la prevenzione delle malattie e famiglie vulnerabili.
Le biciclette fornite hanno consentito non solo di servire un maggior numero di persone, ma ha anche facilitato un maggiore livello di assistenza prestato a coloro che erano serviti, poiché i lavoratori hanno potuto avere visite più frequenti e avere anche un impatto più significativo nella loro interazione con i malati cronici.
Calamità naturali
In collaborazione con World Vision, Trek Bicycle e il governo locale, World Bicycle Relief ha fornito oltre 200mila biciclette in Sri Lanka a uomini, donne e bambini più bisognosi dopo lo tsunami del 2004 nell’Oceano Indiano.
Un uomo a lavoro (immagine concessa)
Il processo di selezione includeva esigenze economiche e commerciali di base, distanza dal lavoro e distanza dalle scuole. Un rapporto indipendente ha rilevato che quasi il 90% dei destinatari di biciclette ha utilizzato le proprie biciclette per guadagnarsi da vivere. World Bicycle Relief ha anche fornito biciclette alle organizzazioni di soccorso che lavoravano in Kenya per combattere la carestia del 2011.
Pedalate benefiche
Il sostegno di Faema al progetto è iniziato lo scorso anno durante il Giro d’Italia, grazie alla collaborazione con Tecnogym: tutti i visitatori dello stand trovavano le cyclette per pedalare a fine benefico.
Un uomo a lavoro con la bicicletta (immagine concesssa)
L’azienda ha poi trasformato in una donazione la distanza coperta: 120.000 chilometri grazie alla fatica di circa 5mila ciclisti. Quest’anno invece il progetto è stato esteso su Strava, app nota a tutti i ciclisti che misura le distanze percorse. Di strada ne è stata fatta tanta: 7 milioni di chilometri, grazie a un gruppo di 30mila ciclisti.
Boncafé al Thailand Coffee Fest 2023 (immagine concessa)
BANGKOK (Tailandia) – Boncafé (Thailand) Co., Ltd., parte di Massimo Zanetti Beverage Group, ha partecipato al Thailand Coffee Fest 2023 con Bon Playground, uno spazio innovativo dove gli appassionati del caffè si sono lasciati stupire da una miscela di esperienze uniche, spaziando dalla preparazione alla degustazione di un’ottima tazzina.
Boncafé presente al Thailand Coffee Fest
Durante la rassegna, Boncafé ha presentato numerose ed entusiasmanti novità, tra le quali Boncafé Classic Blend Esyen, un caffè morbido e tonificante, adatto a chi desidera mantenersi in forma.
Inoltre, presso il Bon Playground i visitatori hanno potuto interagire con numerosi partner e partecipare a diversi workshop, tra cui una interessante dimostrazione tenuta da Anthony Douglas, barista di fama internazionale e vincitore del World Barista Championship, e ancora al Cofftail Signature, vetrina di deliziosi abbinamenti di caffè e cocktail fruttati.
L’azienda ha inoltre proposto un interessante forum durante il quale esperti coltivatori di caffè tailandesi hanno condiviso la loro vasta conoscenza, illustrando al pubblico numerosi aspetti di questa preziosa pianta, ponendo particolare attenzione al tema della sostenibilità.
La fila per il gelato da Don Peppinu (immagine concessa)
CATANIA – La storica gelateria artigianale siciliana Don Peppinu è stata inserita tra le 100 migliori gelaterie di tutto il mondo da TasteAtlas, guida online di viaggio esperienziale nel mondo del cibo, diventata un vero e proprio faro per il settore. Guidata oggi da Peppe Flamingo, mastro gelatiere e nipote dello storico fondatore, Don Peppinu dal 1960 è sinonimo di gelato artigianale di altissima qualità, ed oggi ha 8 botteghe, 7 in Sicilia (a Catania, Ortigia, Marzamemi, Marina di Ragusa, Ragusa, Marina di Modica, Marzapani), e una negli States a Hollywood (Miami).
Don Peppinu inserita tra le 100 migliori gelaterie del mondo da TasteAtlas
Negli anni è diventata un punto di riferimento per gli amanti del vero gelato artigianale, ben oltre i confini regionali. Il segreto? Solo le migliori materie prime, niente polverine, coloranti o aromi artificiali.
Qui la cremosità del gelato è data dalle dosi, meno latte e più panna, e il gusto è esaltato perché tutti gli ingredienti principali vengono dosati al doppio. Dai pistacchi alle fragoline dell’Etna fino ad arrivare agli agrumi biologici di Siracusa passando al cioccolato di Modica, alla mandorla di Avola e chiudendo con la ricotta agrigentina e i cannoli palermitani.
Moltissimi i gusti che hanno reso Don Peppinu una delle gelaterie più amate del mondo, da quelli più classici, legati alla tradizione siciliana, come il pistacchio salato, fatto solo con pistacchi di Bronte DOP, a quelli più particolari, come il “Signor Calacauso”.
“Siamo davvero onorati di essere stati inseriti in questa guida prestigiosa. Significa che il pubblico apprezza quel che facciamo e il nostro impegno nel tener vivi i sapori della tradizione. – commenta Peppe Flamingo – Si è vero, ci costa molto di più fare un gelato così ricco, ma si sa, noi siciliani non siamo mai stati bravi imprenditori, forse per quello siamo eccellenti pasticceri!”.
Il gelato di Don Peppinu è particolarmente amato, e sempre più clienti al di fuori della Sicilia chiedevano di poterlo averlo a casa propria. Per questo motivo, all’inizio dell’estate la gelateria ha lanciato “acasamia” un particolare servizio di delivery dei suoi prodotti in tutta Italia, inviando un kit completo di strumenti ed ingredienti.
Ma Don Peppinu non è solo gusto, è anche solidarietà, per questo ha lanciato l’iniziativa Gelato sospeso, che durerà per tutti i mesi estivi. Come già accade a Napoli per il caffè sospeso, in cui si può lasciare pagato un caffè a disposizione di chi vorrebbe prenderlo, ma non può permetterselo, Don Peppinu farà lo stesso in tutte le sue botteghe, contribuendo anche in prima persona a questa maratona di solidarietà.
Chi vorrà potrà lasciare un cono bimbo in sospeso, ma anziché pagarlo 2 euro, lo pagherà solo 1 euro. La differenza la metterà l’azienda stessa.
“Sappiamo che questo non è che un piccolo gesto, ma speriamo che per qualche bambino possa essere un gesto importante, e donare loro un sorriso e un momento felice. – Aggiunge Peppe Flamingo – Soprattutto oggi, che la nostra terra sta vivendo un momento così difficile, alle prese con incendi e moltissime persone che si trovano in difficoltà, questo piccolo gesto ci sembra più che doveroso”.
MILANO – L’associazione tra il consumo di caffè e i livelli della pressione arteriosa è tuttora oggetto di dibattito nella comunità medico scientifica. Gli studi meno recenti suggerivano infatti che il consumo di caffè fosse associato all’aumento dei valori pressori, mentre più recenti metanalisi hanno concluso, al contrario, che a un’assunzione regolare di questa bevanda si associa una modesta ma significativa riduzione pressoria.
La relazione tra il consumo di caffè e i livelli della pressione arteriosa
La maggioranza dei dati disponibili deriva tuttavia da studi nei quali la pressione arteriosa era stata misurata dal medico in ambulatorio; gli autori dello studio italiano Pamela hanno quindi valutato la relazione tra i consumi di caffè (con caffeina; il decaffeinato non è stato considerato) e i valori pressori rilevati anche mediante un sistema di monitoraggio attivo per 24 ore, che tiene traccia anche della variabilità dei valori pressori stessi (un importante fattore di rischio cardiovascolare indipendente).
I dati raccolti confermano che i valori della pressione sistolica rilevati ambulatorialmente dal medico sono inferiori tra chi consuma 3 tazze di caffè al giorno rispetto a chi non ne consuma.
I dati delle 24 ore suggeriscono invece che il caffè non svolga significativi effetti di riduzione della pressione arteriosa; la diastolica risulterebbe anzi moderatamente ma significativamente aumentata (+2 mm Hg) durante la giornata ma non durante la notte. Nemmeno la variabilità pressoria sarebbe influenzata dall’abitudine a consumare questa bevanda.
L’assunzione di quantità non eccessive di caffè si associa d’altra parte, in altri studi di varia natura, a una riduzione del rischio di eventi cardiovascolari e di morte per qualunque causa, rispetto ai consumi molto bassi o nulli. Poiché tale effetto è invece indipendente dalla presenza o meno di caffeina nel caffè, si può ipotizzare che altri componenti del caffè stesso (presumibilmente la ricca componente polifenolica) possano spiegarne gli effetti protettivi.
I dati dello studio Pamela confermano quindi che un moderato consumo di caffè contenente caffeina non si associa a variazioni significative della pressione arteriosa, evidenziando quindi che i dati sui quali poggia la frequente indicazione a eliminare il caffè per ridurre il rischio di ipertensione non sono in realtà conclusivi.
Utilizziamo i cookie per essere sicuri che tu possa avere la migliore esperienza sul nostro sito. Se continui ad utilizzare questo sito noi assumiamo che tu ne sia felice.