martedì 02 Dicembre 2025
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REPA e JBT AVURE partner nella distribuzione dei ricambi originali per l’industria alimentare

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REPA, nuova partnership (foto concessa)
REPA, nuova partnership (foto concessa)

CESENA – REPA, il principale distributore europeo di parti di ricambio e John Bean Technologies Corporation (JBT), leader nelle soluzioni tecnologiche per la lavorazione degli alimenti, hanno firmato un accordo di partnership per la distribuzione in esclusiva, tramite il webshop REPA e uno dei suoi centri logistici, dell’intera gamma di ricambi della linea Avure HPP, dedicata alla trasformazione dei prodotti alimentari.

Nella filiera agroalimentare, ogni minuto di fermo delle operazioni dovuto a un malfunzionamento dei macchinari rappresenta una perdita enorme, sia in termini di produttività che di fatturato. Tramite questo accordo, REPA garantisce l’immediata disponibilità in magazzino di parti di ricambio cruciali per il corretto funzionamento dei sistemi di produzione alimentare, permettendo di riparare tempestivamente le linee di produzione.

“Siamo orgogliosi di annunciare la prima partnership di settore dedicata all’industria alimentare, a dimostrazione di come REPA sia un alleato prezioso per l’intera filiera del food service, dai produttori ai tecnici dell’assistenza fino ai clienti finali. La nostra attenzione ai ricambi 100% originali ci consente di rispondere alla necessità di ridurre i tempi di inattività della produzione con una fornitura rapida e tempestiva di ricambi di alta qualità”, afferma Alexander Wiegand, ceo di REPA.

“Siamo entusiasti di intraprendere questa partnership con REPA, leader nel settore della distribuzione di parti di ricambio. L’esperienza di REPA nel servizio post-vendita, abbinata al nostro impegno per la fornitura di prodotti di alta qualità, offrirà ai nostri clienti un’esperienza senza pari. L’incremento della disponibilità e della velocità di consegna, frutto di questa collaborazione, garantirà ai nostri clienti di ottenere rapidamente e in modo semplice le parti desiderate, nel momento esatto in cui ne hanno bisogno. Dalle accurate specifiche tecniche dei prodotti, all’assenza di quantità minime d’ordine sino ai minori costi di trasporto, questa collaborazione rappresenta una vera vittoria per i nostri clienti”, afferma Mary Beth Siddons, Group President – Processing, JBT Corporation – Diversified Food and Health Division.

REPA

REPA è il principale distributore europeo di ricambi per attrezzature per la ristorazione, caffè, distributori automatici ed elettrodomestici ed è un partner di fiducia per i produttori di apparecchiature. Dal 2022 REPA è una divisione di Parts Town Unlimited, leader mondiale nella distribuzione high-tech di parti di ricambio indispensabili, prodotti e servizi correlati per i settori della ristorazione, degli elettrodomestici e dell’HVAC.

I clienti di REPA beneficiano di una forte competenza in materia di ricambi, con oltre 40 anni di esperienza nel mercato da parte di REPA Italia, REPA Deutschland, REPA France, REPA Iberia, ATEL e Big Warehouse. Con il più grande database del settore accessibile attraverso webshop all’avanguardia, un’elevata disponibilità di magazzino e centri logistici altamente innovativi che assicurano la consegna dei ricambi più rapida del settore, REPA fornisce a ogni cliente il pezzo giusto, al momento giusto, ovunque.

JBT

John Bean Technologies Corporation (JBT) è un fornitore globale leader di soluzioni tecnologiche per segmenti di alto valore delle industrie della trasformazione alimentare e del trasporto aereo. JBT progetta, produce, collauda e fornisce assistenza a sistemi e prodotti tecnologicamente sofisticati per i loro clienti. Con la linea JBT Avure, l’azienda si occupa della pastorizzazione ad alta pressione (HPP) dei prodotti, un processo in grado di preservare la freschezza e i sapori naturali di succhi, carni, frutta e verdura utilizzando solo acqua fredda pura ad alta pressione, quindi evitando qualsiasi cambiamento nella consistenza e nel gusto tipicamente causato da calore, radiazioni o sostanze chimiche.

MZB Services (Massimo Zanetti Beverage) apre il 1° Segafredo Caffè in Cina a Shanghai

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Nuova apertura a Shanghai (foto concessa)
Nuova apertura a Shanghai (foto concessa)

MILANO – MZB Services, società del gruppo Massimo Zanetti Beverage dedicata allo sviluppo delle caffetterie in franchising, è orgogliosa di annunciare l’apertura del primo Segafredo Caffè nella Repubblica popolare della Cina.

Si tratta di un’operazione realizzata in collaborazione con la Tour Gourmet United (Shanghai) Catering Management Co., Ltd.

MZB Service: la nuova caffetteria si trova presso il modernissimo aeroporto internazionale di Pudong a Shanghai

“Questa apertura sottolinea il nostro continuo impegno nell’offrire una coffee experience ricca e globale”, afferma Csaba Salamon di MZB Service.

“Siamo entusiasti di portare il nostro caffè d’autore e un assaggio d’Italia in uno degli aeroporti più trafficati al mondo”.

Per ulteriori informazioni su questa nuova apertura in Cina del Massimo Zanetti Beverage Group basta cliccare sul link riportato qui sotto:

https://newsroom.magnetiq.io/convivis/en/mzb-services-press-area/announcing-the-first-segafredo-caffe-in-china-at-pudong-international-airport-shanghai/page

Il Polo del Gusto non includerà il vino: accantonata l’ipotesi del Barolo

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polo
Il logo di Polo del Gusto

Il Polo del Gusto ha deciso di congelare il progetto di includere il Barolo nel portafoglio dei prodotti. Il mercato vitivinicolo non rientra, per il momento, tra le priorità del Gruppo. Per spingere i ricavi il gruppo ha scelto di concentrarsi su due fronti: l’acquisizione di una partecipazione di controllo in un’azienda delle caramelle e lo sviluppo del canale retail plurimarca. Leggiamo di seguito la prima parte dell’articolo di Andrea Deugeni pubblicato su Milano Finanza.

La posizione del Polo del Gusto sul vino

MILANO – Dopo la cessione della cantina Mastrojanni che produce Brunello a Francesco Illy, il Polo del Gusto accantona il progetto del vino. Riccardo Illy, il presidente della subholding del gruppo triestino che ha in portafoglio i marchi Dammann Frères (tea), Domori (cioccolato), Agrimontana (confetture), Prestat e Rococò Chocolates (praline), Pintaudi (pasticceria) e Achillea (succhi di frutta) ha sempre avuto il pallino del Barolo, vino pregiato da accostare al Brunello nell’offerta del food&beverage di qualità del Polo del Gusto.

Ma dopo aver vagliato alcuni dossier, anche in fase avanzata, secondo quanto risulta a MF-Milano Finanza, l’imprenditore ha deciso di congelare il progetto. Non sarebbe il vitivinicolo infatti il settore su cui puntare in questa fase di sviluppo della subholding.

Quello del vino è un investimento che dà i propri frutti nel medio e lungo termine, un settore quindi dove allocare piuttosto il flusso di cassa di società già mature. E non è il caso del Polo che punta prima ad arrivare a quota 100 milioni di euro di ricavi consolidati (da 70 milioni; mentre sono 110 quelli a livello aggregato), fatturato da stabilizzare per poi far rotta verso la quotazione sull’Egm.

La strategia

Per spingere i ricavi il gruppo del business extracaffè degli Illy sta accelerando su due fronti: l’acquisizione di una partecipazione di controllo in un’azienda delle caramelle, anche qui di qualità e totalmente naturale, e lo sviluppo del canale retail plurimarca.

Per quanto riguarda il m&a, secondo le indiscrezioni, potrebbe esserci qualche novità a breve.

Mentre a metà settembre il gruppo aprirà in centro a Trieste il primo negozio del Polo del Gusto con tutti i prodotti. Come raccontato da questo giornale, la società che annuncerà presto anche il sostituto del ceo Andrea Macchione da rimpiazzare con una direttrice generale, ha aperto i cantieri per la creazione di un altro veicolo con un marchio nuovo di zecca (già depositato) per la gestione della catena dei negozi.

Ferrero spinge negli USA con il business del gelato, 214 milioni investiti per ampliare la produzione

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Il logo della Ferrero

MILANO – Ancora il Gruppo Ferrero insiste sul terreno statunitense con ulteriori spese: dopo il periodo di acquisti importanti che ha registrato una cifra complessiva attorno agli 8 miliardi di dollari non è terminato e la multinazionale di Alba investe ulteriormente sul mercato dei gelati.

Leggiamo i dettagli dell’operazione dall’articolo di di Daniela Polizzi su ilcorrieredellasera.it.

Ferrero con gli occhi puntati sugli States

Nuova campagna di investimenti industriali per il gruppo Ferrero che adesso alimenta la crescita delle attività acquistate negli Stati Uniti. Una lunga stagione di shopping che ha visto impegni complessivi attorno agli 8 miliardi di dollari messi in campo da parte della multinazionale con radici ad Alba. Al centro, il business dei gelati, uno dei nuovi motori della crescita del gruppo presieduto da Giovanni Ferrero.

Nuove assunzioni

Il centro di produzione di Dunkirk, nello Stato di New York, raddoppierà la forza lavoro con 200 assunzioni. Obiettivo dare la spinta a un mercato che ha visto Ferrero protagonista dell’acquisizione all’inizio di quest’anno, per circa 1,5 miliardi di dollari, di Wells, la più grande azienda familiare al mondo nei gelati con 1,7 miliardi di fatturato nel 2022 e in portafoglio marchi popolari come Blue Bunny, Blue Ribbon Classics, Bomb Pop e Halo Top.
Ferrero aveva rilevato anche i centri produttivi a Le Mars (Iowa), Henderson (Nevada) e appunto Dunkirk, che producono 800 milioni di litri di gelato l’anno. L’investimento per rafforzare l’attività produttiva sulla costa Est ha seguito a ruota altri impegni – pari a 214 milioni di dollari – nell’impianto di Bloomington nell’Illinois per rafforzare la presenza di Kinder Bueno (il fatturato vale 209 milioni) sul mercato Usa e aggiungere altri 200 posti di lavoro.

 

L’articolo completo, a questo link.

Il caffè africano cresce in Cina grazie ai millennial: un comparto che vale 27 miliardi di dollari

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africa kampala africano tanzania mattei

Paese simbolo della consumo di tè, la Cina ha mostrato una rapida crescita nel consumo del caffè. Secondo la piattaforma di e-commerce Meituan, la portata dell’industria cinese del caffè è stata stimata in 200 miliardi di yuan (circa 27,6 miliardi di dollari) nel 2022. C’è di più: gli sforzi del Paese per alleggerire le procedure di importazione dei prodotti africani hanno aiutato il caffè del continente ad entrare nei bar cinesi con più facilità. Leggiamo di seguito la prima parte dell’articolo pubblicato sul portale Africa24.it.

Il caffè dell’Africa in Cina

All’interno di una caffetteria decorata con dipinti a inchiostro e calligrafia cinese, i chicchi di caffè Yirgacheffe dell’Etiopia vengono miscelati con il tè oolong cinese, sprigionando un aroma unico. Il caffè cinese aromatizzato al tè ha stupito Liu Xuedan, che ha effettuato un ordine presso la filiale di Yuenn & Yang Coffee a Changsha, capitale della provincia di Hunan. “Sapevo che il caffè africano aveva un ottimo sapore, ma non avrei mai immaginato che avrebbe funzionato così bene con il tè cinese”, ha detto il turista 24enne, originario della provincia di Sichuan.

Paese tradizionalmente consumatore di tè, la Cina ha mostrato una rapida crescita dell’appetito per il caffè.

Secondo la piattaforma di e-commerce Meituan, la portata dell’industria cinese del caffè è stata stimata in 200 miliardi di yuan (circa 27,6 miliardi di dollari) nel 2022, e si prevede che raggiungerà i 369 miliardi di yuan (50,9 dollari) nel 2025.

“In Cina, il consumo di caffè è passato gradualmente da un consumo di nicchia a un consumo di massa”, ha dichiarato Yao Siyi, fondatore della società di commercio di prodotti di caffè Cash Coffee.

Yao Siyi continua: “Molti consumatori individuali, soprattutto giovani, acquistano macchine da caffè e seguono corsi per imparare a fare il caffè a casa”.

Oltre all’espansione del mercato cinese, gli sforzi del Paese per alleggerire le procedure di importazione dei prodotti agricoli africani hanno spianato la strada al caffè del continente per entrare nei bar e nelle case cinesi.

La Cina è la seconda destinazione per le esportazioni agricole africane. Negli ultimi anni, sugli scaffali dei negozi cinesi sono apparse più categorie di prodotti agricoli “Made in Africa”, tra cui il caffè dall’Etiopia, gli anacardi dalla Tanzania, il cacao dalla Costa d’Avorio e gli avocado dal Kenya.

Presso Cash Coffee, più della metà dei chicchi di caffè comunemente utilizzati proviene dall’Africa. “I chicchi africani hanno un sapore di frutta unico e ricco, quindi li abbiamo mescolati alla maggior parte dei nostri chicchi di caffè italiani”, ha detto Yao.

Per leggere la notizia completa basta cliccare qui

Fiat 500e Gelateria Edition: nel Regno Unito, il cono arriva sul furgoncino rivisitato e 100% elettrico

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Fiat 500e Gelateria Edition
La Fiat 500 diventa gelateria (foto concessa)
LONDRA – Fiat con la sua filiale inglese, ha rivoluzionato l’idea del classico camioncino dei gelati, rendendolo più green: questa è il modello Fiat 500e Gelateria Edition, 100% elettrica, immaginata per muoversi all’interno di città sostenibili.  Leggiamo le sue caratteristiche dal sito emovingmag.it.

Fiat 500e Gelateria Edition: anche il gelato in città va nel futuro

Il mezzo va incontro alle esigenze degli abitanti d’oltremanica coniugando uno stile senza tempo con le restrizioni tipiche delle grandi città come Londra, che presto vieterà il transito a mezzi a combustione come i furgoni dei gelati, solitamente alimentati a diesel.
Proprio alla luce di questi divieti e dell’impatto dei furgoncini del gelato sull’ambiente, la Fiat ha portato avanti un’indagine per scoprire il rapporto che lega gli inglesi con questi ultimi. Con risultati che lasciano pochi dubbi: il 92% ha comprato del gelato da uno di questi tanto amati van. Si presume quindi che questo sia il motivo per cui l’83% degli intervistati li reputa la “quintessenza della cultura britannica“. In più, quasi la metà (48%) sarebbe triste per la loro eventuale scomparsa.
L’interno è stato realizzato ad hoc lasciando solo il posto del guidatore, mentre i sedili posteriori sono stati rimossi per fare spazio alle celle frigorifere e permettere libertà di movimento durante il servizio. Sia gli interni che gli esterni sono realizzati con colori che evocano lo stile anni Cinquanta delle gelaterie italiane.
Nello specifico, azzurro e crema, in abbinamento con le ruote. Dei congelatori alimentati a batteria posizionati nel retro possono contenere fino a 30 litri di gelato, abbastanza per servire circa 300 persone al giorno. In più, possono contenere altri accessori addizionali come coni, coppette e cucchiaini, indispensabili per un’esperienza completa.
L’articolo completo, qui.

Cristina Caroli sul prezzo del caffè: “Se estremamente basso, quasi certamente c’è qualcosa che non quadra nella tazzina”

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caroli caffè libro
Cristina Caroli presenta il libro: “Il caffè per chi non si accontenta: argomenti e cultura di un prodotto molto bevuto e poco conosciuto” (immagine concessa)
Cristina Caroli rientra tra le figure di spicco della coffee community grazie ai ruoli istituzionali ricoperti in Sca Italy, ma anche in qualità di divulgatrice e appassionata sostenitrice del caffè. L’esperta del chicco torna a far parlare di sé in queste pagine grazie alla sua intervista per il settimanale Gente in cui illustra la sua opinione sulla domanda provocatoria “quale è il giusto prezzo del caffè?” analizzando la questione sotto vari punti di vista.
Leggiamo di seguito l’intervista di Rossella Linguini a Cristina Caroli pubblicata sul settimanale Gente.

“Qual è il giusto prezzo del caffè?”

di Cristina Caroli

MILANO – Il caffè tiene banco sulle pagine delle riviste e sui media, impegnate a sbattere il mostro in prima pagina per quanto riguarda prezzi e scontrini di consumazioni e servizi, in una estate molto calda grazie alle polemiche roventi su prezzo pagato e valore percepito.
Proprio questo sembra essere il punto, e la conferma viene da una domanda rivolta dal settimanale Gente a Cristina Caroli, autrice del libro “Il caffè per chi non si accontenta“:
“Quale è il prezzo giusto del caffè?”, chiede la rivista, additando l’esempio di un bar vicino a Palermo in cui il prezzo della tazzina è di soli 30 centesimi.

Ecco la risposta di Cristina Caroli alla giornalista Rossella Linguini su Gente:

“Le rispondo con una piccola provocazione: qual è il prezzo giusto del vino?
Nessuno si sognerebbe di dirlo, mentre per il caffè viene fatto e, casualmente, non è mai abbastanza basso… salvo poi lamentarsi di tazzine deludenti. Al vino si associano provenienze, valore e pregio, invece il caffè che pure ha miriadi di provenienze e varietà viene visto come un mono-prodotto di basso valore.

I caffè molto commerciali vengono serviti in tante caffetterie, ma ci sono anche livelli di qualità diversi come i caffè Specialty, simili ai grandi vini di pregio.

D’altra parte il consumatore è sempre libero di scegliere la qualità, di valutare il prezzo richiesto e rivolgersi altrove: l’importante è essere consapevoli che se il prezzo è estremamente basso, quasi certamente c’è qualcosa che non va.

Si potrebbe trattare di un prodotto difettato, di scarto, bruciato – e dunque poco salubre – con pessime note di gusto, inoltre sottopagato ai produttori all’origine.

La tazzina che deve essere a tutti i costi economica viene purtroppo pagata da qualcun altro. A incidere sul prezzo finale ci sono poi altri fattori: dall’affitto, ai costi del personale. La decisione spetta al consumatore, che deve scegliere consapevolmente e non subire.”

Passiamo ora ad alcune domande a Cristina Caroli dal giornale Gente:

Perché molti ritengono di poter stabilire il prezzo del caffè?

Perché il caffè è ingiustamente visto come una commodity, un mono prodotto piatto, che viene messo in secondo piano rispetto alla esigenza, a volte direi la compulsione, del consumo che ne viene fatta.
Spesso noi professionisti vediamo che il caffè viene bevuto avidamente ma senza collegare il palato, come se la gestualità prendesse il sopravvento sul gusto, e questo svilisce molto il prodotto, lasciando spazio, purtroppo, ad una offerta molto commerciale che arriva anche molto in basso“.

In basso quanto?

“Prodotti di basso livello, prezzi non realistici e tostature che nascondono i difetti carbonizzando il prodotto sono tristemente comuni e gli esempi sono sotto i nostri occhi.
Al netto di iniziative che servono solo a fare parlare di se, e quindi si traducono in un’investimento pubblicitario, quello che preoccupa è: ma quanto poco si accetta o, peggio, si chiede, di pagare questa tazzina, senza porsi delle domande?
Tutti coloro che nel nostro settore fanno qualità, e non sto parlando solo di nicchie Specialty, ma di caffè di buona qualità, vengono danneggiati da queste manovre al ribasso senza fine; non sembra esserci un limite, un aspetto che non tiene nemmeno lontanamente conto della logica.
Bisogna dirlo chiaramente: quale è la realistica possibilità che un prodotto di buona qualità, pagato il giusto all’origine, servito da personale correttamente retribuito e in regola, in un locale che ha spese e pressione fiscale normale, possa davvero poter costare così poco ed essere credibile, buono, etico ed economicamente percorribile?
E’ importante che nella informazione giornalistica ci sia deontologia, rispetto di chi lavora bene e rispetta la filiera dalla origine fino al consumatore: certi titoli pubblicati alla leggera o il sensazionalismo di alcune iniziative contribuiscono a creare una immagine non realistica che giustifica la superficialità e il qualunquismo alimentare.
Si scrive di tutto, ma più per trovare titoli ad effetto che per fare informazione, e invece il potenziale della informazione è grandissimo e potrebbe fare un gran bene al settore. L’articolo di Gente mi ha fatto piacere perché ho potuto raggiungere il grande pubblico e fare passare qualche concetto fuori dal coro”.

A proposito di grande pubblico, come vede la situazione?

“Il consumatore viene influenzato negativamente dai luoghi comuni e dal sensazionalismo su costi e ricavi sul caffè, ancora di più che per altri generi alimentari o prodotti della terra.
Un’esempio? Carne, pesce, frutta e verdura mostruosamente sotto costo… farebbero insospettire, storcere il naso, credo che molti  si chiederebbero: come fanno a praticare prezzi così bassi, come è possibile, cosa c’è che non mi dicono, da dove viene, come è stato coltivato o allevato? È di ultima scelta? Mi farà bene?
Il caffè, sembra nascere nel barattolo, come se non avesse dietro di se, ad esempio, un colossale lavoro manuale e dei trasporti onerosissimi da terre lontane, e già questo renderebbe plausibile un costo maggiore, pensate ai costi della mano d’opera e dei trasporti per tutti gli altri beni. Per la tazzina questi ragionamenti non vengono applicati, la visione è miope“.

Quali sono le strategie da adottare per cambiare la percezione del caffè nel consumatore?

L’importante è che il consumatore sia informato e quindi consapevole, che comprenda aspetti reali del mondo del caffè: la pianta, i paesi produttori, i farmer, i roaster, il gusto e l’assaggio.
Associazioni gourmet e testate giornalistiche potrebbero fare molto per il prodotto caffè, così come è stato fatto per il vino, per la percezione di pregio e varietà, avvicinando il consumatore mediante una informazione puntuale per favorire consapevolezza e scelta di qualità, valorizzando prodotti di qualità e cultura.
Credo fortemente nell’importante lavoro di divulgazione di tutti noi che nella filiera lavoriamo professionalmente e rispettosamente, fino alla figura che io continuo a ritenere fondamentale, quella del barista, l’ultimo strategico anello della catena che arriva a porgere la tazzina al consumatore e ad avere la possibilità di informarlo quotidianamente.
Non dobbiamo mai cedere, e continuare a  condurre la nostra battaglia quotidiana per un caffè di giusto valore, compreso e apprezzato, insomma, un caffè veramente migliore per tutti”.

Il Piccolo specialty coffee a Scandiano: “Ormai il 20% della mia clientela viene da me per lo specialty”

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Alessandro nel suo angolo caffetteria a Il Piccolo specialty coffee (foto concessa)
Alessandro nel suo angolo caffetteria a Il Piccolo specialty coffee (foto concessa)
MILANO – Si parte verso Scandiano, in provincia di Reggio Emilia, per raccontare un’altra storia speciale – o specialty – cioè quella del locale Il Piccolo specialty coffee and restaurant. Qui, in Piazza della Libertà, 10d, Alessandro Resciniti, ha dato una svolta alla parte della caffetteria di famiglia, investendo in formazione e materia prima di qualità superiore. Come si è arrivati a questo risultato? Lo scopriamo con il diretto interessato.

Piccolo specialty coffee: dagli anni 60 a oggi, un’evoluzione continua

Da bar e gelateria, dopo che negli anni ’90 hanno ceduto l’attività per poi riprenderla nel 2003 estendendosi al piano di sopra, il Piccolo specialty coffee ha cambiato ancora un’ultima volta il suo aspetto: “Dato che abbiamo capito che di solo caffè non si può vivere – racconta Alessandro – nel 2018 ci siamo detti: o vendiamo o ristrutturiamo, aprendo anche un ristorante: nell’appartamento sopra il locale, abbiamo piazzato la cucina e la pasta fresca che facciamo da noi con le ricette di mia nonna.”

Bene, la genesi è chiara. Ma lei, come ha incontrato lo specialty?

“Otto anni fa ho iniziato a fare latte art imparandola da Youtube e così mi è capitato in mano un video di Davide Cobelli che mi ha rapito. Gli ho chiesto come si potesse gareggiare e ho seguito un corso barista con lui. Da lì ho dovuto ricominciare da zero.
Sono riuscito (con la ristrutturazione del 2018 a creare il mio anglo di caffetteria, con frigo di servizio sotto la macchina espresso e il lavabicchieri con vaschetta e darci di per avere sempre le lattiere sempre pulite, da noi il latte si monta una volta sola e quello che avanza lo buttiamo, lavoriamo con 6/8 lattiere di diverse dimensioni)… pian piano a creare la mia postazione di caffetteria nel Piccolo specialty coffee, ma ci ho posizionato il frigo del latte che è molto più comodo.
La lava tazzine sta di fianco alla macchina per non rimontare il latte due volte. Ci siamo dotati di una serie di macinini e lavoriamo con i caffè di Davide Cobelli e di Rubens Gardelli. Abbiamo in carta il suo blend Cigno bianco, ma abbiamo anche scelto di servire un caffè commerciale – ho dovuto fare un passo indietro per non allontanare troppo i clienti – cioè una miscela di Caffè Cagliari 80% Arabica 20% Robusta – ma di tostatura media, un buon compromesso per i palati più legati alla tradizione.
Abbiamo anche un decaffeinato in grani e due specialty in espresso che sono solitamente o un africano o un sudamericano, specialmente prediligo l’Etiopia naturale. In filtro invece abbiamo sempre tre caffè diversi.  Ogni due settimane riesco a fare nuovi ordini. “

Da quando ha iniziato a proporre lo specialty, oggi le cose sono migliorate?

“Dal niente, siamo arrivati ad un 25% di clientela che beve soltanto specialty, qualcun altro invece alterna e la mattina beve la miscela più commerciale per svegliarsi e al pomeriggio il blend di Gardelli. Il filtro riusciamo a proporlo più in inverno al posto anche del tè. Ora in estate va molto il cold brew e il cold brew tonic per chi vuole l’alternativa analcolica.  Poi si potrebbe abbinare l’Etiopia con la  1724  ( comunque ad ogni caffè la sua tonica

Il food pairing aiuta ad avvicinare agli specialty o alle estrazioni alternative?

“Ho una cliente russa abituata a bere sempre il nostro caffè a cui abbiniamo le torte che facciamo noi, così come le crostate. Il cioccolatino con un colombiano è un abbinamento molto riuscito, oppure quello tra la crostata di amarene e l’Etiopia naturale.”

Com’è la situazione del personale dal Piccolo specialty coffee?

“Ho avuto un ragazzo molto bravo che arrivava da una caffetteria posizionata nel centro commerciale, che ha lavorato con noi per un po’ di anni: ha fatto un corso con noi e Cobelli, un introduction to coffee che ho fatto fare anche a tutto il personale. Anche le ragazze che servono ai tavoli devono essere lo stesso in grado di raccontare lo specialty e i nostri prodotti. Alla macchina invece ci siamo io, mia sorella, la mia compagna che è giovane ed è molto ferrata anche con i clienti soprattutto stranieri.
Il bancone attrezzatissimo (foto concessa)

Scandiano è una città che ha delle mete che attraggono un po’ di turisti e quando passano si fermano da noi perché sanno di trovare anche del caffè come si deve. E questo è il risultato della cura di ogni aspetto dietro alla tazzina: abbiamo ad esempio scelto un impianto a osmosi della BWT Roc 14 per l’acqua del caffè che usiamo anche per i filtri. Per l’espresso usiamo La Marzocco Strada EB a tre gruppi, abbiamo due Malkhoenig, un Ek43 per i filtri, un Eureka mini per il decaffeinato, un Eureka 75 per lo specialty e un Mazzer per la miscela commerciale.

Stiamo attenti a svolgere ogni due settimane la pulizia dei macinini che smontiamo, mentre puliamo quotidianamente la macchina con i prodotti pulyCAFF. Con tutti questi dettagli e tanto altro, trasmetto al cliente direttamente e indirettamente i nostri prodotti: a volte parlo con uno di loro oppure cerco di far arrivare il messaggio con 4 cartelli che specificano le nostre buone pratiche tra temperature, estrazione.
Certo ci sono sempre persone che vogliono soltanto bere un caffè e altri invece che sono interessati a capire che cosa serviamo. Facciamo spesso anche l’esempio del vino per parlare di specialty.”

Espresso: venderlo a oltre un euro è un tasto dolente?

“Nel primo anno ho perso qualche cliente proprio perché usavo solamente specialty, anche servendo un blend. Sono quindi tornato sui miei passi, mantenendo sempre un’acqua diversa che mi permette di differenziarmi anche solo dal locale a me accanto.
Alla fine però vendiamo a un euro e 30 l’espresso, quando tutti gli altri lo mettono a un euro e 20. Il blend di Gardelli a 8 grammi, viene 1.50 per il singolo ma possiamo anche proporre 16/17 grammi per il double. Gli specialty cerco di piazzarli normalmente in double shot. Gli specialty partono dal singolo a 3 euro e possono salire: alcuni sono davvero cari e neppure li preparo in espresso ma solo in filtro a 5 euro, serviti ciascuno con la propria descrizione.
Le cose pian piano stanno cambiando. Ora il mio 20% della clientela viene ormai da me per chiedermi lo specialty. Gli altri che si avvicinano non sono ancora del tutto convinti. A Scandiano a proporre questa tipologia di caffè ci sono soltanto io e in centro a Reggio ci sono dei caffè 100% Arabica buoni tostati chiari, in Drip Coffee Lab. Qualcosa ora si sta gradualmente muovendo.”

Prossimi step per Il Piccolo Specialty coffee?

“Idealmente vorrei non stare più dietro il bancone e cercare di occuparmi più di divulgazione, per trasmettere sul mio territorio le mie conoscenze e poter formare le persone, facendo anche riflettere sulla scelta dei prodotti, la manutenzione delle macchine e limitare gli sprechi.
Tornando alla cura delle attrezzature, ho scelto l’acqua osmotica anche perché l’acqua da noi è molto ricca di gesso e questo alla lunga rovina le valvole che di solito si bloccavano dopo appena 8 mesi. L’addolcitore non ripuliva dal calcare, i metalli pesanti. Certo, consumo il doppio dell’acqua, ma mi costa meno che dover chiamare continuamente i tecnici per aggiustare le macchine.”

Un’altra nota dolente: il personale. Che ci racconta lei?

“Facciamo ancora fatica a trovare il personale. Dopo il Covid non sono in tanti a voler lavorare in questo settore. Ora siamo in tutto 5 ma avremmo bisogno di 7 persone, essendo aperti dalla mattina alla sera e dovendo coprire un’ottantina di posti a sedere. E poi i camerieri sono fondamentali per promuovere determinate scelte fatte a monte, dietro al bancone. Ad esempio la proposta del caffè anche nella mixology, al di fuori dall’ora canonica della colazione, dipende tantissimo dalla capacità di esporre quello che si trova in carta: il cold brew con tonic o gin, tonica e vodka o con vermouth bitter, sono ricette che bisogna innanzitutto esser bravi a raccontarle al tavolo.”

Nestlé e Starbucks: cinque anni fa la nascita della Global Coffee Alliance

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Global Coffee Alliance
I ceo dei due colossi: Laxman Narasimhan (Starbucks) e Mark Schneider (Nestlé) fotografati durante l'evento al quartier generale di Vevey (credits: Nestlé)

MILANO – Compie cinque anni la Global Coffee Alliance, il sodalizio, stipulato nel 2018, tra due market leader nel settore del caffè: Nestlé, primo torrefattore mondiale, e Starbucks, la più grande catena di caffetterie del pianeta. Un anniversario che cade negli stessi giorni di un’altra ricorrenza: quella dell’apertura della Starbucks Reserve Roastery di Milano avvenuta esattamente 5 anni fa, il 7 settembre 2018.

Un evento che ha segnato lo storico e simbolico debutto del colosso americano in terra italiana.

Ma torniamo all’alleanza tra i due big e al suo impatto sul mercato mondiale del caffè.

Essa ha consentito, a Starbucks, di ridimensionare le sue attività nel settore del dettaglio per rifocalizzarsi sulla rete di caffetterie.

E a Nestlé di aggiungere un ulteriore brand di prestigio al proprio ricchissimo portafoglio marchi, che fanno della multinazionale svizzera il leader incontrastato del food and beverage mondiale.

Nestlé pagò, nel 2018, 7,15 miliardi di dollari (circa 6 miliardi di euro al cambio di allora) per i diritti esclusivi e perpetui di commercializzazione e distribuzione (al di fuori dei negozi Starbucks) del caffè torrefatto e porzionato e dei prodotti ready-to-drink a marchio Starbucks, in oltre un’ottantina di paesi.

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ofi lancia un progetto per migliorare la produzione di caffè nello Zambia

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ofi zambia
ofi racconta le iniziative volte ad elevare il potenziale dello Zambia come Paese produttore di caffè (immagine concessa)

MILANO – La Repubblica dello Zambia non è generalmente riconosciuta per la produzione del caffè ma, nel corso degli anni ofi, azienda che vanta una grande esperienza nel settore del caffè e degli ingredienti alimentari, si è impegnata a fondo per aiutare questo Paese dell’Africa meridionale ad affermarsi fra i protagonisti indiscussi del mercato.

Il caffè è stato introdotto in Zambia negli Anni ’80 grazie a un’iniziativa di diversificazione delle colture promossa dalla Banca Mondiale.

Le iniziative di ofi a favore della Repubblica dello Zambia

Alla fine del decennio, lo Zambia ha iniziato a esportare l’Arabica a livello commerciale, ma le sue varietà erano particolarmente esposte alle malattie e, di conseguenza, la resa è inevitabilmente diminuita. Tuttavia, intuendone il potenziale, nel 2012 ofi ha acquistato una piantagione in Zambia (oltre ad aziende agricole già avviate in Laos e Tanzania), diventando così uno dei maggiori proprietari di piantagioni private di caffè in Africa.

“La proprietà delle aziende agricole attraverso la nostra controllata Northern Coffee Corporation Ltd (NCCL) ha portato alla luce incredibili opportunità ma anche numerose sfide, tra cui la volatilità dei prezzi del caffè e dei fertilizzanti, per non parlare del cambiamento climatico, che ha messo ofi di fronte alla necessità di evolversi e tenere il passo con esigenze mutevoli ma imprescindibili per rimanere all’avanguardia nella produzione del caffè” afferma Aranyak Sanyal, SBU Head of Coffee Estates di ofi.

“ofi aveva davanti a sé un ventaglio di opportunità inesplorate legate all’innovazione e all’agricoltura, sia in termini di caffè provenienti da colture maggiormente sostenibili che di modernizzazione dei processi. Le nostre piantagioni ci hanno dato l’opportunità di sperimentare diverse pratiche post-raccolta, dal trattamento delle acque reflue alle tecniche di fermentazione prolungata” spiega Sanyal.

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Le ciliegie rosse del caffè (immagine concessa)

Sanyal aggiunge: “Quando abbiamo rilevato le piantagioni dello Zambia, il raccolto doveva essere rivitalizzato. Ora abbiamo più di cinque milioni e mezzo di piante che producono caffè certificato e destinato al mercato degli specialty in cinque piantagioni situate a Ngoli, Isanya, Kateshi, Luombe e Nsunzu.”

ofi è cresciuta fino a creare il più elevato numero di posti di lavoro nella provincia settentrionale dello Zambia, coinvolgendo circa 3.000 persone tutto l’anno per la coltivazione del caffè, che possono arrivare a più di 15.000 durante il periodo della raccolta.

“Dal punto di vista del caffè, l’Africa orientale è conosciuta in particolare per due aspetti. Uno di questi è la capacità di produrre note floreali e citriche estremamente nitide nei caffè lavati. L’altro aspetto è la capacità di esprimere note fruttate, rotonde e marcate dei caffè naturali” afferma Sanyal. “Nelle nostre aziende agricole siamo in grado di produrre entrambe queste categorie di caffè specialty”.

Lo Zambia ha tutte le carte in regola per produrre caffè, soprattutto grazie all’abbondanza di falde acquifere e le altitudini elevate. Sanyal afferma che è raro trovare condizioni adatte alla coltivazione del caffè a un’altitudine compresa tra i 1.400 e i 1.700 metri su un terreno pianeggiante. Ciò consente a ofi di applicare un’irrigazione di precisione al fine di migliorare l’efficienza idrica.

“Il nostro caffè è irrigato e, in parte, questo ci mette al riparo dal rischio di siccità permettendoci al contempo di ottenere una produzione più uniforme di anno in anno. È questo l’aspetto più interessante dello Zambia che, a posteriori, ha dato i suoi frutti” afferma.

Sempre più spesso i clienti richiedono un approvvigionamento affidabile e a lungo termine di caffè specialty in un mercato caratterizzato da una forte volatilità. Grazie alla presenza di ofi in loco durante tutto l’anno e alla lavorazione primaria integrata, Sanyal afferma che si tratta di una nicchia che le piantagioni di ofi in Zambia riescono a soddisfare pienamente.

Al fine di mantenere un elevato standard di controllo della qualità, ofi ha sviluppato e potenziato le competenze di selezione manuale avvalendosi di ricercatori sul territorio. Le ciliegie del caffè vengono raccolte a mano in base al grado di contenuto di zucchero, di maturità e alla posizione sulla chioma dell’albero.

“Non tutte le ciliegie rosse del caffè sono uguali. Possiamo sovrapporre arte e scienza: l’arte consiste nell’individuare la ciliegia matura, mentre la scienza è la capacità di misurare quanto siamo abili o meno nell’individuarla, osservando la biologia e l’agrochimica della ciliegia” spiega Sanyal.

Le ciliegie rosse mature raccolte vengono poi destinate a diversi metodi di lavorazione post-raccolta per generare profili e attributi sensoriali specifici, a seconda delle preferenze dei consumatori.

Il caffè completamente lavato di ofi, che rappresentano la maggior parte del caffè prodotto nelle sue piantagioni in Zambia, è tra le richieste di qualità specialty più popolari. Questo processo utilizza meno di un litro d’acqua per chilogrammo e ciò fa di ofi un’azienda “all’avanguardia nella gestione idrica”.

Sanyal afferma che gli acquirenti europei di ofi preferiscono per lo più caffè con un corpo e una consistenza più decisi, mentre gli Stati Uniti e altri mercati preferiscono caffè dalle note più vivaci e floreali. Per questo motivo, ofi applica diversi metodi di raccolta e lavorazione al fine di personalizzare e perfezionare il profilo in base alle preferenze dei clienti.

La piantagione di ofi in Zambia rappresenta una preziosa “fucina di innovazione” con la possibilità di controllare il flusso e l’uniformità di maturazione delle ciliegie coltivate sullo stesso terroir. L’infrastruttura consente a ofi di sperimentare diversi metodi di lavorazione, tra cui naturale, honey e lavato, in cui è possibile introdurre sia il microbioma indigeno, sia colture batteriche specifiche per modificare l’ecologia microbica durante la fermentazione.

Negli ultimi anni, ofi ha progettato infrastrutture e metodi di lavorazione personalizzati e ha prodotto caffè naturali e lavati su vasta scala, utilizzando tecniche di fermentazione modificate per modulare i composti volatili dell’aroma. Gli impianti di lavorazione in loco di ofi contribuiscono inoltre a garantire la conformità alle rigorose specifiche dei clienti in materia di densità, colore e livello di difetti.

ofi ha anche ospitato diverse iniziative di co-creazione con i clienti e ha collaborato con World Coffee Research all’indagine International Multilocation Variety Trial per identificare nuove varietà in grado di resistere a parassiti e malattie con un intervento chimico minimo.

In aggiunta, ha condotto ricerche sugli agenti di controllo biologico attraverso predatori naturali per sostituire i prodotti agrochimici. I risultati sono già stati diffusi in tutta la rete di approvvigionamento agricolo di ofi.

“Lo Zambia è il banco di prova ideale per questa ricerca pionieristica, perché le sue condizioni agroclimatiche sono piuttosto simili ad altre regioni di coltivazione del caffè, come Honduras, Guatemala, Ruanda, Burundi, Camerun e parti dell’Etiopia e del Kenya” spiega Sanyal. “Abbiamo anche adottato delle misure volte a migliorare la resilienza della produzione di caffè. Alcuni degli esperimenti sulla siccità e delle ricerche che abbiamo condotto sulla pianificazione varietale e dei fertilizzanti rendono lo Zambia un precursore all’interno dell’ecosistema agronomico di ofi.”

ofi si dedica inoltre al ripristino della biodiversità naturale. Negli ultimi sei anni, l’azienda ha riforestato circa 650 ettari di terreno degradato intorno alle proprie piantagioni con nuovi alberi non da caffè.

Da più di sette anni, ofi ospita team di ricercatori universitari che conducono studi approfonditi sulle emissioni di gas serra derivanti dalla lavorazione del caffè, con l’obiettivo di offrire ai clienti la possibilità di scegliere prodotti a basso impatto ambientale. Secondo Sanyal, i risultati hanno aiutato ofi a migliorare gli strumenti di modellazione per ridurre sia la carbon footprint, che l’impatto idrico: tali dati sono accessibili ai clienti grazie al sistema di gestione della sostenibilità AtSource di ofi.

“Stiamo applicando i risultati di questi studi in ambiti che spaziano dalle piantagioni alle nostre fonti di approvvigionamento, al fine di aumentare la resilienza climatica e la convenienza della filiera dei piccoli agricoltori” afferma Sanyal.

“Poiché ogni azienda agricola è diversa in termini di vincoli di produzione, topografia e terreni diversi, stiamo utilizzando le informazioni sulla coltivazione del caffè acquisite attraverso le ricerche condotte in Zambia, insieme ai dati di AtSource, per elaborare dei parametri di riferimento a livello di azienda agricola e generare consigli agronomici su misura. Ciò significa ottimizzare le risorse disponibili per realizzare interventi che abbiano un impatto quanto più possibile significativo per i singoli agricoltori,” conclude Sanyal.

L’attenzione di ofi per la sostenibilità trascende i confini delle sue piantagioni per giungere anche alle comunità locali in cui vivono molti dei suoi collaboratori e delle loro famiglie. Il progetto comprende il sostegno a più di cinque scuole primarie e secondarie, diversi progetti di conservazione e la promozione dell’apicoltura come ulteriore fonte di reddito per disincentivare la deforestazione illegale finalizzata alla produzione di carbone di legna.

È stata inoltre sviluppata una struttura sanitaria primaria per i membri della comunità, con strutture materno-neonatali volte a contribuire alla riduzione dei tassi di mortalità infantile e materna.

“La nostra clinica di Kateshi, che serve in media più di 8.000 abitanti dei villaggi circostanti, ha contribuito a salvare molte vite negli ultimi sette o otto anni. Questo è il segnale più chiaro del servizio che vogliamo rendere alla comunità, aiutando persone che altrimenti avrebbero perso la vita in assenza di cure mediche d’emergenza, di ricoveri e di reparti di maternità ospitati da ofi” afferma Sanyal.

La clinica è aperta al pubblico. Al di là di tutte le disquisizioni sulla realtà e sulle cifre del commercio del caffè dallo Zambia al resto del mondo, Sanyal afferma che essere in grado di salvare vite umane è qualcosa di cui è personalmente molto fiero.

“Per noi la comunità è tutto. Abbiamo ricostruito da zero progetti di coltivazione in Zambia e per molti lavoratori agricoli questa rappresenta l’unica fonte di reddito legale. Di conseguenza, la comunità è molto orgogliosa del proprio caffè, e noi con loro” conclude Sanyal.

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