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LA STORIA – Nasce da un vulcano la terza ondata del caffè

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MILANO – Il settimanale del Corriere della Sera, Sette, ha pubblicato per la serie le vestali della cucina un articolo di Angela Frenda dedicato ad Aida Batlle, la reginetta della tazzina che opera a Miami. Incoronata da Time nell’Olimpo degli chef, la trentenne ha iniziato la produzione quasi per gioco. Ora rifornisce il “dream team”. Per i suoi espressi o americani fa miscele con più di 12 tipi di chicchi. Vi proponiamo l’articolo. Nella foto della doppia pagina di Sette si nota un particolare italiano: una macchina La Marzocco utilizzata da Aida Battle per estrarre i suoi espressi.

È una delle uniche quattro donne (in tutto) che la rivista Time, nel suo discusso numero dedicato all’Olimpo degli chef, ha citato ritenendole degne di nota nel settore mondiale del food.

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Non è una cuoca, però. La 30enne Aida Batlle è diventata famosa (solo) per il suo caffè. Il caffè che produce portando avanti una tradizione di famiglia che dura da cinque generazioni.

Solo che lei è oramai una vera e propria celebrità. Sulle colline del Vulcano Santa Ana, nella regione ovest di El Salvador, Aida produce piante che sono considerate, tra conoscitori e appassionati del caffè, un vero oggetto del desiderio. Durante la guerra civile in Salvador, dal 1980 al 1992, la famiglia Batlle si è rifugiata a Miami, dove Aida dopo è cresciuta.

È arrivata a Santa Ana, nel 2002, consapevole solo vagamente del potenziale business e ancora parzialmente digiuna di coltivazioni di caffè. Lei era ben a conoscenza di una sola cosa: che la terra della sua famiglia aveva grandi potenzialità, sia grazie all’altitudine sia per il terreno vulcanico particolarmente fertile.

Nel 2003 Aida decise di partecipare alla gara della “Tazza di eccellenza” in El Salvador. Il caffè che arrivava dalla fattoria “Kilimanjaro”, una delle sue, impressionò enormemente i giudici. Come risultato, una torrefazione norvegese pensò bene di pagare 14 dollari al chilo per il caffè di Aida. E cominciarono ad arrivare grossi guadagni. Cosa ancora più importante, la pubblicità introdusse Batlle nel mondo dei compratori di caffè, che lei oggi chiama scherzosamente il “dream team”.

Composto da: Peter Giuliano, della Counter Culture Coffee; Thompson Owen, lo scienziato pazzo che è dietro la Sweet Maria’s, a Oakland; e Duane Sorenson, il fondatore di Stumptown, a Portland, in Oregon. Ma il successo di Batlle ha a che fare sia con la cultura sia con l’agricoltura: lei parla un inglese senza accenti, non è per nulla intimorita dai conoscitori di caffè e capisce molto bene la cultura foodie del Nord America.

Lei, soprattutto, ha capito che i consumatori specializzati, adesso, non si sarebbero più accontentati di una tazza di caffè non ben specifcata. No. Oggi il caffè doveva essere all’altezza delle aspettative (alte) dei gourmet.

E Aida ha deciso di produrre nelle sue fattorie ciò che i suoi clienti si aspettavano di bere, di annusare, e quindi di pagare. C’è chi lo ha defnito: il movimento della terza ondata. I coltivatori visionari che stanno crescendo nell’ultimo decennio, differenziandosi molto dai coltivatori euroispirati, che in America hanno dato vita a Starbucks. Tostatura e cottura. Oramai le discussioni si sprecano sul livello di tostatura e di cottura del caffè.

E proprio Aida è stata interrogata e intervistata più volte, defnendola oramai come “la regina del caffè”. È diventata talmente un personaggio che è stato raccontato persino in un bellissimo articolo del New Yorker, nel quale si parlava soprattutto di come la qualità del caffè dipende, oggi più che mai, dalle sue origini e dai suoi coltivatori.

Lo sanno bene gli americani, che amano moltissimo il caffè. Lo si vede dalla quantità di articoli che ogni giorno compaiono su riviste e quotidiani Usa. Tutti dedicati a una delle bevande preferite oramai soprattutto dal popolo foodie.

È stata Aida Batlle, però, a intercettare, prima degli altri, i segreti giusti per regalare l’emozione di una tazzina di caffè (quasi) perfetta. E anche per questo, spinta dalla sua passione reale, spesso si avventura in dimostrazioni e degustazioni in giro per il mondo. Una delle ultime, in ordine di tempo, si è tenuta a Londra, nel quartiere di Shoreditch.

Quando in centinaia sono venuti ad assaggiare le sue qualità di caffè riprodotte in espressi e americani. «Sono momenti», confessa Aida con il suo sorriso contagioso, «in cui capisco che il mio lavoro ha un senso e viene realmente apprezzato dalle persone. È sempre affascinante, per esempio, vedere come le persone reagiscono ai processi di produzione e torrefazione del nostro caffè. Noi lavoriamo duro tutto l’anno per riuscire a garantire che tutti questi procedimenti siano fatti con la massima cura e meticolosità. Da quando viene raccolto all’essiccatura e, poi, alla spedizione».

Non è un caso se i caffè prodotti da Aida sono i favoriti dai barman di tutto il mondo nelle competizioni internazionali. Nel 2012, per esempio, la campionessa barista Katie Carguilo ha vinto una competizione a Vienna. Esperienza simile per il barista greco Stefanos Domatiotis. Entrambi si erano affdati a qualità di caffè forniti da Aida.

La quale non può che gioirne: «Non si può immaginare maggiore ricompensa di quando un barista di altissimo livello sceglie di usare un caffè che viene dalle mie fattorie di famiglia o dalla “Aida Batlle selections”. Si tratta infatti di persone che rendono lustro a questa industria alimentare in grande crescita».

La battaglia. La Finca Kilimanjaro, una delle sue fattorie, produce qualità eccellenti. Perché è su quello, sul prodotto di altissima gamma, che si gioca questa battaglia di una bevanda molto amata anche dagli italiani. Nel mondo, si stima una produzione di oltre 144 milioni di sacchi. Le specie più importanti, e diffuse, sono l’Arabica e la Robusta. L’Arabica tra l’altro è in grado di offrire una bevanda che all’assaggio appare meno amara e di maggiore ricchezza aromatica.

«Ma il gioco è tutto nella preparazione della miscela», spiega Aida Batlle. «Per ottenerla si impiegano, a volte, oltre una dozzina di differenti tipologie di caffè. A infuenzare le caratteristiche organolettiche è, poi, il tipo di tostatura, che può essere più o meno spinta. Ecco perché è una fase tanto delicata del processo di lavorazione».

Non da ultimo, tra i segreti che ci regala una buona tazza di caffè, c’è anche la modalità di preparazione. Dal metodo, cosiddetto, all’armena, ovvero un sistema a infusione diffuso, con diversi nomi e sfumature in Medio Oriente, al caffè all’americana, dalla moka (apparecchio ideato nel 1933 dall’italiano Alfonso Bialetti) al caffè solubile.

Ma Aida non ha dubbi: «La preparazione che però valorizza meglio le caratteristiche di ogni miscela è l’espresso. Preparato con il mio caffè, ovvio».

 

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