martedì 16 Aprile 2024
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Davide Paolini: “Tazzulella mi deludi”

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Sulla newsletter Il Gastronauta è uscito questa opinione scritta da Davide Paolini.

Ve la proponiamo.
Quando l’astinenza dal caffè è dettata dalla pessima qualità somministrata nei bar
Confesso di essere un caffeinomane pentito. Sì, insomma, di essere sceso da circa sei espressi quotidiani a poco più di due. Si può immediatamente pensare a un mio “pentimento”, dipendente dall’insonnia o dalla salute. Assolutamente no, anzi un caffè, espresso o moka, dopo cena mi fa dormire come un angioletto …

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E poi, sarò sincero, non amo molto le letture in mostra nelle libro-farmacie, tra l’altro a giorni, leggeremo gli oracoli della scienza sulle conseguenze o meno del caffè. Chissà quanti libri usciranno di medici, nutrizionisti, pseudo medici-cuochi: all’improvviso, in tanti, hanno scoperto che la salute è strettamente e giustamente legata al cibo, inondando le vetrine con titoli che promettono il Paradiso.

La mia astinenza dalle “tazzulella o’ caffè” dipende dalla pessima qualità che viene somministrata nei bar (le cialde&co per carità): sovente lo lascio, triste e abbandonato, dopo appena un sorso. Certo, non faccio di tutta l’erba un fascio, ma se ogni mattina voglio bere un caffè come Dio comanda, devo percorrere circa un chilometro (sono a Milano in zona Brera). Direi alquanto scomodo per invogliarmi anche a un bis.

Ebbene, più volte, mi sono chiesto perché molti bar sfornano a ripetizione caffè impossibili con un servizio indolente, trascurato. Dipende dalla materia prima o dalla preparazione di baristi improvvisati che si ritengono “imparati” perché nati in Italia, ritenuta la patria del caffè (così come capita con la pizza)? Forse da ambedue le cause: miscele a basso costo (nonostante i margini non siano poi così risicati), poca attenzione al servizio, da cui traspare un’assenza di professionalità, nonostante diverse aziende già abbiano dei centri di formazione per baristi.

Così mi viene da ridere quando sento tirare in ballo l’arrivo di “Starbucks” in Italia. I pareri nelle discussioni su un successo o meno della catena americana nel Buon Paese si susseguono: chi gira il mondo è sicuro di un’affermazione, mentre i fan della tazzina d’antan del bar sotto casa e i supporter di torrefazioni artigianali con miscele ricercate, sono per il fallimento.

Non faccio pronostici, ma sono sicuro che la concorrenza di Starbucks servirà come pungolo a migliorare la qualità, a creare nuove offerte e a imparare l’arte della customer satisfaction.

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