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La sfida di Orfève: “Non temiamo la Nestlé, il nostro è cioccolato vero”

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THÔNEX, Svizzera – Il futuro? Comperare la Nestlé!”. Una battuta, per ora, quella di Caroline Büchler e François-Xavier Mousin (FOTO), che da qualche mese hanno iniziato a fabbricare cioccolato.

“Quello artigianale, dalla A alla Z, partendo dalle fave, sia chiaro”, sottolineano. In realtà, se gli affari continueranno ad andare come ora non è mica detto che i due possano davvero diventare un colosso del cioccolato.

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“Fabbricato però sempre secondo i principi del commercio equo, la Nestlé non ci fa paura, noi siamo altro”, precisa Caroline. Ma facciamo un passo indietro e vediamo come e perché questa coppia – 46 anni lui, 34 lei – da un giorno all’altro ha deciso di buttarsi nella fabbricazione del cioccolato, a partire dalle fave sino alla tavoletta.

Un processo articolato che ha messo a dura prova la loro convinzione di cambiare professione per dar vita a Orfève, la tavoletta che nasce in un laboratorio di Thônex.

Fare del cioccolato vero

“Lo ricordo ancora come fosse ieri – dice Caroline -. Era la primavera dello scorso anno, François mi chiede: e se facessimo del vero cioccolato in Svizzera? Gli rido in faccia. Ma come, rispondo, in Svizzera manca la cioccolata? Quella vera, quella artigianale sì, mi risponde”.

Caroline ancora non sa che le intenzioni di François sono molto serie. Se ne accorge nel giro di poco. Sino a quel momento i due si occupavano del marchio orologiero Les Ambassadeurs.

Nel giro di poco lasciano il lavoro e si convertono al cacao. Vendono le loro due auto per poter comperare tutto il necessario. “Ma non era così semplice – nota François -, volevamo davvero fare un lavoro artigianale, quindi servivano macchinari adatti. Non troppo grandi, visto che la produzione sarebbe stata minima”. Parte la ricerca. In tutto il mondo: Israele, Russia, Australia, America… Alla fine Orfève prende vita.

La coppia impara a produrre cioccolato. “Non c’erano corsi specifici – spiega Caroline -. E allora ci siamo affidati agli insegnamenti di un maestro cioccolatiere. Che ci ha anche spiegato dove acquistare la materia prima, le fave”.

Ed eccole le fave, in un angolo del laboratorio enormi sacchi provenienti dal Perù, dalla Colombia e dal Madagascar.

“Il grosso problema con il cacao – sottolinea François -, è che la produzione è fatta da milioni di piccoli produttori. Mentre la trasformazione delle fave è concentrata nelle mani di tre attori: l’americana Cargill, la zurighese Barry Callebaut e da Olam, Singapore. Loro comperano il 65 per cento della produzione mondiale. Noi volevamo inserirci tra questi colossi”.

E ce l’hanno fatta. Orfève produce una decina di chili di cioccolato al giorno. “Una produzione quasi casalinga – osserva Caroline -, per pochi intimi. Che abbiamo distribuito in quattro punti vendita di Ginevra e, su prenotazione, in un altro di Losanna. Come vedete, nessuna intenzione di rivoluzionare il mercato, semplicemente la voglia di fare qualcosa alla nostra portata, ma di altissima qualità e soprattutto senza sfruttare la gente, come avviene in tantissime piantagioni di cacao dei Paesi poveri”.

La prova del fuoco

Arriva la prova del fuoco, il Salone internazionale dell’alta orologeria (Sihh). Ma alla vigilia dell’apertura, ancora non avevano prodotto nessuna delle 500 tavolette che si erano impegnate a consegnare. All’ultimo, erano sorte mille difficoltà, logistiche e tecniche. “Le prime tavolette sono uscite verso le due del mattino – ricorda ancora con ansia François -. Abbiamo recuperato alla grande, consegnandone un centinaio ogni giorno, per tutto il periodo del Salone”.

François e Caroline si sono incontrati nel 2008. Lui era direttore marketing a Les Ambassadeurs. Quando mette un annuncio per una collaboratrice si presenta Caroline. Da quel giorno non si sono più lasciati. Oggi le loro giornate sono scandite dalla produzione del cioccolato. Attenti, precisi e appassionati, guardano al futuro con ottimismo. “Funziona alla grande, mai avremmo pensato in così poco tempo”, osserva Caroline. E conclude ridendo: “Ecco perché non è mica escluso che un domani potremmo pure comperarci la Nestlé”.

Patrizia Guenzi

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