martedì 26 Marzo 2024
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Riccardo Illy: «Collego Torino al cioccolato, con cui mi piace finire ogni pranzo»

Da quando, dodici anni fa, decise di acquistare il cioccolato torinese top di gamma Domori, Riccardo Illy ha intensificato relazioni e viaggi in città. Diversi ma paralleli sono i temi su cui si snoda la natura del suo rapporto con Torino

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MILANO – Il cognome Illy fa subito pensare a una tazzina di caffè triestina, con la quale di solito si chiudono i pasti (sperando che la bevanda sia all’altezza del resto del menù). Per questo un po’ stupisce l’intervista svolta da Francesca Angeleri a Riccardo Illy, presidente della holding di famiglia, che ha al centro della discussione non l’espresso come si potrebbe facilmente pensare e neppure Trieste. Bensì un prodotto tipicamente collegato a Torino: il cioccolato. Ma tutto acquista più logica a ricordare che, controllato dala holding di famiglia, esiste il marchio top di gamma Domori, eccellenza del territorio piemontese in fatto, appunto, di cioccolato. Ecco un estratto di quanto pubblicato da corriere.it.

Riccardo Illy: l’industriale si confessa

«Torino fu progettata per essere una capitale. Ne ha le dimensioni, il fasto e la bellezza». Da quando, dodici anni fa, decise di acquistare il cioccolato torinese top di gamma Domori, Riccardo Illy ha intensificato relazioni e viaggi in città. Diversi ma paralleli sono i temi su cui si snoda la natura del suo rapporto con Torino.

Il primo, riguarda l’essenza dei due prodotti principali del gruppo: da una parte un caffè di arabica pregiata che non ha mai indietreggiato sull’alta qualità della miscela (di conseguenza neppure rispetto al prezzo sullo scaffale) e dall’altra, tavolette di cioccolato extra fine disponibile anche in chiave estrema al 100%. Il secondo, è un binario orizzontale est-ovest (non da treno veloce) in cui le due T, iniziali dei capoluoghi, hanno molti e interessanti punti in comune.

Perché ha comprato Domori?

«Il primo contatto con Gianluca Franzoni l’ebbi nel 2001. Nel 2004 fondammo la nostra holding e ragionavamo su cosa fare per le generazioni future. Optammo per mantenere il livello di eccellenza diversificando le produzioni. La cioccolata è nel nostro dna. Quando nel 1933 mio nonno Francesco fondò l’azienda, si faceva anche cioccolato. È una produzione molto più complicata e, infatti, anche per noi è il nostro bambino difficile: dopo 12 anni questo è il primo che contiamo di chiudere con un utile netto».

Solitamente i figli problematici sono quelli più amati

Risponde Riccardo Illy: «È così. Lo caratterizza quella che noi chiamiamo “Qualità dirompente”, che si regge su 4 pilastri: una qualità superiore riconoscibile anche dai non esperti; l’utilizzo della miglior materia prima, nel nostro caso la varietà Criollo che rischiava di scomparire e che oggi coltiviamo direttamente; un processo produttivo diverso dal resto del mercato (noi tostiamo per meno tempo a una temperatura più bassa); l’attenzione verso una sostenibilità sia sociale che ambientale».

Riccardo Illy mangia cioccolato?

«Un quadratino dopo ogni pasto. Da sempre. Ricordo che da bambini mangiavamo il Caffarel. Ho adattato una frase che sentii da Carlin Petrini: ‘La bocca non è stracca se non sa di vacca’, che vuol dire che ogni pasto deve finire con un pezzo di formaggio. Io l’ho trasformata in «la bocca non è soddisfatta finché non sa di cioccolata. In più, il cioccolato aiuta ad autoprodurre endorfine e buon umore».

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