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ICE – Prese di beneficio spingono al ribasso il mercato newyorchese

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MILANO – Il giro di boa mensile ha visto forti ribassi sul mercato newyorchese, dopo i picchi vertiginosi della settimana passata. Tra venerdì scorso e lunedì, il contratto principale, ossia quello per scadenza maggio, ha lasciato sul terreno un totale di 1.455 punti tornando in area 190 centesimi.

Modesti guadagni hanno caratterizzato la seduta di ieri, con maggio in nero di appena 15 punti a 191,55 cents.

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A determinare le prese di beneficio di questi ultimi giorni ha contribuito il parziale miglioramento del quadro meteo nelle principali aree di produzione brasiliane.

Le previsioni danno per probabili precipitazioni di buona intensità e qualità di qui alla metà della prossima decade.

Se confermato, tale scenario consentirebbe di escludere danni ulteriori alle colture. L’incertezza sulle conseguenze della forte siccità dei mesi trascorsi continua comunque a farla da padrona, come dimostrato dalla forte volatilità che caratterizza, al momento, i mercati.

A detta degli addetti ai lavori bisognerà aspettare perlomeno sino al prossimo mese, per avere un’idea un po’ più precisa sui cali di raccolto ipotizzabili per quest’anno. Il rischio di nuove incursioni al di sopra della soglia dei due dollari per libbra è dunque sempre presente.

Il contratto benchmark ha toccato i suoi massimi mercoledì scorso sfiorando i 210 centesimi (209,75 cents, per l’esattezza): un valore che non veniva visualizzato sugli schermi dell’Ice dal febbraio di due anni fa.

Quali i possibili sviluppi a breve?

“Il ritracciamento in atto in questi giorni dà l’impressione di essere soprattutto un momento di profit taking” ha dichiarato ieri Romain Lathière, di Diapason Commodities Management lasciando intendere che i prezzi potrebbe tornare a salire.

Più rassicuranti le parole di una nota di Commerzbank, secondo la quale, se le piogge delle prossime settimane saranno sufficienti “il rally è probabilmente destinato a terminare”. Il che non significa, naturalmente, tornare ai livelli di prezzo pre-siccità.

Ci si interroga sin d’ora sulle possibili ripercussioni del rally newyorchese sui listini dei torrefattori e sul prezzo della tazzina. Le diverse politiche di gestione delle scorte operative da parte dei torrefattori di casa nostra, unite a una certa flessibilità, fanno sì che gli aumenti nei costi del caffè verde vengano, di norma, ricaricati sui prezzi al pubblico soltanto a una certa distanza di tempo.

È chiaro che qualora il trend attuale dovesse confermarsi, un ritocco ai listini sarà, a un certo punto, improrogabile.

Diverso il discorso negli Usa, dove i prezzi del dettaglio sono molto più sensibili alle oscillazioni, al rialzo e al ribasso, dei mercati. Tanto che molti piccoli e medi torrefattori preannunciano, sin d’ora, rincari nell’ordine del 10-15% nell’arco delle prossime settimane, se la situazione non cambierà.

L’ultima ondata di aumenti nel dettaglio americano risale al 2010-2011, quando tutti i principali competitor furono costretti ad adeguare, più volte, i prezzi di vendita dei loro prodotti più popolari, a causa del lungo rally che spinse gli arabica ai massimi ultratrentennali. Superato il momento critico, i listini vennero gradualmente tagliati.

I prezzi di Folgers (J.M. Smucker Co.) e Maxwell House (Kraft Foods Group) sono stati abbassati per l’ultima volta (circa il 6% in meno) a febbraio 2013.

Starbucks ha tagliato del 10% i prezzi al dettaglio consigliati dei prodotti a proprio marchio nel maggio dell’anno scorso, ma circa un mese più tardi ha disposto rincari di analogo tenore su alcune delle bevande servite nelle proprie caffetterie americane.

I grandi torrefattori attuano complesse strategie di hedging sui mercati a termine, che li pongono al sicuro, in una certa misura, dalle variazioni dei prezzi, dispongono di scorte più ampie e godono di un potere contrattuale nei rapporti di fornitura, che li mette in condizione di blindare i prezzi e coprirsi le spalle.

Starbucks e Keurig Green Mountain, ad esempio, affermano di essere coperti per l’interno 2014 e, addirittura, per parte del 2015. I già citati Folgers e Maxwell House declinano invece i commenti sulle possibili scelte di prezzo nei prossimi mesi.

Ma a lungo andare, una ripresa sostenuta nei prezzi degli arabica e degli stessi robusta (comunque ai massimi dall’anno scorso) non potrà non avere conseguenze, anche nei bilanci dei colossi dell’industria.

Lo riconosce sin d’ora Dave Brearton, cfo di Mondelēz International, che ha in portafoglio marchi del calibro di Kenco, Jacobs, Hag e Splendid.

“Se si manterranno gli attuali livelli di prezzo, il nostro outlook per l’intero anno potrebbe cambiare” ha dichiarato Brearton poco più di un mese fa, quando New York era ancora in area 140 cents. “In tale caso, un adeguamento dei listini sarebbe chiaramente inevitabile”.

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