mercoledì 10 Aprile 2024
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“Il gelato artigianale? Non esiste perché il 65% delle gelaterie usa semilavorati”

Tra prodotto fresco e industriale c'è una grossa differenza che possiamo imparare a riconoscere, ma realizzare grandi quantità di gelato sul momento significa rinunciare – quasi sempre – all'artigianalità 100%

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Preparatevi allo shock: nel 65% delle gelaterie italiane si usano basi già pronte fornite dalle industrie di semilavorati. E’ il dato che emerge da un’indagine telefonica condotta da Periscope per conto di Aiipa (Associazione italiana industrie prodotti alimentari). La “base” è composta da emulsionanti e stabilizzanti, quasi sempre di origine naturale, alla quale, poi, ogni gelatiere aggiunge tutto il resto: soprattutto latte, ma anche panna, zuccheri, a volte uova e burro, frutta fresca o surgelata o, nel caso delle creme, paste (ad esempio di cioccolato o nocciola). Senza questi semilavorati è difficile ottenere un gelato cremoso e che non si sciolga in pochissimi minuti.

Con quasi 10.000 laboratori artigianali in tutto il Paese, l’Italia continua ad essere la patria del gelato. Ma pochi italiani sanno davvero quale procedimento c’è dietro, e soprattutto qual è la differenza tra uno artigianale e uno industriale.

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Forse è per questo che la maggior parte di noi ne ha un’idea “romantica”, in parte slegata dalla realtà. La colpa è anche delle strategie di marketing di alcuni gelatieri. Ci hanno fatto credere che tutti gli ingredienti di un gelato artigianale siano freschi e preparati sul momento, ma non è quasi mai così. Forse è per questo che gli stessi addetti ai lavori stanno cercando di virare dal termine “artigianale” a “di produzione propria”.

Come si fa un gelato artigianale. I gelatieri che utilizzano le famigerate “basi” in realtà non truffano nessuno. Questi prodotti possono essere più o meno completi: le basi “a bassa grammatura” o neutre sono quelle di cui abbiamo parlato, ma esistono tante altre gradazioni. Quelle ad alta grammatura sono un “quasi gelato”, al quale basta aggiungere latte e acqua per ottenere il prodotto finito. Certo, è realizzato sul momento, ma di qualità inferiore. E per produrlo non servono grandi competenze. In generale, più semplice è la base, più è decisivo il ruolo dell’artigiano. Anche nella scelta degli ingredienti: il latte può essere fresco e di alta qualità oppure a lunga conservazione; la frutta può essere congelata e provenire da un altro continente oppure a chilometro zero, biologica e di stagione. E così via.

“Normalmente le basi compongono circa il 10% di un gelato fresco. Il resto ce lo mette il gelatiere” spiega Fabrizio Osti, tecnologo alimentare e presidente di Aiipa gruppo prodotti per gelato. “Molti gelatieri si fanno preparare dalle industrie (che sono quasi sempre piccole-medie imprese) delle basi personalizzate, fornendo loro precise ricette da eseguire”. Spesso è solo una questione di velocità. “Per fare una vaschetta da 4 chili ci vogliono circa 10 minuti. Ipotizzando 20 gusti diversi e almeno un ricambio al giorno, il ritmo diventa difficile da sostenere, ecco perché molte gelaterie con una clientela numerosa si rivolgono all’industria”.

Una volta preparato il fiordilatte, bisogna dargli il gusto. Come? Nella stragrande maggioranza dei casi, unendolo a delle paste già pronte al pistacchio, alla cioccolata, alla nocciola etc. L’alternativa sarebbe – ad esempio – scegliere pistacchi freschi, sgusciarli, tostarli, tritarli e raffinarli per renderli pastosi. Tutto questo ogni giorno e a costi elevati. Ecco perché sono pochissimi i gelatieri 100% artigianali. Anche in questo caso la scelta spetta all’artigiano: i pistacchi usati per le creme, così come le nocciole e altri gusti, possono essere di maggiore o minor qualità.

Diverso il discorso per i gusti alla frutta, che oltre a non utilizzare latte sono più “naturali”. “In una vaschetta una percentuale tra il 20 e il 50% del peso è composta da frutta, fresca o congelata” continua Osti. Nel retrobottega di ogni seria gelateria artigianale, quindi, dovremmo aspettarci di vedere una cassetta di frutta fresca che viene utilizzata il giorno stesso. Molte gelaterie servono solo gusti di stagione, altre invece preferiscono non rinunciare al melone d’inverno e alla mela d’estate. E in questi casi il surgelato è inevitabile. Alla frutta fresca si aggiunge – quasi sempre – un 2% di concentrato. “E’ una specie di marmellata concentrata che si utilizza per uniformare colore, sapore e acidità della frutta: perché non è detto che un frutto fresco sia egualmente dolce ogni giorno” precisa Osti. Non è facile spiegare a un cliente che il gelato alla fragola è insipido perché le fragole del giorno non erano molto saporite.

Qual è la differenza? Un gelatiere artigianale che utilizza le basi, quindi, non è un impostore. Chi utilizza quelle ad alta grammatura nemmeno, ma vende un prodotto di qualità medio-bassa. Insomma, un gelato che forse non avremo voglia di provare una seconda volta.

La differenza con la produzione industriale è comunque netta. È soprattutto un discorso di freschezza. Il gelato artigianale viene venduto nello stesso luogo dove viene realizzato il giorno stesso. Nelle gelaterie con più clientela le vaschette vengono anche riempite più volte. Questo fornisce ulteriori garanzie di freschezza perché significa che nuovo gelato viene prodotto anche nel corso della giornata. Quello industriale invece viene preparato, congelato e poi distribuito nei supermercati o nei bar-gelateria. Tra lavorazione e consumo finale possono passare anche diversi mesi.

“Un gelato fresco si scioglie in bocca; uno realizzato tre mesi prima, al massimo si mastica” sintetizza Osti. Cremosità e scioglievolezza sono caratteristiche che il palato riconosce subito. Ma ci sono altri “trucchi” per riconoscere un cono fresco ancor prima di acquistarlo. Il gelato industriale viene spesso venduto in vaschette di plastica, mentre gli artigiani utilizzano quelle in acciaio, che tengono meglio il freddo e si lavano più facilmente. Anche la presentazione conta: “Un gelato artigianale è più morbido e spesso fuoriesce dalla vaschetta: il venditore riesce a fargli delle curve o dei disegni sulla superficie, cosa molto più difficile con un prodotto industriale che è più compatto e meno spalmabile” continua Osti.

Spesso si parla anche di colore: quelli più vivaci sono la spia di coloranti che con l’artigianalità hanno poco a che fare. “Questo è sempre meno vero: per fortuna l’industria ha fatto passi avanti e si sta orientando sempre più verso prodotti più naturali. I colori molto accesi erano più in voga negli anni Novanta” conclude il tecnologo alimentare.

I gelati “senza”. Fresco o conservato che sia, una cosa è certa: il gelato è ricco di latte e zucchero. Non a caso negli ultimi anni sono diventate molto popolari le versioni senza latte e senza zucchero. Secondo uno studio internazionale pubblicato dall’agenzia di marketing Mintel, il 69% degli italiani è interessato a un gelato senza latte vaccino, a base di bevanda di mandorla o di cocco. Si tratta di gelati più sani? “Bisogna ricordare che le alternative al latte vaccino sono spesso più caloriche e più grasse” spiega Stefania Ruggeri, nutrizionista e ricercatrice del Crea alimenti e nutrizione. “Fatta eccezione per intolleranti e allergici al lattosio, in generale diffiderei di tutti i prodotti ‘senza’ qualcosa. Perché bisogna capire cosa si usa al posto della sostanza bandita”.

Vale anche per lo zucchero. Di recente l’Oms ha rivisto le linee guida in materia di alimentazione, abbassando al 10% dell’intake energetico totale la soglia massima di zuccheri giornaliera per limitare i rischi di obesità e sovrappeso. Per i bambini l’asticella si abbassa addirittura al 5%. Si parla di zuccheri aggiunti, non di quelli naturalmente presenti nella frutta o nel latte. Per raggiungere quota 10% può bastare anche un solo gelato. “Nessun nutrizionista avrebbe il coraggio di negare un gelato – tranquillizza Ruggeri – e un bambino può anche mangiarne uno al giorno, specie se artigianale, ma è necessario eliminare le fonti inutili di zucchero nella giornata: in primis le bevande gassate e i succhi di frutta, poi biscotti e merendine molto dolci. Per gli adulti valgono le stesse raccomandazioni più il caffè senza zucchero”. Tre cucchiaini di zucchero, infatti, corrispondono più o meno al fatidico 10%.

Ma cosa c’è in quei gelati “senza zucchero” che attirano sempre più consumatori? Molto spesso c’è la stevia, una sostanza con un potere dolcificante che può superare di 300 volte quello del saccarosio, ottenuto dalle foglie di una pianta tipica di Paraguay e Brasile. Neanche la stevia, però, è la soluzione di tutti i problemi: l’autorità europea per la sicurezza alimentare, Efsa – pur escludendo effetti genotossici o cancerogeni – ha stabilito una dose giornaliera ammissibile di 4 milligrammi per chilo di peso corporeo. “Non si tratta di eliminare il gelato dalla propria dieta né di eliminare lo zucchero dal gelato: meglio dosare lo zucchero in modo razionale” prosegue Ruggeri. Un caffè senza zucchero, in fondo, è una questione di abitudine.

I gelati artigianali non hanno etichette. Per i nutrizionisti è difficile calcolare l’apporto calorico di questi prodotti. “Si può ipotizzare che, a parità di peso, la quantità di zuccheri sia più o meno simile – spiega la ricercatrice del Crea – ma oltre alla quantità bisogna anche valutare la qualità: molti gelati industriali contengono olio di palma o di cocco, ricchi di grassi saturi (e non solo, secondo un recente parere di Efsa, ricordato dalla stessa Ruggeri, l’olio di palma raffinato contiene sostanze potenzialmente cancerogene, ndr). Questi grassi servono per conferire cremosità e stabilità al prodotto nel lungo periodo. Nei gelati artigianali questo ruolo è svolto dalla panna che ha meno grassi e non contiene sostanze potenzialmente cancerogene. Non solo: i gelatieri che usano frutta fresca di stagione possono permettersi di aggiungere meno zucchero, perché la frutta matura ne contiene già molto”.

Federico Formica

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