venerdì 20 Giugno 2025

Edy Bieker spiega bene cosa sono i caffè tracciabili: “L’invenzione di Vinko Sandalj ancora funziona”

Bieker: "Il termine "tracciabili" poteva rappresentare pure dei caffè che non avevano i criteri per essere definiti specialty in quanto non sottoposti alla relativa valutazione, magari per il costo che comportava, ma che però avevano un valore organolettico notevole.”

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  • TME Cialdy Evo

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MILANO – Edy Bieker è un nome che ancora si fa sentire nel settore del caffè: dopo aver svolto per trentatré anni, due mesi e tre giorni prima il ruolo di responsabile del controllo qualità e poi di vicepresidente della storica azienda triestina importatrice di caffè crudo Sandalj Trading Company SpA, ora torna su queste pagine per raccontare un concetto parallelo allo specialty coffee, ovvero quello dei caffè tracciabili.

Bieker: cosa sono questi caffè tracciabili, come e quando è nata questa definizione?

“Innanzitutto quella dei caffè tracciabili è un’invenzione di Vinko Sandalj, che è stato per tanti versi un precursore visionario e, sicuramente, un pioniere del settore.

Fatta questa premessa, torniamo alla domanda: come nasce la definizione di caffè tracciabili? Attorno al 2005-2006, quando Vinko era attivo e con incarichi importanti all’interno di quelle che allora erano SCAE e SCAA, ancora il sistema dei punteggi per valutare gli specialty non era ben codificato e anzi, tutto appariva piuttosto fumoso. Così, ad un certo punto, considerato che in laboratorio davamo sempre la priorità al valore organolettico del caffè più che alla tracciabilità, è spuntata l’idea: creiamo la categoria dei caffè tracciabili.

Dei caffè che certo, in primis, dovevano essere di qualità superiore rispetto a quelli che si trovavano diffusamente sul mercato, ma che ponevano l’accento anche su altri elementi relativi a informazioni non solo organolettiche.

Non è stato facile: all’epoca i Paesi produttori erano assai poco attrezzati e ricevere informazioni utili a tracciare il crudo spesso era irrealistico, con dati poco attendibili, addirittura con nomi di località geografiche diverse da quelle effettive.

Non c’erano neppure indicazioni chiare sull’anno di produzione o sui sistemi di coltivazione e di processo. Per questo abbiamo dovuto sviluppare una nostra scheda relativa alla tracciabilità, che giravamo ai produttori per la compilazione.

Tramite il questionario domandavamo ai farmer di indicare diversi parametri, come l’altitudine, i metodi di raccolta e di lavorazione, alcune notizie relative ai produttori stessi e alla zona geografica di riferimento, ecc..

Se non riuscivamo a ottenere dei dati completi e rappresentativi di ciò che il campione doveva riportare in tazza, nonché le relative informazioni di filiera, non si concludeva l’acquisto o, semplicemente, l’eventuale acquisizione non entrava nella categoria dei caffè tracciabili.”

“La Sandalj non ha fatto altro che muoversi all’interno di un filone mondiale che spingeva per avere notizie più precise su questi aspetti.”

“Per creare una rete solida di produttori che fornissero informazioni realistiche, abbiamo impiegato parecchi anni. Molti produttori hanno tentato di cavalcare questa occasione per ottenere un prezzo migliore, senza però offrire un prodotto qualitativamente superiore. Oppure, un altro problema, era quello di conoscere le reali varietali presenti all’interno di un lotto di caffè.

Negli anni, per fortuna, si è verificato poi il fenomeno inverso e sono stati direttamente i produttori, anche con l’aiuto di internet, ad entrare in contatto con noi per proporci la loro materia prima con informazioni attendibili e, soprattutto, verificabili.”

Bieker, si potrebbe dire che molti preferiscono caffè tracciabili al posto del termine specialty coffee, come mai?

“Ci sono varie spiegazioni e problematiche da vagliare a tal proposito, soprattutto per quanto riguarda il mercato italiano; all’epoca in cui sono stati stabiliti i punteggi come valutazione del caffè crudo, gli assaggi venivano svolti teoricamente da un gruppo selezionato di assaggiatori (Q Grader) autorizzati da un ente specifico (CQI) e veniva giudicata la campionatura di uno specifico lotto di caffè crudo proposto direttamente dal produttore.

Tutto questo è nato per aiutare i coltivatori e dare il giusto valore alla loro materia prima. Valore che veniva stabilito sul campione consegnato dal produttore e che veniva prima valutato sul crudo per poi essere assaggiato in cupping. Succedeva poi che lo stesso caffè giungesse nei Paesi di consumo o in Italia, a distanza di mesi, magari dopo essere rimasto stoccato per tanto tempo in magazzino in condizioni non troppo favorevoli e, quando arrivava nelle mani del torrefattore, poteva esser stato soggetto al depauperamento della sua qualità originaria.

Per non parlare delle criticità successive legate alla conservazione non solo del caffè crudo, ma anche del tostato e, infine, delle problematiche inerenti alla sua trasformazione in una bevanda.

La tazza, in particolare l’espresso che presenta delle complessità maggiori e importanti sia per la poca bevanda estratta, sia per la concentrazione aromatica che ne risulta, poteva risultare così totalmente diversa rispetto a quella che era stata descritta nell’assaggio iniziale.

Al tempo i torrefattori non potevano usare il termine specialty sulle loro confezioni in quanto solo il lotto iniziale di crudo proposto dai produttori poteva fregiarsi con questo titolo, dopo il controllo effettuato dai Q Grader incaricati; anche se spesso lo applicavano comunque. Definirli invece come caffè tracciabili, dava modo di sottolineare un valore più elevato rispetto ai normali prodotti commerciali, descrivendo una tazza differente da far gustare al consumatore finale, arricchendo contemporaneamente il piacere del bere il caffè con notizie di filiera relative alla bevanda stessa.

Il termine “tracciabili” poteva rappresentare pure dei caffè che non avevano i criteri per essere definiti specialty in quanto non sottoposti alla relativa valutazione, magari per il costo che comportava, ma che però avevano un valore organolettico notevole.”

Da non dimenticare infine che la nostra valutazione avveniva, e avviene tuttora, sul campione di sbarco del caffè arrivato in Italia.”

“Ora con il nuovo CVA della SCA si sta sempre più ridimensionando il semplice sistema di punteggio e molto spazio trova proprio l’aspetto della tracciabilità e della descrizione”

“La tracciabilità e la sua trasparenza è sempre stata un punto importante per conoscere la filiera di un prodotto.

Quando sono state create le schede qualitative per l’espresso nella nostra azienda, ho notato che in effetti il punteggio dava solo un’idea generica, senza essere molto discriminante e indicativo: sui caffè particolarmente buoni, ci siamo resi conto che i punteggi (espressi in decimi) non potevano descrivere adeguatamente tutti quei chicchi che valutavamo al di sopra di un certo punteggio di eccellenza (ad esempio gli otto decimi).

Per fornire un’analisi più completa, abbiamo cercato di produrre delle schede che fossero semplici da comprendere e che non si dilungassero eccessivamente nelle descrizioni, ma evidenziassero le diverse caratteristiche e sfumature principali di ogni caffè assaggiato: questo per far capire a chi le leggeva verso quali elementi olfattivi e gustativi si stava approcciando.

Dare un voto quindi può essere utile, ma spesso non aiuta a comprendere bene cosa rappresenti quel valore numerico. Si può descrivere la materia prima anche sul piano della tracciabilità, intesa come la storia, il luogo geografico, il suolo, gli alberi presenti o meno, ecc. E non soltanto basandosi sulle percezioni organolettiche presenti in una tazzina di espresso. Questo permette di identificare meglio le caratteristiche di ciò che si ha davanti e di orientarsi meglio rispetto ai propri obiettivi commerciali.

Il cliente, torrefattore, barista o consumatore finale che sia, potrà scegliere cosa acquistare non solo in base al prezzo, ma pensando alle caratteristiche percepibili dal punto di vista organolettico, capendo anche a quale di queste dare priorità, oppure, nel caso di un torrefattore, se sfruttare meglio il verde in monorigine piuttosto che in una miscela.

Consideriamo poi che i singoli lotti che rappresentano un’unica varietà, sono spesso pochi rispetto a quelli che vengono miscelati già in origine in crudo. Uno dei principali compiti da parte degli assaggiatori nei Paesi produttori, all’interno delle stesse cooperative o delle singole aziende familiari, è far sì che i vari caffè prodotti utilizzando varietali diverse, una volta miscelate in maniera sapiente, possano fornire un sapore costante nel tempo.

Collegato a questo, ci siamo dovuti confrontare con un altro effetto collaterale dato dall’ingresso degli specialty coffee: se prima capitava che all’interno di determinate nostre linee di crudo dall’origine potessimo contare sulla presenza di qualche lotto che, miscelato con altri, conferiva al prodotto finale una particolare aromaticità o caratteristica, spesso quello stesso lotticino veniva classificato e dirottato sul mercato degli specialty. Si, determinava così un conseguente calo della qualità di quello che era in precedenza il nostro prodotto iniziale e non era chiaro se il singolo produttore riusciva effettivamente ad avere la soddisfazione monetaria che aveva sognato di avere.

Quindi, se da una parte gli specialty hanno rappresentato un’opportunità per i farmer, premiati per la loro qualità, dall’altra hanno avuto degli effetti collaterali sul mercato dei caffè commerciali, spesso impoverendoli qualitativamente.

Come importatori attenti, ci siamo accorti di questo fenomeno e il laboratorio, creato a supporto della qualità, è stato all’avanguardia da questo punto di vista. Per noi è sempre stato più importante classificare il crudo sul piano organolettico per l’espresso (e non solo), che pensare ai prezzi bassi, proprio per supportare sia i produttori, sia anche i torrefattori e, di conseguenza i consumatori finali, cercando di avviarli verso un consumo qualitativo migliore e consapevole.

Quindi la differenziazione creata a suo tempi e gestita in maniera estremamente attenta dal laboratorio Sandalj ha dato un valore a dei caffè che non avevano qualificazioni derivate dai punteggi SCA, ma che erano comunque di qualità molto elevata, accompagnandoli con delle ulteriori notizie di tracciabilità relative al lotto stesso.

Per questo sono una soluzione che continua ad esistere ancora oggi, con una buona partecipazione di coltivatori che vogliono svolgere un ottimo lavoro senza dovere o potere passare per determinate dinamiche di certificazione.”

E i caffè tracciabili possono essere la risposta anche all’imminente regolamentazione EUDR?

Bieker: “La tracciabilità è nata per avere notizie sulla piantagione, sulla coltura, la filiera iniziale e tutto ciò che si riferisce al caffè di un singolo lotto. L’EUDR rischia di rappresentare un grosso problema per i tantissimi produttori che sembrano non essere ancora pronti, nonché per gli importatori europei a causa dei rischi e costi che potrebbe crearsi. Se a questo aggiungiamo anche il fatto che molti Paesi importatori hanno pochi stimoli ad applicare un vincolo di questo genere, è evidente che si prospettano delle notevoli ripercussioni commerciali.

Con l’EUDR dovremmo confrontarci con una politica perseguita dall’Europa, ma bypassata da altri Paesi.

Mi auguro non succeda come è già accaduto per il grano. Quando l’UE ha impedito l’uso del glifosato nelle coltivazioni di grano, molti piccoli produttori, come quelli italiani della Puglia, sono stati obbligati a investire molto denaro per adeguarsi alle nuove, giuste, disposizioni. Le autorità europee non hanno tuttavia proibito l’importazione di grano importato da paesi non UE, coltivato utilizzando il glifosato. Ovviamente il prezzo era, e credo lo sia ancora, molto più basso, con conseguente notevole danno dei nostri piccoli produttori che non sono riusciti a far quadrare i bilanci, soccombendo alla situazione.

Quindi sì, l’EUDR è giusto ed etico, a patto che sia gestito a livello globale. Non vorrei si trovassero degli escamotage per far arrivare dei caffè in maniera anomala, non verificabile. Della serie: chi controlla i controllori? Spero di sbagliarmi ma, nell’attuale situazione di mercato, tutti guardano al prezzo e ai costi con molta attenzione e perplessità per il futuro. Il timore è che, con l’entrata in vigore della regolamentazione, la situazione globale possa peggiorare.

La deforestazione è basilare per il Pianeta, ma deve essere un discorso portato avanti da tutti indistintamente, non solo da pochi Paesi.”

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