giovedì 11 Aprile 2024
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Edy Bieker non ha dubbi: “È impensabile paragonare Arabica e Robusta a livello gustativo”

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MILANO – Edy Bieker, amministratore delegato della Sandalj Trading Company e tra i maggiori esperti di caffè, non ha bisogno di presentazioni tante sono le volte che è intervenuto su Comunicaffè. Abbiamo approfittato di una recente conversazione con lui per approfondire il tema Rubusta. Una specie che è sempre più al centro dell’attenzione. Nonostante sia tanto l’interesse sugli Arabica, soprattutto se Specialty.

In realtà il (caffè) Robusta o la (specie) Robusta è da sempre molto utilizzato dagli specialisti di miscele per l’espresso italiano. Eppure è assai poco apprezzato dai talebani degli Speciality, tutti Arabica.

Dove sta la verità? Come al solito, forse, nel mezzo

Ma come si suol dire, per non saper né leggere né scrivere, ci siamo rivolti a Edy Bieker. Con lui abbiamo cercato, per quanto sia possibile in una breve conversazione, di fare un po’ di luce in questo mistero circa una delle due specie botaniche più conosciute nella filiera.

Una prima domanda per scaldare i motori

Si scrive Arabica e Robusta, maiuscolo. (a dire il vero si dovrebbe scrivere con l’iniziale in minuscolo) Gli Arabica, o le Arabica. Qual è la versione corretta?

“Si parla di specie Robusta come di una delle più importanti e commerciali del genere Coffea. Quindi è singolare femminile. Diventa “il” robusta, se il soggetto è “il caffè”. Lo stesso vale per Arabica.”

Bieker ha bevuto più di un milione di campioni di entrambe le specie nella sua vita professionale

E noi ne parliamo perché comunque è un caffè considerato come uno degli elementi caratteristici dell’espresso italiano tradizionale. Composto proprio alla sua origine, dalla miscelazione di Arabica e Robusta. Così dicono alcuni.

Allora perché c’è così tanto pregiudizio rispetto a una specie che fa parte del dna di un grande prodotto italiano?

“Parto da una lieve contraddizione in termini. In generale non demonizzo in assoluto la specie Robusta. Ma non me la sento neppure di poter paragonare un ottimo Robusta a un buon Arabica. Parto da un punto di vista molto semplice: gli Arabica hanno una capacità aromatica decisamente superiore in senso qualitativo rispetto a qualsiasi Robusta.

Nei Robusta io trovo sempre una grande tattilità. Cioè grande corpo e persistenza. Ma da un punto di vista sensoriale, di gusto e sapore, l’elemento predominante è di sicuro l’amaro. E, spesso e volentieri, l’amaro è decisamente disarmonico e aggressivo. Per questo non posso definirlo granché buono.

Quindi posso fare una differenziazione immediata

Negli Arabica, più vado a percepire in termini aromatici, maggior valore attribuisco al caffè che sto degustando.

Nei Robusta, succede esattamente l’inverso. Meno percepisco la parte legata al gusto e al sapore, ovvero un amaro che ricorda la terra e il legno, o la muffa o l’erba. Con conseguente astringenza, maggior valore hanno i caffè che sto degustando.”

C’è un aspetto di base genetico

La specie Robusta, rispetto all’Arabica ha esattamente la metà dei cromosomi. L’Arabica assomiglia all’uomo con 44 cromosomi, la Robusta ne ha 22. Gianni Frasi diceva: la quantità di dna che c’è dentro un elemento vegetale, permette a esso di esprimere molto più aroma.

“Sono d’accordo. Gli Arabica mi regalano molte più emozioni legate al mondo sensoriale rispetto a qualsiasi Robusta. Esistono però anche degli Arabica che sono più scadenti dei Robusta. Quindi, a volte, parlare di 100% Arabica è semplicemente un concetto che non rispecchia la realtà e crea confusione nei consumatori.

Ma a livello di grandi miscele e di grandi caratterizzazioni è assolutamente impensabile, per quella che è la mia esperienza, trovare dei Robusta che possano esprimere a livello gustativo aromatico, delle caratteristiche superiori o quanto meno pari agli Arabica.

Mi spiego meglio

In una grande miscela, se devo utilizzare del caffè Robusta, lo faccio per aumentare la tattilità. Quindi per il corpo e la persistenza. Ma se vado a cercare qualcosa di più fragrante che possa arricchire o rendere più complessa le percezione sensoriale, faccio molta fatica a riconoscere questa caratteristica in qualsiasi Robusta.

“Per me un Robusta è tanto più buono quanto più è neutro “

Recentemente durante un corso tenuto da Agnesiska Rojewska, campionessa mondiale di caffetteria 2018, ha specificato come il Robusta non sia per sua natura meno pregiata dell’Arabica. La scarsa qualità del Robusta è dovuta all’adozione di metodi di coltivazione e lavorazione poco accurati.

Cosa ci dice a riguardo?

“Sicuramente questo è un aspetto che va a incidere sulla qualità dei Robusta. Ma si possono trovare dei Robusta, lavati soprattutto, di grande pulizia e di grande pregio per come vengono coltivati e lavorati. Vedi i lavati indiani e in particolare il Kapi Royal, nel quale però faccio fatica a trovare qualcosa oltre a un’accattivante e amabile neutralità.

Questa particolarità lo rende un caffè di notevole interesse in quanto poco amaro e senza altre caratteristiche sgradevoli. Non lo posso però paragonare a qualche ottimo Arabica dove percepisco dei gusti superiori a livello di amaro, di dolcezza, di acidità e complessità. Con i sapori che ne conseguono.”

Ma lei un Robusta dolce lo ha mai trovato?

“Esistono in realtà. I caffè che vengono dall’Indonesia, in maniera specifica dall’isola di Jawa, i cosiddetti Jawa lavati Wib, hanno una dolcezza quasi stucchevole. Come se noi mettessimo in una tazzina di caffè non un solo cucchiaino di zucchero, ma due o tre. Quindi un dolciastro intenso, con sempre e comunque però un fondo leggermente legnoso. Il problema di questi caffè è la reperibilità in termini di continuità e, talvolta, una non perfetta lavorazione.

A prescindere però, sono caffè che spesso e volentieri sono difficili da tostare perché molto oleosi, con rapida tendenza a rilasciare una notevole untuosità che sfocia, sia a livello olfattivo che gustativo, nel rancido. Restano veramente delle eccezioni che confermano la regola.”

Come mai il Robusta è trattato in maniera approssimativa e con trascuratezza in fase produttiva?

“Sicuramente la ristrettezza economica dei Paesi produttori, a prescindere forse dall’India che è un Paese più evoluto e del Vietnam che sta progredendo molto, è alla base di tutto. La povertà di chi coltiva, e mi riferisco soprattutto all’Africa, ma non solo, ha un grande impatto da questo punto di vista con le relative conseguenze qualitative.

Nella maniera più assoluta i caffè crudi potrebbero esser preparati meglio. Noi siamo costretti a dover ri-lavorare e selezionare tanti caffè Robusta che arrivano dall’origine decisamente preparati male. Sicuramente aiutare i Paesi produttori potrebbe dare un grande contributo.”

Invece che insistere sull’onda dello Specialty, che in particolare predilige le monorigine Arabica e anche le miscele a base di Robusta, non si potrebbe rivalutare la Robusta proprio nell’ottica della selezione di chicchi meno difettati?

“Certo. Ricordo che agli albori della mia carriera nel mondo del caffè, esistevano alcuni caffè Robusta lavati che provenivano dal Congo e anche dall’Uganda, davvero definibili dolci e amabili. Ottimi per essere dei Robusta! Purtroppo, i vari accadimenti che hanno interessato quelle zone quali guerre, economia, problematiche politiche, ecc, hanno fatto perdere quelle tradizioni. Quindi oggi come oggi, quei caffè non esistono più o al massimo sono delle brutte imitazioni.

Faccio comunque fatica a paragonare a livello alto di qualità anche quei caffè con un ottimo Arabica. Possono diventare complementari, ma fondamentalmente ribadisco che per me la specie Robusta va utilizzata, nelle miscele italiane di alto valore qualitativo, fondamentalmente per la sua tattilità e neutralità.”

La tostatura ha la sua parte nel correlare l’amarezza della tazzina alla scarsa qualità del Robusta

Ma di nuovo, lavorando con più accuratezza sulle curve di tostatura, magari tostando separatamente Arabica e Robusta, il risultato in tazza potrebbe essere diverso?

“Bella domanda. Sì. Sicuramente sì. In quanto spesso e volentieri i Robusta tostati più chiari esprimono un’asprezza maggiore rispetto e quella che potrebbero effettivamente presentare. Oppure, in alternativa, risultano tostati in maniera eccessiva, dando così maggior risalto alla parte amara, che sa però di bruciato e maschera un’eventuale amabilità. ”

Certo è che in Italia, la moda è quella del bruciato e del molto scuro, che aumenta l’amaro ma fa sparire gli altri effetti negativi del Robusta, li brucia

“Diciamo che questo tipo di tostatura, definibile ormai commerciale per l’uso comune e inveterato in alcune parti d’Italia, ma anche all’estero, come ad esempio in Spagna, sicuramente cela e dissimula molto. Fa percepire fondamentalmnte l’amaro, che però ricorda la gomma bruciata.

Piuttosto di quello che riporta alle noccioline o alla frutta secca o al cacao fondente. Soprattutto, dato che questo tipo di tostatura viene applicata sia sui Robusta che sugli Arabica, l’effetto principale è disperdere le note aromatiche che vengono bruciate con la tostatura e sperperate su per il camino.”

C’è qualcuno che sostiene che esistono delle interspecie di Robusta, che somigliano molto all’Arabica come caratteristiche rese in tazza

Secondo lei si potrebbe pensare di investire in questa pianta, oppure non sarebbe sostenibile dal punto di vista economico?

“Questo viene già fatto da tempo. Che ci sia stato l’utilizzo di dna di Robusta per rafforzare determinate varietà di Arabica è qualcosa che accade da anni. Ricordo in tempi più lontani, la creazione dell’Arabusta. Questo mi porta a evidenziare un altro tipo di pensiero: le malattie, tipo la roja, che stanno creando dei problemi per le varietà dell’Arabica o il cambiamento climatico.

Che sta spostando la coltivazione del caffè più in altitudine ma che, allo stesso tempo, ha abbassato le colture che si trovavano più in alto, con conseguente restringimento della forbice di coltivazione.

Tutto questo ha fatto sì che negli ultimi anni siano già state messe a dimora delle nuove varietali più resistenti e produttive. Ma molto più scadenti dal punto di vista qualitativo e con un notevole ma evidente depauperamento rispetto a prima.”

Secondo lei si fa abbastanza ricerca sul Robusta, soprattutto in Italia dove si dovrebbe esser più affezionati a questa specie?

“Piuttosto che in termini di ricerca pura, secondo me si continua a fare ricerca fondamentalmente da un punto di vista commerciale. Credo che l’utilizzo del caffè Robusta sia ancora visto in maniera errata rispetto all’effettivo suo valore tecnico e che sia quindi più legato al mondo dell’economicità.

In quanto, mediamente parlando, costa di meno. Non dimentichiamo poi che l’utilizzo di tale specie è spesso interpretato, o suggerito, come un modo per aiutare il barista nel non dover regolare troppo la macinatura e avere meno problemi nell’estrazione. Io spero sempre di poter riuscire ad assaggiare una varietà di Robusta che possa smentire questa mia esperienza. E la speranza è l’ultima a morire.”

C’è chi sostiene che coltivando alla stessa altezza Arabica e Robusta, si possa ottenere lo stesso risultato

“Io non credo perché sono due specie diverse. Nella mia esperienza non l’ho mai verificato. Non mi è mai capitato. Se ho provato dei Robusta superiori agli Arabica è perché questi ultimi valevano molto poco e non viceversa.”

Da dove si dovrebbe cominciare secondo lei sul fronte del Robusta: dalle aziende o dal consumatore, per definire bene di cosa stiamo parlando?

“La mia percezione è che al consumatore finale non sia ancora arrivata chiarezza rispetto all’interpretazione della bevanda che si chiama espresso. Basterebbe insegnare loro a riconoscere i difetti e le caratteristiche principali. I pregi e le differenze emergerebbero in maniera automatica e istintiva. Tuttavia rispetto a 10 anni fa c’è sicuramente più consapevolezza, soprattutto nel mondo dei baristi.

La nascita di movimenti come la Sca (Speciality Coffee Association), che interpretano il caffè in maniera diversa a tutto tondo e non soltanto nell’espresso, ha fatto sì che anche nei torrefattori la mentalità sia in fase di cambiamento.

Ma da questo, arrivare a dire che il consumatore sia in grado di capire e decodificare il valore sensoriale della tazzina di espresso che gli è stata consegnata, vedo ancora una certa distanza.”

Per concludere cosa si può dire quindi sul Robusta?

“Come ho iniziato, finisco. Non demonizzo la specie Robusta. Continuo però a considerarla utile, nell’ambito di una buona miscela, esclusivamente dal punto di vista tattile. Non me la sento di poter dire, in questo momento, che possa essere considerata alla stessa stregua di un buon Arabica.”

A sentire la parola “tattile” viene la domanda: usare il Robusta nella miscela è un po’ una tattica per far volume, peso

“Sicuramente nelle miscele medio basse, dove il riferimento più importante è il prezzo, rappresenta una componente primaria. Ci riferiamo però esclusivamente a offerte commerciali dove la qualità è un elemento secondario e spesso ininfluente. ”

I sacchi bianchi da pochi euro al chilo che si vedono in certi magazzini sono 100% Robusta

“In linea di massima direi di sì. E aggiungo, un Robusta piuttosto scadente. In alcuni casi ci potrebbe essere però pure qualche Arabica, ma di qualità “diversamente buona.” Quello che è certo nel mondo del caffè è che il prezzo, sia nel crudo che nel tostato, rappresenta un chiaro sinonimo di qualità. Più il prezzo sarà basso, più scadente sarà la qualità. Nella maniera più assoluta”.

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