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Prezzi del caffè: media mensile dell’indicatore ha segnato a giugno un –7,8%

Colombiani dolci e brasiliani naturali evidenziano entrambi cali in doppia cifra, rispettivamente del 10,9% e 10,3%. Gli altri dolci registrano un declino dell’8,6%. New York perde il 9,4%. Più contenute le flessioni dell’indicatore dei robusta (-1,1%) e del Liffe (-2,1%). Nonostante l’arretramento sopra indicato, i robusta evidenziano comunque la seconda media mensile più elevata dall’inizio dell’annata corrente. Conseguenza di questa evoluzione, l’ulteriore restringersi della forbice di prezzo tra arabica e robusta

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MILANO – Nuovi ribassi per i prezzi del caffè. Secondo il report Ico, diffuso nella tarda mattinata di venerdì, la media mensile dell’indicatore ha segnato a giugno un –7,8%. Si tratta del secondo arretramento più rilevante dall’inizio dell’annata caffearia dopo quello registrato a marzo (-8%). Per effetto di questo nuovo scivolone, l’indicatore scende dai 157,68 centesimi per libbra di maggio a 145,31 centesimi. Per trovare un valore più basso è necessario tornare a giugno 2010 (142,2 centesimi) ossia il mese che vide l’inizio dello straordinario ciclo rialzista culminato con i picchi storici ultratrentennali dello scorso anno.

Prezzi, le variazioni negative più significative riguardano gli arabica

Colombiani dolci e brasiliani naturali evidenziano entrambi cali in doppia cifra, rispettivamente del 10,9% e 10,3%. Gli altri dolci registrano un declino dell’8,6%. New York perde il 9,4%. Più contenute le flessioni dell’indicatore dei robusta (-1,1%) e del Liffe (-2,1%). Nonostante l’arretramento sopra indicato, i robusta evidenziano comunque la seconda media mensile più elevata dall’inizio dell’annata corrente. Conseguenza di questa evoluzione, l’ulteriore restringersi della forbice di prezzo tra arabica e robusta.

L’arbitraggio New York-Londra cala del 18,2% scendendo ai minimi da settembre 2009. In aumento infine la volatilità, che raggiunge livelli elevati, in particolare, per quanto riguarda l’indicatore dell’Ice Futures Us. La stima mensile sulla produzione mondiale nell’anno in corso è di 131,253 milioni di sacchi. Rispetto al dato indicato il mese precedente si osserva una marginale correzione al ribasso (poco più di mezzo milione di sacchi) dei dati relativi alle produzioni di Africa e Asia determinati dalle diminuite aspettative di raccolto, rispettivamente, in Tanzania e in Tailandia. Alla luce di questa nuova stima, la produzione mondiale 2011/12 evidenzia un calo del 2,3% sul 2010/11.

Crescono le produzioni di Africa e Asia (entrambe del 2,4%)

Diminuiscono quelle di America centrale (-2,4%) e sud America (-6,2%). Le prospettive produttive per il 2012/13 presentano indicazioni contrastanti. Maggiori raccolti sono previsti in Brasile, Vietnam e altri paesi produttori, ma le anomalie climatiche osservate in molte regioni fanno temere ripercussioni negative sui raccolti. A fronte dei prezzi in calo continuano a crescere, intanto, i costi di produzione, rendendo più problematica la situazione nei comparti meno competitivi.

Le statistiche Ico continuano a rispecchiare una positiva evoluzione della domanda. Nei 4 anni solari trascorsi, i consumi mondiali sono stati in flessione esclusivamente nel 2009 (132,46 milioni di sacchi contro i 132,95 del 2008), ma questa parziale battuta d’arresto è stata abbondantemente compensata da una solida ripresa nell’anno successivo (+3,5% o 4,7 milioni di sacchi in più) cui ha fatto seguito, nel 2011, un ulteriore consolidamento (+0,6%). A detto del report, l’incremento più contenuto dell’anno scorso è da attribuirsi, in primis, ai forti rincari dei prezzi al dettaglio, oltre che alle turbolenze macroeconomiche che hanno interessato alcuni tra i massimi paesi consumatori mondiali.

E proprio all’andamento storico dei prezzi nel decennio trascorso è dedicato il focus statistico di questo mese

La breve trattazione verte attorno a tre tabelle compilate dal servizio statistico dell’organizzazione, che riportano l’andamento dei prezzi medi dal 2004 al 2011 – nelle valute nazionali e in centesimi per libbra – nonché l’evoluzione dei consumi nei principali paesi importatori. È bene premettere che i responsi offerti da tali statistiche sono, per forza di cose, parziali, in ragione della vastità dell’universo esplorato e dell’estensione dell’orizzonte temporale. Tra il 2010 e il 2011 si sono osservati incrementi dei prezzi in tutti i paesi considerati dovuti, in primo luogo, al forte incremento dei costi di materia prima. Ricordiamo, a titolo di raffronto, che la media annua dell’indicatore composto ha raggiunto, nell’anno solare 2011, il livello record di 210,39 centesimi per libbra risultando superiore del 42,9% a quella del 2010.

Stando alle elaborazioni Ico, i rincari di prezzi più consistenti si sono avuti, nell’ordine, in Finlandia (+38,6%), Lituania (38,5%), Lettonia (34,4%), Usa (32,9%) e Svezia (26,4%). Quelli più contenuti si sono registrati invece in Bulgaria (+9,4%), Francia (+8,9%), Spagna (+7,6%), Giappone (+4,5%), Portogallo (+3,5%) e Germania (+2,3%). In Italia, sempre stando alle statistiche dell’organizzazione, l’incremento è stato del 10,7%: da un prezzo medio per chilogrammo di 12,2 euro nel 2010 si è passati a 13,51 euro nel 2011.

Estendendo il raggio d’osservazione all’intero periodo considerato, gli aumenti più sensibili si riscontrano in Austria (+123,1%), Lettonia (+116%), Finlandia (+104,8%), Lituania (+87,4%), Usa (+82,2%) e Ungheria (+73,2%). In controtendenza soltanto il Giappone, dove si è verificato addirittura un calo del 38,1%, e il Portogallo, dove il prezzo medio rilevato nel 2011 è singolarmente identico a quello del 2004. È importante sottolineare – nota correttamente il rapporto – che le variazioni possono essere in parte imputabili ai cambiamenti intervenuti nelle metodologie di rilevamento dei prezzi adottate dai singoli paesi. Un raffronto su grandezze maggiormente omogenee è offerto dalla seconda tabella, dove i prezzi sono espressi tutti in centesimi di dollaro per libbra.

Da una breve analisi è possibile osservare come le impennate più vistose riguardano soprattutto quei paesi dove si è partiti da livelli di prezzo più bassi.

L’Italia, a fronte di un aumento relativamente contenuto, rimane uno dei paesi dove il caffè è più caro

Il Giappone, come già detto, ha segnato una parabola inversa rispetto agli altri paesi osservati cedendo il primato dei prezzi più alti al Regno Unito, ma rimanendo comunque una delle nazioni dove il caffè costa mediamente di più. È interessante inoltre osservare come non vi sia correlazione univoca tra rincari e andamento dei consumi. In Austria, sebbene vi sia stato un aumento dei prezzi superiore al 120%, i consumi pro capite sono cresciuti, in pari tempo, del 9,5%.

In Giappone, la forte discesa dei prezzi non è bastata a evitare un calo, ancorché lieve, dei consumi per abitante. In Gran Bretagna, al di là di una flessione recente, il dato pro capite è cresciuto del 15,3% in 8 anni, nonostante gli elevati livelli di prezzo. Va da sé, infine, che ogni correlazione efficace dovrebbe tenere conto, delle caratteristiche tipologiche dei singoli mercati. Segnatamente di elementi quali, ad esempio, le abitudini di consumo, la percezione di prodotto, il potere d’acquisto, gli standard qualitativi medi del prodotto venduto e il loro eventuale miglioramento o peggioramento nell’arco del periodo considerato.

Concludiamo con un breve cenno ai dati relativi all’export nei tre anni solari trascorsi. Dopo un incremento contenuto tra il 2009 e il 2010, le esportazioni hanno segnato un consistente incremento nel 2011 (+7,8%) superando di slancio la soglia storica dei 100 milioni di sacchi. Ma ancora più significativa è stata la progressione del valore dell’export, che è cresciuta l’anno scorso del 49,1% sfiorando i 25 miliardi di dollari.

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