mercoledì 17 Aprile 2024
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Tomei, lo chef di Julius Meinl: «Così va rivisto l’approccio generale della ristorazione»

Cristiano Tomei: “Tra l’Imbuto e il laboratorio non ho mandato via nessuno dei miei 22 dipendenti. Che sono in cassintegrazione. Per loro penso nuovi progetti, magari intensificando le collaborazioni con i partner. Per esempio con l’azienda di caffè Julius Meinl sto pensando una linea di biscotti. Per il momento cerchiamo di dirottare su altri progetti il personale."

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LUCCA – Il cuoco del caffè Julius Meinl che spesso è comparso su queste pagine, torna a parlare proprio per commentare questo momento di crisi che ha colpito in maggior misura il settore della ristorazione. Cristiano Tomei, costretto a stare lontano dai fornelli della cucina del suo ristorante di Lucca, l’Imbuto, ma certo attivo all’interno della cucina casalinga. Dove pare che stia già pensando a nuove ricette, comprese dei biscotti proprio pensati per l’azienda ambasciatrice delle caffetterie viennesi. Leggiamo l’intervista dall’articolo di Elonora Cozzella su repubblica.it.

Cristiano Tomei, 46 anni, è lo chef dell’Imbuto di Lucca

Autodidatta viareggino, arrivato al mondo dell’alta cucina partendo dal ristorante di uno stabilimento balneare in Versilia, si fa notare per l’estro e la passione all’Imbuto della sua città. Arrivano una via l’altra le conferme di clientela e critica. Poi L’Imbuto si trasferisce nel museo di arte moderna e contemporanea di Lucca e da poco sempre a Lucca occupa gli eleganti spazi di Palazzo Pfanner. Apprezzato dalla clientela e dalla critica, è anche un volto televisivo come protagonista della trasmissione di successo Cuochi d’Italia su TV8. Con lui abbiamo parlato del futuro, del suo ristorante e in generale della ristorazione italiana.

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Cristiano Tomei, come sono cambiate le sue giornate?

“Più che di cambiamento parlerei di vero e proprio choc. Sono una persona abituata a non fermarsi mai, sempre in giro per l’Italia, sempre in viaggio, sempre a far progetti, star chiuso in casa è un cambiamento fortissimo. Ma sono un ottimista, mi sforzo di guardare sempre il lato bello. In particolare mi riferisco al rapporto con i miei figli, che mi sto godendo di più.

E poi non mi do per vinto, avendo più tempo per riflettere, cerco di mettere in moto nuove idee, anche dal punto di vista dell’approccio alla cucina. Al contrario dei giorni pre-covid19, mi sveglio con calma, faccio senza fretta colazione. Poi la mattinata continua con le telefonate con i fornitori, i colleghi, i partner commerciali e le persone con cui condivido progetti, come il Bauer Hotel di Venezia.

Poi ho cercato di fare alcune iniziative: sulla piattaforma di un amico che fa software abbiamo fatto partecipare persone da tutto il mondo e ho chiesto ai partecipanti in videoconferenza di aprire frigo e dispensa per trovare ingredienti che tutti, da Parigi a Dubai, da Miami a New York avessero a disposizione. Ne è uscito fuori che in ogni casa c’erano patate, cipolle e pomodori pelati. Abbiamo fatto insieme gli gnocchi con una salsa di pomodoro molto cipollosa. Un’esperienza bella. Poi cerco di temermi attivo perché è importante, facendo attività fisica e il tavolo diventa un campetto di ping pong con Sebastiano. A pranzo e cena cucino sempre io, aiutato dai bambini. Cibo sano per i bimbi e buon vino da condividere con mia moglie Laura. E’ovvio che ho molto tempo per riflettere. Il blocco forzato dà opportunità di pensare di più, distinguendo l’importante dal non necessario. Ma non è vero che lo stress fa male. Fa peggio essere inattivi sul divano”.

Come pensa il futuro in genere e della ristorazione in particolare?

“Siamo una generazione che non ha vissuto una guerra, eppure avremo un dopoguerra. Per rialzarsi ci vorrà del tempo. Si possono solo intuire quelli che saranno i cambiamenti, ma non si possono prevedere, sarà un continuo work in progress. La gente avrà bisogno di affetto e generosità, vorrà da noi cuochi un aspetto più umano, meno tecnico, meno professionale – mi si passi il termine – nel senso che cercherà un approccio più volto a ricevere le persone, all’accoglienza, dare un qualcosa in più. Ci sarà voglia di tornare all’abbondanza.

Adesso la gente mangia in casa e riscopre quanto è buona una braciola alla pizzaiola. Credo che anche nei luoghi cosiddetti gourmet cercherà quel calore che ha riscoperto nelle case. Il cibo è in questo momento un elemento di consolazione e speranza. Certo, la cosa vale finché ci sono i soldi”.

A tal proposito, che cambiamenti pensa che andranno apportati al ristorante, che tagli per far quadrare il bilancio?

Cristiano Tomei: “Dovremo far in modo di mantenere la propria identità, però cercando di trovare soluzione alternative. Certo ci saranno meno coperti, ne parlavo proprio con mia moglie. Se dovranno esserci tagli credo saranno alla cantina, che è un rischio d’impresa importante. Punto più a salvare il personale che le bottiglie, sarà un po’ retorico, ma chi lavora con te è una famiglia. Per quello che i dipendenti ci hanno dato nel passato non possiamo dimenticarli.

Dobbiamo cercare di mantenerli tutti. E col sorriso. In generale la cucina farà un passo in più verso l’essenziale, nel trionfo del conforto. Tutto in relazione al territorio, collaborazioni di territorio saranno la chiave. Ma dovremo pensare in modo realistico. Per esempio qui a Lucca just eat non ha mai attecchito. È ipotizzabile allora organizzare una linea per il delivery senza la certezza che funzioni? Non lo escludo ma ancora non lo so”.

Cristiano Tomei: come si è regolato con il personale?

“Tra l’Imbuto e il laboratorio non ho mandato via nessuno dei miei 22 dipendenti. Che sono in cassintegrazione. Per loro penso nuovi progetti, magari intensificando le collaborazioni con i partner. Per esempio con l’azienda di caffè Julius Meinl sto pensando una linea di biscotti. Per il momento cerchiamo di dirottare su altri progetti il personale.”

Torno sul concetto delivery

Ripeto, al momento non l’ho fatto, ma non escludo di mettere qualcuno dal personale su una linea ad hoc. I clienti che adesso si sono affidati al delivery continueranno a farlo in futuro. Ordinare cibo a casa è una pratica che lascerà tracce indelebili. Rendere i collaboratori ancora più protagonisti. Io e Laura abbiamo prenotazioni per luglio, un po’ di speranza c’è. Bisogna solo aspettare un po’, guardandosi intorno, e capire. La palla di vetro non ce l’ho, ma gli strumenti per analizzare ciò che accade sì, poi si capirà meglio al momento della riapertura”.

Influiranno anche i fornitori sul futuro?

“Di sicuro. Ci sono fornitori più elastici e altri meno, magari sarà brutto ma dovremo operare delle scelte anche in questo senso, magari rompendo con chi non sarà elastico. Sarà vincente la collaborazione diretta sul territorio, con chi è vicino saranno rapporti più veri. La ristorazione rinasce anche valorizzando i prodotti di vicinanza, per dire più cipolle che caviale”.

Cambieranno i menu?

Cristiano Tomei: “Beh sì. La clientela che se lo potrà permettere sarà felice di tornare al ristorante, ma a quel punto sarà più esigente perché saremo più concreti. Ci sarà voglia di mangiare, non solo di fare ‘l’esperienza’. Un qualcosa di invisibile ci mette in ginocchio. Stanno crollando delle certezze e almeno a tavola ce n’è bisogno”.

Cambierà anche la geografia dei clienti?

“Dei miei clienti più della metà sono stranieri e non torneranno per un bel po’. Lucca era abituata ad avere stranieri tutto l’anno (scandinavi, olandesi, francesi; inglesi, cinesi e giapponesi) quindi direi che prima di vedere clientela internazionale passerà molto tempo, bisognerà vedere. Poi noi italiani abbiamo avuto prima il problema. Dobbiamo conquistare di più la clientela italiana. Sono fortunato, perché io ho il vantaggio della notorietà data da Cuochi d’Italia (programma di grande successo su TV8, ndr.), ma anche l’effetto tv può essere un boomerang”.

Ci sarà l’esigenza di ridurre i prezzi?

“Credo ci abbiamo pensato tutti noi ristoratori. Ma non so se è giusto abbassare i prezzi o fare offerte promozionale. Non dobbiamo snaturarci. Dobbiamo essere semplicemente molto onesti: io devo mantenere il personale, ho i conti dei fornitori da pagare, il valore delle materie prime. Il mio lavoro vale adesso quello che valeva prima. Più che abbassare i prezzi bisognerebbe rivedere l’approccio generale della ristorazione. Il conto di un locale è il risultato di molte voci. Anche le aziende fornitrici dovranno venirci incontro”.

Anche i proprietari delle mura?

“I costi di affitto influiscono sul bilancio moltissimo. La situazione a livello di leggi non è chiara. I proprietari del mio locale sono stati molto collaborativi. Con loro abbiamo trovato un accordo e al momento ci hanno sospeso il pagamento dell’affitto. Ma per chi non è fortunato come me faccio un appello al buon senso. Come si fa a non esser collaborativi? Siamo tutti nella stessa barca. Il ristorante ha decine di voci di spesa. Le bollette le paghiamo come tante altre spese”.

Com’è il morale del personale?

“Cerco di dare l’esempio, con l’essere su di morale. Ho fatto una riunione fin dai primi giorni, non nascondendo che le cose cambieranno. Non ho promesso un futuro roseo, ma con onestà sto raccontando quello che sta accadendo. Sono tutti spaventati ma hanno voglia di tornare al lavoro. Spero che non siano demotivati.”

Cosa sente adesso come priorità?

“La salute collettiva ora è al primo posto. Se non capiamo che non dobbiamo avere fretta, rischiamo una ricaduta. Risolviamo un problema per volta. Non dobbiamo girarci troppo intorno. Non è una sciocchezza da prendere alla leggera. Eravamo abituati a pensare che questi problemi erano collegati solo a guerre e colpi di Stato. E in fondo, noi non dobbiamo andare al fronte, ma stare a casa. Però un piano Marshall per il dopo servirà. Al momento, senza sapere se e quanto ci aiuteranno, pensare il futuro è una grande incognita”.

Chiudiamo parlando di cucina. Qual è il primo piatto che metterà nella nuova carta?

“La frittata di cipolla, ci sto già lavorando, ho fatto una prova, i miei bimbi e Laura se la sono litigata”.

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