mercoledì 10 Aprile 2024
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Così Bakke, patron La Marzocco, vuole (re)insegnare agli italiani come si beve l’espresso

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MILANO – C’è un imprenditore americano che vuole (re)insegnare agli italiani come si beve il caffè. “Chi è questo signore che pretende di dare lezioni di pittura a Leonardo?” si chiede sulle pagine del quotidiano Washington Post – con sacro rispetto per le tradizioni di casa nostra – la giornalista statunitense Michaele Weissman, autrice di tre libri sul caffè, di cui uno eloquentemente intitolato “God in a Cup: The Obsessive Quest for the Perfect Coffee.”

Non un visionario da quattro soldi, bensì un ambasciatore di lunga data dell’espresso italiano nel mercato di oltreoceano.

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Stiamo parlando di Kent Bakke, azionista di maggioranza della Marzocco International e ceo dell’azienda sino a un paio di anni fa, quando il testimone è passato a Guido Bernardinelli.

Californiano trapianto a Seattle, Bakke scoprì per la prima volta una macchina espresso nel lontano 1975, nella cucina di un locale rilevato da alcuni suoi amici.

Quell’oggetto misterioso in ottone, con una caldaia verticale, colpì la sua immaginazione. All’epoca non ci saranno state più di otto macchine espresso in tutta Seattle, racconta Bakke, che divenne il riparatore tuttofare a cui rivolgersi per qualsiasi problema tecnico relativo a questa tipologia di macchine.

Il Grand Tour in Italia

Ma la tappa fondamentale nel suo percorso fu un viaggio di formazione in Italia nel 1978. Una specie di Grand Tour alla scoperta dei segreti delle macchine da caffè italiane. Bakke non fu colto da una sorta di “folgorazione mistica”, come accadde qualche anno dopo a Howard Schultz.

Ebbe però l’idea di bussare alla porta della fabbrica fiorentina de La Marzocco. E la fortuna di trovare un disponibilissimo Piero Bambi pronto a fargli fare una visita guidata dello stabilimento. Bakke tornò a casa con due macchine espresso: in un anno riuscì a venderne una soltanto.

Poi arrivò il boom di Starbucks. Bakke – diventato distributore della casa fiorentina del Leone – trovò il modo di adeguare le macchine alle esigenze di erogazione delle caffetterie della Sirenetta.

Gli ordinativi si moltiplicarono mettendo a dura prova le capacità produttive de La Marzocco.

Ben 3 mila le macchine vendute tra il 1984 e il 2003, anno in cui Starbucks decise il passaggio alle superautomatiche.

Nel frattempo, Bakke ottenne il permesso di aprire uno stabilimento a Seattle e in cambio acquisì la quota maggioritaria del La Marzocco Internatonal, assieme un gruppo di investitori, divenendone l’amministratore delegato.

Ma torniamo all’oggi. Bakke – scrive Weissman – sta cercando (con garbo) di convincere gli italiani che il loro amato espresso necessita di un “upgrade”, di un aggiornamento. Per mettersi al pari con i trend in atto a livello globale.

Tendenze e mode che le radicate tradizioni di casa nostra, di cui siamo giustamente gelosi, ci fanno a volte perdere di vista.

Come raggiungere questo obiettivo?

Ovviamente partendo dalla prospettiva di un fabbricante di macchine espresso. E muovendo dal presupposto che la tecnologia stessa delle macchine consente oggi di valorizzare miscele e origini giocando sottilmente sui parametri di regolazione.

“Le cose stanno cambiando – osserva Bakke – quando viaggiano, i giovani vengono a contatto con un mondo totalmente nuovo e al ritorno in Italia portano con sé il bagaglio di conoscenze che hanno acquisito”.

La rivoluzione di Sanapo

Tra gli antesignani di questa rivoluzione culturale, l’articolo cita Francesco Sanapo, di cui Bakke è stato un po’ un mentore, e la sua Ditta Artigianale.

Dal racconto dell’avventura del tricampione italiano emerge un percorso pionieristico difficile, nell’Italia del duemila, quanto lo fu quello di Bakke nella Seattle degli anni settanta.

“Non tutti in Italia sono entusiasti dello stile di tostatura internazionale” racconta Sanapo “un torrefattore italiano mi accusò addirittura di sputare nel piatto in cui mangiavo”.

E poi c’è il problema del giusto valore delle cose. Quando Sanapo aprì la sua prima caffetteria nel 2014, la tazzina a un euro e mezzo fu per molti uno shock.

“Un avventore mi diede del ladro, del mafioso” ricorda ancora Sanapo. “Poi, otto mesi più tardi lo vedo davanti alla mia vetrina, esco e gli offro un caffè gratis. Oggi adora il mio espresso ed è il mio migliore cliente”.

Micro torrefattori crescono

E intanto i micro torrefattori italiani spuntano un po’ ovunque. “L’espresso è nato nel Belpaese, ma si è internazionalizzato. E le migliori innovazioni del resto del mondo arrivano oggi anche in Italia” dice il direttore marketing della Marzocco Chris Salierno. Che aggiunge: “Siamo alla vigilia di un grande cambiamento, sul quale vale la pena di scommettere”.

Ed è un cambiamento che l’imminente arrivo di Starbucks contribuirà a catalizzare. Anche se – si affretta a precisare Peter Giuliano, chief research officer della Sca – in fatto di caffè “l’Italia non ha perso la sua anima”.

“C’è ancora della magia nel caffè italiano” aggiunge Giuliano ricordando una recente esperienza personale in quel di Lucca, dove ha scoperto per caso un piccolo locale con torrefazione annessa dove servono “espressi e cappuccini fantastici”.

C’è ancora spazio per la tradizione, insomma. Ma Bakke non ha dubbi: la strada è segnata: “Gli italiani non hanno ancora scoperto lo specialty. Ma presto lo faranno”.

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