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Ed ecco come Jab intende conquistare la leadership del mercato del caffè

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MILANO — La grande stampa internazionale torna a occuparsi di Jab – la finanziaria lussemburghese veicolo di investimento della famiglia tedesca Reimann – e del suo attivismo (leggi appetito bulimico) nell’acquisto di asset nel settore del caffè.

Zeke Turner e Julie Jargon hanno scritto sul Wall Street Journal che quella che fino a un po’ di tempo fa sembrava essere una «piuttosto eccentrica frenesia di acquisto» è, nei piani di Jab, una calcolata operazione per «ricompattare un settore frammentato». E diventare la più grande società di caffè al mondo. Per farlo deve prendere il posto che ora è di Nestlé, che è la più grande società di caffè al mondo sia per entrate che per volume d’affari.

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Jab controlla società che vendono caffè di ogni tipo e in ogni forma ma si occupa anche di prodotti diversi dal caffè, soprattutto the e bevande al cocco.

Turner e Jargon hanno scritto che Jab «ha scommesso sul fatto che l’industria del caffè statunitense sia a un passo da una riorganizzazione».

Perché ora è troppo simile a come era mezzo secolo fa, ma nel frattempo sono cambiate tante cose. È soprattutto finita l’era in cui «le bevande calde erano in competizione con altre bevande calde e le bibite fredde con altre bibite fredde».

I consumatori vogliono più scelta

Bart Becht, presidente olandese di Jab, ha detto: «I consumatori vogliono più scelta, sia su cosa bere che su dove berlo. Noi stiamo solo andando verso quella direzione». Rispetto a qualche decennio fa le persone vogliono bere caffè in diverse forme, in ogni momento della giornata.

Becht ha proseguito così il suo ragionamento: «Venti o trent’anni fa volevano il caffè la mattina e la Coca-Cola di pomeriggio. Ora le cose sono cambiate».

Becht ha detto anche che i Millennials, i giovani nati tra la metà degli anni Ottanta e i primi anni del Duemila, sono i maggiori bevitori di caffè. Ma vogliono cose particolari, per esempio negli Stati Uniti il “frappuccino” (un marchio registrato da Starbucks: frappé + cappuccino).

Prima di puntare sul caffè, JAB ha fatto i suoi soldi in contesti diversi. La società fu fondata nel diciannovesimo secolo dall’impresario tedesco Johann Adam Benckiser: infatti prende il nome dalle iniziali del suo nome.

Nel 1823 Benckiser si trovò praticamente per caso a possedere un laboratorio tedesco di acido cloridrico e cloruro di ammonio.

Affidò il laboratorio al chimico Ludwig Reimann (che è noto per aver scoperto e classificato la nicotina) e nei decenni successivi la società divenne la prima produttrice mondiale di acido citrico (usato in molti alimenti come aroma e conservante). Per decenni la JAB si occupò di prodotti per la pulizia degli scafi delle navi e, poi, per l’acqua delle piscine.

Ora, a parte il caffè, Jab controlla soprattutto società operanti nel settore dei cosmetici, dell’abbigliamento e del lusso.

L’entrata nel mondo del caffè nel 2012

Le acquisizioni nel settore del caffè sono iniziate soltanto nel 2012. Le più importanti sono state quella di Peet’s (una società dal valore di un miliardo di dollari), quella di D.E. Masters Blenders 1753,  (per 7,5 miliardi di euro) e la successiva fusione con Mondelēz International a costituire Jde, massima società pure-play nel mercato mondiale del caffè.

E ancora, più di recente: Keurig Green Mountain (13,9 miliardi di dollari) e, soltanto pochi mesi fa, di Dr Pepper Snapple Group (18,7 miliardi).

Turner e Jargon hanno spiegato che dopo ogni acquisizione Jab prova a cambiare qualcosa nelle società di cui prende il controllo, in generale per integrare le loro operazioni con quelle di tutte le altre.

L’entrata nell’IoT

Dopo aver comprato Keurig Green Mountain ha, per esempio, deciso di produrre macchinette per il caffè domestiche che si collegano al wi-fi di casa, così da ottenere dati su chi beve cosa, dove e quando.

Dal punto di vista finanziario, Jab sceglie spesso di rendere private – cioè ritirarle dalla borsa – le società che compra.

Questo perché possano proficuamente concentrarsi meno sul breve termine (per esempio i risultati trimestrali) e più sul lungo termine.

Ma in genere Jab non mette tanti soldi nelle società che acquisisce.

Così Dave Burwick, ceo di Peet’s (una società che produce caffè) ha detto: «Eravamo chiusi in un angolo, senza le risorse per essere competitivi. Jab ci ha salvato, ma non ci ha dato soldi, ci ha dato modi per fare soldi».

È impossibile avere dati precisi sul giro d’affari di tutte le società che sono controllate da JAB e hanno in qualche modo a che fare con il caffè o con bevande che possono stare nello stesso settore.

Di Nestlé si sa invece che nel 2017 ha ottenuto vendite per 96,9 miliardi di euro, lo 0,4 per cento in più rispetto all’anno precedente.

Registrando così la minor crescita rispetto all’anno precedente dell’ultimo decennio.

Nestlé cerca di stare al passo

Turner e Jargon hanno scritto che Nestlé sta provando a “puntellare la sua posizione” acquisendo a sua volta altre società. Ma non con il ritmo e i soldi che ci sta mettendo Jab.

Nestlé non ha per ora commentato in modo diretto le operazioni finanziarie di Jab e ha rifiutato di rispondere alle domande del Wall Street Journal.

Carsten Fredholm, capo dell’area che si occupa di bevande per Nestlé, ha detto, ma in un evasivo comunicato: «Il caffè è uno dei settori in cui andiamo meglio nei 180 Paesi in cui operiamo. Continueremo a puntare sul mantenimento della nostra posizione, investendo in innovazioni di alta qualità in diversi tipi di caffè».

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