giovedì 11 Aprile 2024
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Come si fa il caffè nello Spazio: Paolo Nespoli e l’esperimento ISSpresso

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Quanto è importante un caffè? C’è chi alla mattina non riesce proprio a svegliarsi senza una bella tazzina fumante e c’è chi deve soddisfare la propria dipendenza con svariate pause ogni giorno.

Immaginate ora di trovarvi in un ambiente angusto dal quale è vietato (oltre che altamente sconsigliabile) uscire per anche più di sei mesi, per di più condividendo pochi metri quadrati con diverse altre persone.

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Considerate anche che questo soggiorno è quello più pericoloso al mondo visto che si è in costante caduta libera a oltre 400 km di altezza, nello Spazio, a bordo della Stazione Spaziale Internazionale.

Ebbene, non è un esagerazione affermare che un buon caffè, così come un succulento pasto, possa davvero salvare il morale e, per certi versi, la vita.

Ospiti di Argotec, abbiamo incontrato l’astronauta italiano Paolo Nespoli (FOTO), alla vigilia del suo terzo viaggio verso la ISS per la missione Vita (Vitality, Innovation, Technology, Ability).

Nella sede torinese dell’ormai celeberrima società aeronautica e aerospaziale, l’ingegnere e ufficiale quasi sessantenne è stato impegnato in una sessione di training per gli esperimenti ARTE e ISSpresso per prendere più confidenza con la strumentazione che troverà in orbita.

ARTE studia fluidi alternativi non tossici per regolare la temperatura degli ambienti attraverso uno scambiatore di calore; servirà per trovare metodi efficienti e sicuri per evitare che le ali degli aerei si ghiaccino.

ISSpresso, come forse si può già intuire dal nome, nasconde uno dei simboli dell’Italia.

Ci stiamo riferendo proprio all’espresso. Progettata e realizzata da Argotec e Lavazza, questa macchina a capsule è arrivata a bordo della ISS insieme alla nostra Samantha Cristoforetti nel 2015 e ha visto il primo il caffè bevuto proprio dall’astronauta italiana il 3 maggio di due anni fa.

Come si prepara una tazzina nello spazio? Intanto non viene servito in un contenitore di ceramica — come è ovvio che sia — ma in un sacchetto che evita che ogni più piccola goccia possa uscire e danneggiare la strumentazione di bordo, e più che berlo lo si succhia attraverso una cannuccia.

“La macchinetta che abbiamo in casa lavora a 8 o 9 atmosfere, questo cubo di ferro da 20 kg lavora a 400 atmosfere in un ambiente completamente diverso a quello sulla terra e nel pieno rispetto delle severe normative della NASA”, spiega Marco Lavazza, Vicepresidente del Gruppo Lavazza.

“La sfida era proprio quella di prendere un oggetto comune, che si trova in ogni casa e reingegnerizzarlo completamente per farlo lavorare nelle condizioni più estreme e complicate.

La mancanza di gravità è, naturalmente, la più grande difficoltà e il comportamento osservato è opposto: la crema e il caffè non sono miscelate come sulla Terra, ma sono separate”.

E la capsula?

“Paradossalmente è la stessa che si trova in commercio, è l’unico elemento che rimane identico”. A completare il filo diretto tra Terra e Spazio, con i dati raccolti dall’esperienza in orbita, gli ingegneri hanno potuto inoltre migliorare le prestazioni e l’ingegneria delle macchine “terrestri”.

La macchina funziona in modo molto semplice: si inserisce la capsula nell’apposito alloggiamento sul lato superiore (anche se parlare di superiore o inferiore nello Spazio non ha senso), si apre il doppio vano e si inserisce la sacca per il caffè e quella con lo zucchero, si richiude, si riavvia e in pochi secondi tutto è pronto.

Quale miscela è stata scelta?

Si è optato per qualcosa che potesse soddisfare il palato degli astronauti delle varie nazionalità. Si è virato verso una 100% arabica con mix dal Brasile e dall’Etiopia per un gusto italiano, ma non troppo forte.

Per la cronaca, corrisponde alla capsula A modo mio Magia che si può trovare comunemente al supermercato.

Qual è il sapore di questo caffè?

Approfittando della sacca lasciata quasi del tutto piena ho prima annusato e poi assaggiato: sia il profumo sia il sapore sono del tutto paragonabili al normale espresso casalingo.

Lo zucchero tendeva a rimanere sul fondo, dunque a maggior ragione a zero g è verosimile che si debba “massaggiare” il piccolo contenitore per mescolare il tutto.

Diego Barbera

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