giovedì 11 Aprile 2024
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All’anima del cioccolato: un viaggio alla scoperta del mondo di Domori

Jean-Pierre Willemsen  lancia una provocazione:“Il mio obiettivo è uno: iniziare a concepire il cioccolato come ingrediente. Portare il pasticcere o il pastry-chef a lavorare in purezza, partendo dalla massa di cacao, per sviluppare davvero conoscenza e creatività”

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MILANO — “La ristorazione ci interessa e tanto. Per un motivo: il desiderio di far chiudere la cena con qualcosa di straordinario; aiutando il ristoratore a sorprendere l’ospite”. Ad affermarlo è Jean-Pierre Willemsen, ceo di Domori.

L’azienda di cioccolato fondata da nel 1997 da Gianluca Franzoni con un sogno: andare all’anima del cioccolato. Facendo arrivare la materia prima, il cacao, lì dove l’industria del cioccolato non era mai stata.

Domori si racconta agli open day

Vent’anni dopo, nell’azienda oggi di proprietà del gruppo Illy, quel sogno è realtà. Basta partecipare ad uno degli open-day (o avere il privilegio di una visita privata) che l’azienda organizza puntualmente, ogni mese, presso lo stabilimento di None. A pochi minuti da Torino, per averne conferma.

Vale sempre la pena varcare la soglia di un’azienda che fa di un codice etico e del rispetto delle pratiche di produzione il proprio punto di forza per capire davvero il concetto di qualità.

A questa visita poi, viene abbinata una degustazione guidata di prodotto – in questo caso di cioccolato.

Modello di purezza

Visitare Domori significa capire la differenza sostanziale tra un cioccolato lavorato secondo un modello di purezza e gli altri. Questo non significa che non ci siano cioccolati di ottima qualità anche in altre realtà produttive; bensì che in Domori c’è davvero una precisa identità e unicità.

Non foss’altro che per il Criollo, il cacao più raro del mondo (40 tonnellate in tutto, rispetto all’intera produzione di cacao che ammonta, a livello internazionale, a circa 420 milioni di tonnellate) è, per il 50%, lavorato da Domori. Sempre secondo un preciso protocollo di produzione e di analisi.

Fu Gianluca Franzoni che, nel 1994, a restare affascinato dalla scoperta di questa varietà di cacao, estremamente raro. Una tipologia che discende direttamente dai Maya e dagli Aztechi. La cui coltivazione stava scomparendo.

Il recupero del cacao Criollo

Oggi, grazie alla joint-venture al 50% con la famiglia Franceschi, proprietaria dell’Hacienda San Josè in Venezuela, Domori ha avviato il progetto di recupero del Criollo. Salvaguardandone così la biodiversità di dieci varietà.

“I nostri primi valori sono purezza, qualità e rispetto. – afferma Jean-Pierre Willemsen. – Possibile che dobbiamo aggiungere qualcosa all’eccellenza insita nella materia prima?”

Una domanda che trova risposta nella stessa tecnologia produttiva in Domori

Dove la tecnologia è stata costruita appositamente nel rispetto di un metodo di produzione. Il che renderebbe comunque impossibile fare forzature di qualsiasi tipo.

Ricetta corta

Qui, ad esempio, non esiste la pratica del concaggio sostituita da un processo produttivo che prevede, oltre alla tostatura a temperature delicate – non vengono mai superati i 120 gradi – l’utilizzo, per la lavorazione del cioccolato, di una macchina dotata di biglie che raffina il cacao.

Questo processo permette la conservazione, nel prodotto finito, di tutti gli aromi della materia prima. Anche grazie ad una ricetta corta che prevede soltanto l’uso di massa di cacao e zucchero; mantenendo inalterato lo spettro aromatico.

Il controllo dell’intera filiera

Lo si scopre dal palato che resta pulito anche quando si degusta un Criollo 100%. “A questo si arriva solo grazie al controllo dell’intera filiera. – precisano in azienda.

– Da noi vengono accettati solo i lotti di cacao che vantano fave perfettamente fermentate e senza difetti visivi per almeno il 70% del totale (la norma generale è del 30%)”.

Ma ciò che conta veramente è la modalità con cui si stabiliscono i rapporti con i produttori di cacao

Fino a prima della nascita di Domori i produttori di cacao non sapevano a cosa servisse. Né dove andasse il cacao coltivato. Mentre, spiega  Willemsen, “oggi noi vogliamo sapere chi c’è dietro al trader. Vogliamo sviluppare rapporti diretti con i coltivatori”.

Da qui il rimando dei lotti quando non conformi, spiegandone i motivi. Ma anche un margine equo aggiunto alla normale quotazione in borsa.

Al termine della visita arriva il momento della degustazione che svela tutto ciò che si è potuto vedere in produzione.

Come si degusta il cioccolato?

“Non c’è una regola. – spiegano nel corso della degustazione. – Ma ci sono segni di riconoscimento a partire dal colore. Se tende al nero sarà un cioccolato più amaro, astringente, acido. La degustazione, suggeriamo sempre, deve essere un momento di libertà con sé stessi”.

Infine, torna alla ribalta il rapporto con la ristorazione

Nonché con il mondo professionale e Jean-Pierre Willemsen  lancia una provocazione:“Il mio obiettivo è uno: iniziare a concepire il cioccolato come ingrediente.

Portare il pasticcere o il pastry-chef a lavorare in purezza; partendo dalla massa di cacao, per sviluppare davvero conoscenza e creatività”.

Perché non cominciare davvero a sorprendere con il fine cena, come fa Giuseppe Amato, pastry-chef de La Pergola del Rome Cavalieri di Roma .Con la sua creazione di pasticceria che gli è valsa il riconoscimento Pasticceria dell’anno 2018 dalla Guida Ristoranti de L’Espresso.

Luigi Franchi

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