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La lettura per l’estate: “Breve Storia del Caffè” di Pasquale Pallotti

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Pasquale Pallotti ci ha inviato dal Costa Rica questa sua breve opera del 1994, un classico del settore, dedicata alla storia del caffè. Un’ottima lettura per l’estate.

Questa Storia del Caffè fu presentata all’VIII International Coffee Week “Sintercafè” Costa Rica, il 13 Novembre 1994

Triestespresso

Ve la proponiamo

B R E V E  S T O R I A  D E L  C A F F È

di Pasquale Pallotti

C O F F E A spp.
fam. Rubiaceae
italiano: Caffè
inglese: Coffee
francese: Café
spagnolo: Café
portoghese: Café
tedesco: Kaffee
kiswahili: Kahawa
arabo: Quahwa
turco: Quahvè

ORIGINE E CENNI STORICI
“CAFFÈ” è un nome arabo che, molto probabilmente, deriva da “Kaffa”, regione dell’ Etiopia dove è stata trovata una varietà di Coffea spontanea originale, oppure è la
derivazione del nome arabo “quahweh” (termine poetico per denominare il vino) ed equivalente al nome Turco “kahweh” che divenne “cafè” (francese), “kaffee” (tedesco), “koffie” (olandese), “coffee” (inglese) e “Coffea” il nome scientifico dato al genere botanico.

Dagli scritti del medico e filosofo persiano Ar-razi o Rhazes, vissuto nel X secolo, si rileva che il caffè era già conosciuto come bevanda dagli arabi nel 575 d.C., ma l’origine dell’uso
del caffè non è ben nota e si trova solo in alcune leggende.

La più conosciuta dice che Kaldi, un pastore Abissino, notando che le sue pecore dopo aver mangiato certe bacche rosse diventavano molto vivaci ed irrequiete, riferì la cosa ai
monaci del vicino monastero i quali, con bacche abbrustolite, prepararono una bevanda eccitante che permise loro di rimanere più svegli durante le lunghe ore di preghiera.

Un’altra leggenda, riportata da Nairone, racconta che Maometto, gravemente ammalato, pregò a lungo per ottenere una pronta guarigione e che Allah gli inviò l’Arcangelo Gabriele con una bevanda nera come la Kaaba della Mecca che gli dette tanta forza da poter disarcionare 40 cavalieri nemici e rendere felici 40 vergini.

Un’altra ancora dice che il monaco Ali bin Omer, esiliato sulle montagne dello Yemen, riuscì a preparare un decotto di caffè con proprietà medicinali con il quale curò con successo molti fedeli in pellegrinaggio verso la Mecca affetti da malattie della pelle (scabbia). Da allora fu onorato come il Santo protettore dei coltivatori di caffè, dei tenutari delle case di caffè e dei suoi bevitori.

Notizie ancora più antiche sull’uso, forse, del caffè si possono trovare nell’Antico Testamento:

 Genesi 25,30 …
“Esaù giunse dai campi stracco morto: “Via, fammi
mangiare un po’ di codesta ROBA ROSSA, sono tanto
stanco!”

 I Samuele 25,18 …
“Allora Abigail subito prese duecento pani, due otri di
vino, cinque montoni già preparati, cinque misure di
GRANO TOSTATO, cento grappoli d’uva passa, duecento
schiacciate di fichi secchi…”

 II Samuele 17,28 …
“Portarono pure, grano, orzo, farina, GRANO ARROSTITO,
fave, lenticchie, miele, burro…”

Ritenere che la “roba rossa”, e soprattutto il “grano tostato” possono essere caffè è solo una congettura, ma abbastanza attendibile.

Anche Omero, nel quarto canto dell’Odissea, parla di una bevanda chiamata “nepente” che Elena offre a Telemaco insieme al vino e che potrebbe essere caffè anche se, in
genere, si ritiene sia una droga ricavata dall’oppio.

In Italia il caffè comparve per la prima volta nel X secolo a Salerno dove fioriva una celebre scuola medica che considerava il caffè come un’ottima bevanda medicinale e
digestiva.

Infatti si legge nel “Regimen Sanitatis Salernitanum” a proposito dell’ordine da seguire in un pranzo: “praeludant offae, precludat coffe” – cioè – “si cominci con le focacce e si chiuda con il caffè”.

Con la decadenza della scuola Salernitana l’usanza di bere il caffè come digestivo fu dimenticata, in Italia, per diversi secoli.

Solo verso la fine del 1500 s’incominciò nuovamente a parlare del caffè per merito del botanico tedesco Rauwolfius (1573) e dell’italiano Prospero Alpino che ne diede una
descrizione scientifica nel 1591 nel suo “De plantis Aegypti liber” in cui parla anche, per la prima volta in Europa, delle banane e di un genere di Zingiberaceae che fu in seguito
denominato “Alpinia”.

All’inizio del 1600 i Veneziani, che avevano stretti rapporti commerciali con i Turchi, constatarono il largo uso di caffè che si faceva a Costantinopoli e percepirono che questa
bevanda poteva costituire un ottimo affare.

Ne incominciarono il commercio nel 1615 con Peter della Valle e nel 1645 venne aperto a Venezia, alle Procuratie Vecchie, la prima “Bottega del Caffè”.

Nonostante qualche bando temporaneo, la moda di questi locali dove si poteva comprare e degustare il caffè, ebbe a Venezia gran diffusione, tanto che a metà del 1700 se ne
contavano 206. Tra questi il più famoso fu il Caffè Florian, aperto da Floriano Francesconi nel 1720 e ancora esistente.

Era sede di dotte conversazioni e dispute culturali, testimoniate da diverse opere letterarie, tra le quali le commedie di Goldoni e la rivista “Il Caffè“, fondata a
Brescia nel 1765 dagli illuministi milanesi Verri e Beccaria.

Nella seconda metà del 1600 la moda del caffè si diffuse anche nelle principali capitali europee.

A Londra la prima Coffee-House fu aperta in George Yard, Lombard Street da un greco di nome Pasqua arrivato dalla Turchia, nel 1652, con il commerciante inglese Daniel
Edwards. Nel 1715 in Londra si contavano numerose coffee houses che ben presto divennero centri di vita sociale, politica, letteraria e commerciale.

A Parigi un commerciante armeno, Pascal, aprì una bottega di caffè, nel 1671, alla fiera di Saint Germain.

L’iniziativa ebbe un discreto successo, ma solo più tardi, quando questa fu trasferita in un lussuoso appartamento frequentato da uomini di lettere e da gente del bel mondo,
iniziò la fortuna del Caffè.

Sempre a Parigi nel 1702 un gentiluomo palermitano, Procopio di Coltello, inaugurò un nuovo tipo di caffè in un locale aperto di fronte al Teatro Francese, dandogli il proprio
nome: “Caffè Procope”. Legato dapprima al teatro, il Caffè Procope divenne un luogo d’incontro di enciclopedisti e fu il primo grande caffè letterario in Europa.

A Vienna Georg Kolschitzky, che si era distinto durante l’assedio dei Turchi nel 1683 ed era stato ricompensato con numerosi sacchi di caffè presi ai nemici in fuga, aprì un locale di degustazione di caffè e lo offrì accompagnato da frittelle dolci (Krapfen) e cornetti consacrando l’uso del caffè con i dolci.

In Germania il primo caffè fu aperto a Francoforte nel 1689 e in Olanda i caffè fecero la prima comparsa più o meno nella stessa epoca.

Il caffè fu introdotto nel Nord America nel 1660, quando New York era ancora New Amsterdam. Nel 1773, all’inizio della rivoluzione americana, i Bostoniani buttarono a mare i carichi di tè, troppo tassati dagli Inglesi, e decisero di bere solo caffè.

Da questo avvenimento, che è conosciuto come il “Boston Tea Party”, il caffè divenne la bevanda nazionale americana, ovvero “The King of the American Breakfast Table”.

Nonostante la diffusione nei paesi occidentali del caffè come bevanda, gli Arabi mantenevano il monopolio della coltivazione e permettevano solo l’esportazione del caffè
tostato. Pare che Baba Budan, un pellegrino venuto dall’India nel 1600, sia stato il primo a trafugare sette semi di caffè con capacità germinativa e a portarli dalla Mecca a Mysore
nascondendoli nella cintura.

Solo alla fine del XVII secolo gli Olandesi riuscirono a trafugare alcune bacche a Mocha, in Arabia, e le portarono a Batavia, in Olanda, e poi ad Amsterdam, dove le piante
vennero moltiplicate e mandate nei principali giardini botanici d’Europa e nelle Indie Olandesi che divennero presto importanti paesi produttori di caffè mentre
Amsterdam divenne la maggiore sede di contrattazione del prodotto.

Nel 1714 un esemplare fu regalato al re di Francia Luigi XIV e questo fu moltiplicato al Jarden de Plantes di Parigi, da dove il Capitano Gabriel Mathieu Desclieux trafugò una
piantina che portò alla Martinica dove si iniziò la coltivazione del caffè che si diffuse nelle altre colonie francesi dei Caraibi.

Nel 1727 un ufficiale brasiliano, Francisco De Melo Palheta, riuscì ad avere una piantina nascosta in un bouquet di fiori offertogli dalla moglie del governatore della Guiana francese, la portò in patria e questo fu l’inizio dell’impero brasiliano del caffè.

Il Brasile detiene tuttora la supremazia mondiale della produzione, tanto da pretendere il titolo di “Re del Caffè”.

Henriques, il padre di Alberto Santos-Dumont, uno dei primi uomini al mondo a volare, fece in Brasile una piantagione di cinque milioni di piante di caffè e si deve a lui, o al porto di Santos, il nome Caffè Santos con il quale viene comunemente denominato il caffè brasiliano.

La crescente diffusione del caffè in Europa e in America favorì, nel corso del XVIII e XIX secolo, l’espansione delle piantagioni di Coffea arabica nei possedimenti coloniali olandesi, spagnoli, portoghesi, inglesi e francesi. Nel XX secolo queste furono affiancate da piantagioni di Coffea robusta prevalentemente nelle regioni pianeggianti a bassa
quota dell’Africa, Indonesia e Brasile.

Negli anni ci furono periodi di forte opposizione al caffè sia nei paesi Arabi sia in Europa.

Nel 1511 Kair Bey, governatore del sultano della Mecca, vedendo che molti si dedicavano alla bevanda piuttosto che pregare, bandì il caffè e fece chiudere le botteghe del caffè,
ma il Sultano, grande bevitore di caffè, fece rimuovere l’ordinanza e Kair Bey, sembra, fece una brutta fine.

In Italia il Clero proibì la bevanda sostenendo che fosse stata data da Satana ai Mussulmani per sostituire il vino nelle loro cerimonie, ma sembra che il papa Clemente VIII, amante della bevanda, abbia non solo cancellato quella condanna, ma addirittura onorato il caffè della sua pontificia
benedizione.

Anche il Concilio dei 10 di Venezia tentò di impedire l’uso del caffè.

Nel 1656 l’Ottomano Gran Vizir Koprilli emise un editto per bandire le botteghe di caffè: alla prima contravvenzione il negoziante di caffè veniva bastonato, alla seconda veniva
cucito in un sacco di cuoio e buttato nel Bosforo. Ma in seguito l’uso del caffè fu ritenuto talmente importante, che se un marito ne impediva l’uso alla moglie questa poteva
chiedere il divorzio.

Nel 1674 in Inghilterra fu pubblicata una petizione delle donne che contestavano il fatto che i mariti trascurassero le mogli per frequentare le Coffee-houses e divenissero
addirittura impotenti.

Re Carlo II pertanto proclamò la chiusura delle botteghe, ma solo 11 giorni dopo abrogò
l’editto consentendone la riapertura per “regia compassione”.

Nel 1773 il Langravio Federico di Hesse proibì il consumo del caffè su tutto il suo territorio ed i trasgressori erano puniti coi lavori forzati.

Si racconta che Gustavo III, re di Svezia, per provare le benefiche qualità del caffè avesse commutato la pena di morte con prigione a vita a due gemelli accusati di omicidio
con la condizione che, durante la prigionia, ad un gemello fosse somministrato solo caffè ed all’altro solo tè. Morì per primo ad 83 anni di età il bevitore di tè. Da allora il popolo
Svedese è uno dei maggiori consumatori di caffè.

Federico “Il Grande” di Prussia nel 1777 con un editto autorizzava l’uso della bevanda solo alle classi alte.

Solo a metà del secolo XVIII le coffee-houses aprirono sale separate per le Signore, e questo è considerato uno dei primi grandi passi verso l’emancipazione della donna.

Molti artisti, letterati e tutta la buona società si sono occupati del caffè in bene ed in male:
scrive Francesco Redi nel suo Ditirambo, che disprezza il caffè:

“Beverei prima il veleno
che un bicchier che fosse pieno
dell’amaro e rio caffè”.

mentre scrive Giuseppe Parini, che elogia il caffè:

“Ma se noiosa ipocondria t’opprime,
o troppo intorno a le vezzose membra
adipe cresce, dè tuoi labbri onora
la nettarea bevanda ove abbronzato
fuma et arde il legume a te d’Aleppo
giunto e da Moca che di mille navi
popolata mai sempre, insuperbisce.”

A Johan Sebastian Bach la bevanda piacerà tal punto che le dedicherà la Kaffee-Kantate composta tra il 1732 e il 1735 con le parole di Picander (Cristian Friedrich Henrici):

“ Ei! Wie schmeckt der Coffee süsse, lieblicher als
Tusend Küsse, milder als Muskatenwein
Coffee, Coffee musse ich haben: und wenn jemand
Mich will laben, ach so schenkt mir Coffee ein! ”

Pare che Voltaire a ottanta anni bevesse tantissimo caffè e quando fu consigliato alla moderazione perché: “il caffè è un veleno che uccide lentamente” rispose: “ Non importa, tanto io non ho fretta ”.

Carlo Goldoni nella commedia La Sposa Persiana, dice per bocca di Curcuma:

“Ecco il caffè, signore, caffè in Arabia nato,
e dalle carovane in Ispaan portato.
L’arabo certamente sempre è il caffè migliore,
mentre spunta da un lato, mette dall’altro il fiore.
Nasce in pingue terreno, vuol ombra, o poco sole.
Piantar ogni tre anni l’arboscel si suole.
Il frutto non è vero, ch’esser debba piccino,
anzi dev’esser grosso, basta sia verdolino,
usarlo indi conviene di fresco macinato,
in luogo caldo e asciutto con gelosia guardato.
….. A farlovi vuol poco,
mettervi la sua dose e non versarla al fuoco.
Far sollevar la spuma, poi abbassarla a un tratto
sei, sette volte almeno, il caffè presto è fatto.”

Pare che Napoleone amasse ripetere:

“Un buon caffè e in quantità abbondante mi risveglia lo
spirito, mi dà vigore, una forza eccezionale e una ferma
volontà d’agire.”

Charles-Maurice de Talleyrand afferma che:

Il caffè deve essere
caldo come l’inferno,
nero come il diavolo,
puro come un angelo
e dolce come l’amore.

Si dice che Beethoven amasse il caffè forte fatto con 60 chicchi e che li contasse lui personalmente.

Honoré de Balzac fu chiamato re dei bevitori di caffè e si dice che abbia consumato più di 50.000 tazze durante la sua vita.

Emile Zolá, poeta e novellista francese del 1800, usava bere forti dosi di caffè per stimolare la creatività poetica ed a suo dire, senza gli spiacevoli effetti collaterali che altri prodotti davano.

Nel corso dei decenni, sarà la città di Napoli a decretare il culto più vivo all’aromatica bevanda, coronandola con la ripresa dell’invenzione della “napoletana” che in realtà nacque in Francia e solo successivamente approdò nel Golfo.

Tale culto non conoscerà crisi. Il caffè sarà una componente tale della vita e dei costumi cittadini da indurre De Filippo a tenere una lezione rimasta celebre, la lezione sull’arte di fare il caffè, anzi “O CAFÈ“:

“E la cosa più difficile è indovinare il punto giusto di cottura,
il colore… a manto di monaco… sul becco io ci metto questo
coppitello di carta, pare niente, questo coppitello, ma ci ha la
sua funzione…e già, perchè il fumo denso del primo caffè che
scorre, che poi è il più carico, non si disperde.
Come pure…prima di colare l’acqua, che bisogna farla bollire
per tre o quattro minuti per lo meno, prima di colarla, nella
parte interna della capsula bucherellata, bisogna cospargervi
mezzo cucchiaio di polvere appena macinata. Un piccolo
segreto. In modo che, nel momento della colata, l’acqua, in
pieno bollore, già si aromatizza per conto suo…caspita,
“chesto non è cafè… è ciucculata”.

Un paragone non in contrasto, ma che ben sottolinea la peculiare cremosità di un perfetto caffè alla napoletana.

Anzi, all’italiana. Un modo tutto nostro di offrire il “legume di Aleppo” e che ogni straniero più che invidiare, apprezza.

Il titolo di World Champion of Coffee Drinkers è stato assegnato al Sig. Gemsock di Cleveland, Ohio, che ha bevuto 85 grandi tazze di caffè in 24 ore.

Questa Storia del Caffè di Pasquale Pallotti fu presentata all’VIII International Coffee Week “Sintercafè” Costa Rica, Novembre 13, 1994

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