mercoledì 10 Aprile 2024
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Andrea Roma lancia l’appello: “Se non si è del mestiere, non aprite i bar, ascoltate chi lo è”

Racconta il barista: “O si assume e si retribuisce in modo giusto il personale formato, oppure si dovrebbe cambiare settore. I titolari devono evitare di stressare i dipendenti e di metterli in condizioni contrattuali inadeguate. Ai colleghi dico: chi è esperto del campo sa di che situazioni sto parlando."

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MILANO – Andrea V. dopo 4 anni a Malta, è tornato in Italia e ora lotta per trovare un lavoro all’altezza della sua preparazione e richieste. Un post pubblicato da lui come Andrea Roma sulla pagina di Barista & Trainers di Facebook ha attirato l’attenzione con il suo intento di denunciare situazioni irregolari e insostenibili all’interno del settore caffetteria e ristorazione.

Si parla spesso di spingere su qualità, formazione, pulizia, manutenzione, materia prima, ma di fronte a testimonianze come quella condivisa da Andrea Roma, ci si rende conto che la strada da fare è ancora tanta.

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Andrea Roma esordisce così parlando del suo mestiere: “C’è passione dietro. E quando c’è quella, si lavora felice”

Ed è così che ha iniziato in questo campo: “Mi occupavo di sicurezza in un centro commerciale e ogni giorno facevo la colazione nel bar interno. Ho sentito che c’era una posizione vacante come barista e mi sono candidato: nel 2008 ho iniziato così, con la fila lunghissima da smaltire.

Lo stress insomma non mancava e bisogna saperlo gestire. Da addetto alla lavastoviglie sono diventato banconista (apparecchiavo e sparecchiavo) e poi mi sono spostato dietro la macchina: lì è scoppiato l’amore vero. Mi sono tatuato anche un braccetto.

Il tatuaggio di Andrea (foto concessa)

Ho seguito a Parma un corso di caffetteria, un Master dell’Aicaf.

Dopo questa prima esperienza sono passato al reparto bar di un’importante catena di ristorazione e poi ho deciso di passare a un locale famoso frequentato anche da celebrità: lì oltre alla caffetteria e agli aperitivi, ci occupavamo dei servizi esterni di catering e allo Stadio Olimpico quando c’erano eventi. Anche in questo caso quindi, il lavoro era considerevole. Ma non mi sono mai spaventato. Non è quello il problema.

Ad oggi non ho ancora trovato un punto fermo, in parte perché la ristorazione è diventata alla portata di tutti: chi ha le risorse può aprire il suo locale senza avere le competenze e troppi si sono improvvisati. Faccio un esempio pratico: nella mia recente esperienza di collaborazione con una realtà famigliare che non era del settore, ho chiesto se qualcuno fosse in grado di occuparsi della macinatura: la risposta è stata che si rivolgevano al tecnico ogni volta.

I locali però cercano personale

Continua a raccontare Andrea Roma: “Io controllo le offerte e mando le candidature su Subito.it: è vero che c’è molta richiesta di personale. Ma dall’altra parte manca la voglia di formare queste risorse, di pagarle adeguatamente. Nella mia ultima esperienza, ho dovuto metter in chiaro il compenso tra lordo e netto. Sono arrivato a un punto in cui dovrei aprire la mia attività ed esser autonomo: ma non è un investimento che posso permettermi.

Un barista oggi non è più un classico operatore. Non esistono più ruoli definiti: facevo i cappuccini, li portavo al tavolo, prendevo le ordinazioni. Un bar che fa 4/5 chili di caffè a turno, non può pretendere che il macchinista si occupi anche della sala. Io l’ho fatto, ma con estrema difficoltà.

E poi è vero anche che per molti questo resta un mestiere come piano B. Ma non dovrebbe essere così: si lavora sotto stress, a contatto con i clienti e sacrificando il tempo libero. Per esser in mezzo a questo mondo bisogna esser portati, appassionati.

Tanti sono i colleghi che stanno lì per sbarcare il lunario, sottostando a contratti da un mese per 800 euro. Lavorano male, il bar ne risente e bisogna fare più di un lavoro.
Per questo mi sono dovuto dimettere, attualmente sto cercando un lavoro e facendo colloqui. “

Un appello da Andrea Roma: “Se non si è del mestiere, non aprite i bar”

“O si assume e si retribuisce in modo giusto il personale formato, oppure si dovrebbe cambiare settore. I titolari devono evitare di stressare i dipendenti e di metterli in condizioni contrattuali inadeguate. Ai colleghi dico: chi è esperto del campo sa di che situazioni sto parlando.

Noi siamo degli appassionati innanzitutto e dei professionisti e in virtù di questo dobbiamo sentirci in dovere di comunicare quando le cose non vanno. Se il datore di lavoro che non è proprio esperto del mestiere, assume una persona che sa lavorare bene, deve anche esser disposto però ad apprendere ciò che è necessario per un servizio di qualità.

Mi impegno anche ad insegnare ai colleghi le tecniche e con chi si mostra ricettivo, condivido le mie competenze ben volentieri. Delle volte ho persino acquistato del latte per insegnare la latte art e a montare correttamente la bevanda per il cappuccino al ragazzo con cui lavoravo. C’è bisogno di condividere: si cercano oggi camerieri per due soldi e dei baristi che non lo sono. E invece si deve comprendere che si tratta di un mestiere di responsabilità.

“Certo la passione ti fa lavorare felice, ma se il posto di lavoro e il datore di lavoro crea condizioni sfavorevoli, anche quella si affievolisce col tempo.”

Continua Andrea Roma: “E quindi si cambia di continuo alla ricerca di un punto fermo. Non voglio fare come tanti hanno fatto soprattutto dopo il Covid, e cambiare settore. E non voglio neppure ricorrere al reddito di cittadinanza, però è anche vero che prendere 800 euro per 9 ore massacranti di servizio anche la domenica, invece li si riceve soltanto stando solo a casa, è un’opzione che capisco faccia gola a molti. Anche per questo che c’è carenza di personale.

Mi sono voluto sfogare così, perché a 35 anni, lavorando dal 2008, non ce la faccio più: la situazione è molto cambiata, gradualmente. Ora trovare il lavoro anche solo a condizioni di base, non eccezionali, è diventato difficilissimo. Con l’aumento dei prezzi poi, molto spesso si sceglie di acquistare materiali di seconda scelta. Oppure di scendere a compromessi sulla qualità: ho visto cornetti avanzati, venire congelati per esser riproposti nei giorni seguenti. Comprendo la pressione economica molto forte, ma bisognerebbe sforzarsi ad ascoltare noi operatori e garantire le basi per un servizio e di un’offerta per lo meno decente.

Perché non provare?

All’estero c’è il rispetto per il collaboratore. Al di là del compenso, si valorizza il lato umano del dipendente. Mi sto informando anche sull’ottenere una licenza itinerante: il mio sogno nel cassetto sarebbe quello di aprire un’attività on the road, sul furgoncino e la macchina dell’espresso.”

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